La concezione della storia di Hegel si fonda, a parere di Domenico Losurdo, sulle categorie di contraddizione oggettiva e di salto qualitativo che il filosofo ha esposto nella Logica, categorie che, a loro volta, scaturiscono dalla concettualizzazione della Rivoluzione francese. La riflessione di Hegel sulla Rivoluzione presenta importanti novità rispetto a quella degli altri intellettuali dell’epoca che, come Hegel, si sforzano di decifrare questo evento storico dalla portata epocale. Gli intellettuali tedeschi, per giustificare gli avvenimenti rivoluzionari in Francia, si servono dell’assimilazione di essi alle catastrofi naturali, di modo da rigettare le teorie “complottistiche”, senza mettere troppo in apprensione i prìncipi tedeschi. Se la Francia era stata investita da una catastrofe naturale, tale evento straordinario non avrebbe dovuto necessariamente colpire la Germania, a patto che si fossero intraprese le riforme necessarie a evitarlo. Con questa concezione, infatti, da una parte si mostrava la necessità oggettiva e irreversibile del processo rivoluzionario e dall’altra si rispondeva all’accusa dei reazionari, sostenitori del gradualismo, che rimproveravano ai rivoluzionari di non rispettare le leggi della natura: “se i teorici della reazione si richiamavano alla natura per consacrare la teoria della gradualità, sul versante opposto si risponde a tale celebrazione facendo notare che anche sconvolgimenti e catastrofi rientrano nel processo naturale” [1].
Il paradosso è che il richiamo all’oggettività e la completa sottovalutazione dell’aspetto soggettivo e delle istanze morali viene da parte di quegli intellettuali, compreso lo stesso Fichte [2], che in Germania erano i sostenitori della filosofia kantiana. Il punto è che tale spiegazione del processo rivoluzionario non era dovuta solo a questioni di prudenza di fronte al potere, ma anche alla difficoltà di pensare adeguatamente il processo rivoluzionario francese. L’identificazione della rivoluzione con la catastrofe naturale, inoltre, “tacendo il momento della soggettività, se assolve gli intellettuali progressisti dinanzi al potere dominante dall’accusa di complotto, non è in grado di mettere in stato d’accusa, in modo pienamente persuasivo, il potere dominante dinanzi all’opinione pubblica” [3]. Allo stesso modo, tale spiegazione non è in grado “di fondare un giudizio compiutamente positivo della Rivoluzione francese; una catastrofe era pure sempre una catastrofe” [4], tant’è che l’identificazione tra rivoluzione e catastrofe naturale verrà poi utilizzata anche dagli stessi conservatori.
Lo stesso vale per la spiegazione della Rivoluzione con la metafora della malattia che risale a Rousseau, per cui lo Stato è come un ammalato e per espellere questo male, questo elemento negativo, che viene dal di fuori, c’è bisogno di scosse violente e vitali quali le rivoluzioni. Tale metafora, anche se giustificava la rivoluzione facendo apparire la negatività come qualcosa che veniva dal di fuori, poteva, cambiata di segno, servire allo scopo opposto. La pubblicistica reazionaria parlerà, infatti, a proposito della rivoluzione “di «malattia politica» e di «contagioso malanno dei popoli» […] e, più sbrigativamente, di «peste» o di «cancro»” [5]. Tale tema è affrontato da Losurdo anche nel saggio del 2012 Psicopatologia e demonologia. La lettura delle grandi crisi storiche dalla Restaurazione ai nostri giorni [6], dove egli mostra come l’associazione tra “rivoluzione” e “malattia”, “morbo”, “virus”, “follia” sia un tema presente dalla Restaurazione fino a Hannah Arendt. Tale spiegazione dei processi rivoluzionari e della storia denota, a parere di Losurdo, una “totale astrazione dagli interessi reali e dai conflitti reali, in ultima analisi dalla storia”, in questo modo “ogni grande crisi storica appare come un’esplosione di follia” [7].
