Miriam Mafai (settimanale Noi donne, 1967): “L'idea che le donne non debbano fare politica è senza dubbio di origine maschile, ma la loro esclusione non può preoccupare quanti credono nella democrazia nel nostro paese. Una democrazia che interessa soltanto una parte di cittadini è senza dubbio una democrazia mutilata e una democrazia mutilata è una democrazia minacciata”.
Oggi come ieri, non una di meno può sottrarsi alla responsabilità di far parte attivamente della nostra storia e delle nostre lotte, come esseri umani ma soprattutto come donne. Sono Silvia ed ho 33 anni, ho partecipato, insieme alle 200.000 persone circa, alla mobilitazione dal basso per la parità di genere, sabato 26 novembre a Roma. È inconsueto aprire un articolo presentandosi, ma dato l'argomento, tutto al femminile, oggi sento il desiderio e il diritto di farlo.
Ora veniamo a noi. Cercherò di tematizzare una realtà da me esperita in prima persona. L'impatto più forte che ho avuto, durante la giornata di sabato, è stato l'immensa partecipazione fisica ed emotiva di donne di tutte le età e culture (ma anche di uomini che hanno apportato la loro solidarietà alla causa) scese in piazza per ribadire il loro “no” alla violenza e alla discriminazione d’identità di genere.
Durante il corteo, una mia cara amica, come fosse stata pizzicata dalla taranta, attaccando il telefono mi dice : “Silvia mi hanno riferito che la testa del corteo si trova all'inizio di via Labicana e la fine arriva a via Cavour!!!”. Siamo state un fiume in piena che esce dagli argini silenziosi, un corso inarrestabile, una forza libera, autonoma, artistica e democratica.
Il tema del corteo, le rivendicazioni per i pari diritti e opportunità, il diritto alla libertà dei nostri corpi, delle nostre vite mi ha riportato con la mente alle manifestazioni femministe degli anni ’60-’70, mancava solo Jane Fonda con il pugno chiuso, perché per il resto c'era tutto. Questo può voler significare che il femminismo non è morto ed è tutt'ora, in epoca contemporanea, un movimento necessario per il raggiungimento dell’emancipazione femminile, perché, nonostante si taccia spesso su questa piaga socio-culturale, siamo ancora vittime di quel sistema, patriarcale e maschilista, che si è instaurato e cementificato nei secoli precedenti.
La discriminazione di genere, come le altre forme di discriminazione ancora esistenti, è un crimine contro l'umanità e contro la democrazia. Perchè dopo anni di battaglie per i pari diritti ancora dobbiamo parlare di violenza di genere? Possibile che l’Occidente sia un’esemplare incubatore di bio-politiche del corpo della donna ancora impregnate di sessismo e disuguaglianze? La violenza è un fenomeno sistemico ed endemico dei gruppi sociali, politici e familiari; la sua genesi sono proprio le disuguaglianze e le gerarchie create dal potere e dalla politica, di antico e di nuovo regime.
Un ruolo fondamentale che il potere, politico e mediatico, svolge sulla collettività è proprio l'utilizzo e la rappresentazione della legittimità, ciò che è legittimo o meno per una società, attraverso la costruzione di riti, ruoli e simboli culturali che definiscono la costruzione di uno spazio politico. Il luogo di questi spazi sono le istituzioni; cosa si intende per istituzione? Scrive Mauss: “regole pubbliche di pensiero e d’azione”. Come in un gioco, il processo che conduce a produrre queste regole, e l'organizzazione che ne deriva, integra i suoi membri in un sistema di costrizioni, dove, l’istituente e l’istituito fanno parte della stessa medaglia (Marc Abelès, Politica gioco di spazi, Roma, Maltemi, 2001).
Un ruolo attivo fondamentale per l'acquisizione dei diritti e delle pari opportunità, lo hanno avuto le prime donne elette nell'Assemblea Costituente nel 1946, anno in cui acquisiscono per la prima volta pieni diritti politici. Da allora le donne hanno ottenuto grazie alla rappresentanza di genere in parlamento una serie di leggi che tutelano la piena dignità della persona, come tra i più importanti: il diritto al divorzio (1970), la riforma del diritto di famiglia (1975), la parità di diritti e retribuzioni alle donne lavoratrici e la legge sulla protezione delle lavoratrici madri (1977), la legalizzazione dell'aborto (1978), l’abolizione del delitto d'onore e del matrimonio riparatore (1981).
Nonostante le conquiste sancite dalla Costituzione, oggi la parità di genere incontra ancora forti resistenze ad attuarsi concretamente nella vita civile della società occidentale, capitalista e neoliberista, non evoluta e conservatrice sul piano dei diritti fondamentali politici, materiali e morali; una società che si ostina ancora a concepire lo sviluppo economico estrinseco ad un necessario progresso sociale e culturale dell'umanità.
Ci ritroviamo a mobilitarci attraverso movimenti collettivi e femministi perché i nostri diritti vengano rispettati, attraverso la richiesta di leggi che contrastino la vergognosa e inaccettabile realtà, criminale e assassina, dei femminicidi, le violenze, fisiche, verbali e psicologiche, subite dalle donne in tutti gli ambiti della società, contro le disuguaglianze nel lavoro e per il cambiamento di pratiche discorsive, mediatiche e linguiste troppo spesso sessiste. Ancora oggi ci battiamo in tutto il mondo contro la strumentalizzazione e lo sfruttamento dei nostri corpi, contro un peccato originale, scritto dagli uomini, che fanno tuttora fatica a superare e a cancellarne l'onta.