Perciò, Hegel, assimilerà alle catastrofi naturali unicamente le Jacqueries in quanto episodi turbolenti che non hanno mai portato, però, a un reale cambiamento. Ogni rivoluzione, invece, mirando a produrre un nuovo assetto si differenzia essenzialmente dal ciclico corso della natura, e, quindi, non può essere a quest’ultima assimilata. Per Hegel “nel mondo naturale non c’è realmente produzione del nuovo, dato che il mutamento è fondamentalmente ciclico, e dunque si configura come la ripetizione dell’identico” [8]. Per spiegare una rivoluzione politica non si può sottacere il momento della soggettività, e “su questo momento”, sottolinea Losurdo, “Hegel insiste vigorosamente” [9]. Così si esprime Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia a proposito della Rivoluzione francese: “La rivoluzione francese ha avuto la sua genesi e il suo inizio nel pensiero. Il pensiero, che accoglie determinazioni universali come la realtà suprema, e che trova l’esistente in contrasto con esse, si è rivoltato contro queste situazioni esistenti. Il supremo principio, che il pensiero può trovare, è quello della libertà del volere” [10].
La visione del processo storico di Hegel, così, si distacca decisamente dallo schema evoluzionistico. Di questo schema è, invece, ancora prigioniero Kant che, anche dopo la Rivoluzione francese, rimane fedele alla categoria di gradualità. In conclusione, per Kant “la storia avanza a passo lento, ma infallibile verso il progresso: l’illuminismo «deve necessariamente, a poco a poco (muss nach und nach), elevarsi fino ai troni ed esercitare un’influenza sugli stessi orientamenti del governo»” [11]. Lo schema evoluzionistico della storia entra però in crisi con Fichte che, nello sforzo di decifrare la Rivoluzione francese, giunge a un concezione della storia che ammette, accanto al progresso lento e graduale, i salti violenti. Fichte utilizza l’immagine del fiume che, quando c’è qualcosa che cerca di ostacolare il suo corso tranquillo, straripa e inonda tutto. “Non per l’intreccio e lo sviluppo delle contraddizioni oggettive si verificano – per Fichte – gli sconvolgimenti della rivoluzione, ma per l’intervento artificiale (la cecità e la sete di dominio dei despoti) che pretende invano di opporsi a quel progressivo diffondersi del lumi” [12]. La completa disfatta dello schema evoluzionistico avviene, però, solo con Hegel, tanto che la categoria del salto qualitativo assume una posizione centrale nella sua filosofia della storia.
Hegel utilizza la categoria di salto qualitativo quando nella Scienza della logica tratta, nella sezione sulla misura, della coppia quantità-qualità. Tale coppia supera l’opposizione nel momento in cui si verificano i “salti qualitativi”, nel senso che il sopravvenire di un incremento puramente quantitativo può produrre una nuova qualità come accade nelle trasformazioni fisiche da uno stato liquido a uno gassoso o nei mutamenti di regime politico. Così scrive Hegel nella Scienza della logica: “nella natura non vi è salto, si dice; e l’immaginazione ordinaria, ogni volta che debba intendere un nascere o un perire, crede […] di averlo inteso col rappresentarselo quale un sorgere o dileguarsi graduale. Invece di ciò si è mostrato che i mutamenti dell’essere, in generale, non sono soltanto il passare di una grandezza, in un’altra grandezza, ma sono soltanto un passaggio dal qualitativo al quantitativo e viceversa, un divenire altro che è un interrompersi dell’A poco a poco e un che di qualitativamente altro rispetto all’esistenza precedente” [13]. Questa legge, scoperta da Hegel nella Logica, è riconosciuta esatta sia da Engels, sia da Marx. Engels nell’Anti-Dühring la riconosce valida nel campo delle scienze naturali: “Malgrado ogni gradualità, il passaggio da una forma di movimento ad un’altra rimane sempre un salto, una svolta decisiva” [14]. Marx ne Il capitale la applica nel campo economico-sociale: “Qui, come nelle scienze naturali, si rivela la validità della legge scoperta da Hegel nella sua Logica, che mutamenti puramente quantitativi si risolvono a un certo punto in differenze qualitative. Il minimo della somma di valore, di cui deve disporre il singolo possessore di denaro o di merci per compiere la sua metamorfosi in capitalista, varia nei diversi gradi di sviluppo della produzione capitalistica ed è diverso nelle diverse sfere della produzione, a grado di sviluppo dato, secondo le loro particolari condizioni tecniche” [15].
Tornando alla Filosofia della storia di Hegel¸ la categoria di salto qualitativo non è utilizzata da Hegel solo per decifrare la Rivoluzione francese, ma anche lo sviluppo storico nel suo complesso. L’immagine utilizzata dal filosofo è quella della talpa, immagine cara a Marx, che lentamente corrode “le fondamenta dell’ordine esistente”, fino a costituire “il presupposto dei radicali mutamenti” [16]. In una bella pagina delle Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel sostiene: “Esso – lo spirito – procede incessantemente innanzi, perché soltanto lo spirito è progredire. Spesso sembra che si dimentichi e si smarrisca; ma, opposto interiormente a se stesso, continua a lavorare interiormente, come dice Amleto dello spirito di suo padre: “Hai lavorato bene, brava talpa!” – , finché, rinfrancato, scuote ora la crosta terrestre, che lo separava dal suo sole, dal suo concetto. Nei periodi in cui la crosta, edificio senz’anima e tarlato, crolla, e lo spirito assume l’aspetto d’una nuova giovinezza, esso calza le scarpe delle sette leghe” [17].
A testimonianza di quanto significativa fosse per Marx l’immagine utilizzata da Hegel per spiegare il processo storico, vorrei riportare un importante passo de Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, tra l’altro commentato e apprezzato da Lenin in Stato e rivoluzione [18]. Così scrive Marx: “Ma la rivoluzione va fino in fondo delle cose. Sta ancora attraversando il purgatorio. Lavora con metodo. Fino al 2 dicembre [1851, data del colpo di Stato di Luigi Bonaparte,] non ha condotto a termine che la prima metà della sua preparazione; ora sta compiendo l’altra metà. Prima ha elaborato alla perfezione il potere parlamentare, per poterlo rovesciare. Ora che ha raggiunto questo risultato, essa spinge alla perfezione il potere esecutivo, lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, se lo pone di fronte come l’unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le forze di distruzione. E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l’Europa balzerà dal suo seggio e griderà: Ben scavato, vecchia talpa” [19].
Note:
[1] Losurdo, Domenico, Ipocondria dell’impolitico. La critica di Hegel ieri e oggi, Milella, Lecce, 2001, p. 11.
[2] Fichte, tuttavia, si accorgerà presto dei limiti della spiegazione naturalistica della rivoluzione e, già a partire dalla Missione dell’uomo, abbandonerà tale concezione. Riguardo tale tematica cfr. ivi, pp. 12-21.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, pp. 12-3.
[5] Ivi, p. 29.
[6] cfr. Id., Psicopatologia e demonologia. La lettura delle grandi crisi storiche dalla Restaurazione ai nostri giorni, in «Belfagor», Marzo 2012, Casa editrice Leo S. Olschki, Firenze, 2012, pp. 152-172.
[7] Ivi, p. 154.
[8] Id., Ipocondria …, op. cit., p. 16.
[9] Ivi, p. 17.
[10] Hegel, Georg, Wilhelm, Friedrich, Lezioni sulla filosofia della storia (4 vol.), traduzione di Calogero, G. e Fatta, C., La Nuova Italia, Firenze 1989, vol. IV, p. 197.
[11] Losurdo, D., Ipocondria …, op. cit., p. 18.
[12] Ibidem.
[13] Hegel, G. W. F., Scienza della Logica, trad. di A. Moni, riv. da C. Cesa, introduzione di C. Cesa, BUL Laterza, Bari. 1988, vol. I, p. 413.
[14] Engels, Friedrich, Anti-Dühring, introduzione di Gerratana, V., tr.it. di de Caria, G., Editori Riuniti, Roma 1985, p. 64.
[15] Marx, Karl, Il capitale, a cura di Cantimori D., introduzione di Dobb M., Editori Riuniti, Roma 1994, vol. I, p. 347.
[16] Losurdo, D., Ipocondria …, op. cit., p. 20.
[17] Hegel, G. W. F., Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. di E. Codignola e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1981, vol. III/2, p. 411.
[18] cfr. Lenin, Vladimir I., Stato e rivoluzione, a cura di Giarratana, Valentino, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 86-93.
[19] Marx, K., Il 18 Brumaio di Luigi Napoleone, a cura di Giorgetti, Giorgio, tr.it di Togliatti, Palmiro, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 205.