È innegabile che i movimenti sociali generalmente rivendicano “dei diritti: diritto alla casa, al lavoro, estensione dei diritti civili agli stranieri ecc. Ed è vero anche che tutto ciò deriva del tutto logicamente dalla cittadinanza che è il diritto di avere dei diritti, di rivendicarli e proclamarli, capacità di essere soggetto di diritto nei due sensi della parola”. [1] Allo stesso modo, di contro al neoliberismo, una parte significativa della intellighenzia di sinistra rivendica la conquista e l’espansione “di diritti, individuali e collettivi, che permettano di stabilire una cittadinanza allargata in senso egualitario e/o sociale (…), una cittadinanza che va oltre o non è collegata alla nazionalità”. [2] D’alta parte, tali concezioni sono sostenute anche da una parte dell’intellighenzia di destra e liberale, in funzione apertamente anticomunista, antisocialista e antidemocratica. Come fa notare acutamente ancora Eustache Kouvélakis: “l’elogio dell’astrazione della cittadinanza che il suffragio universale suppone, e la riduzione della vita sociale all’unità di conto indifferenziata è chiaramente installata in posizione di privilegio, perché si suppone che solo essa corrisponda al vuoto inappropriabile del luogo del potere, a danno di forme più partecipate di democrazia, sempre sospettate di ammiccare ai fantasmi dell’incorporazione totalitaria”. [3]
Del resto, apparentemente ambigua appare la posizione dello stesso Karl Marx sui diritti umani che, da una parte certamente critica, ma dall’altra sembra invece voler tesaurizzare. Più nello specifico l’obiettivo di Marx appare rivolto a sottoporre a critica una specifica concezione del diritto e della libertà, quella concezione liberale che ancora oggi privilegia il concetto negativo di libertà e subordina i diritti del cittadino a quelli dell’individuo privato. D’altra parte Marx pare condividere la concezione secondo la quale la libertà sarebbe il concetto di valore politico fondamentale. A tale scopo, sembra muovere da un concetto normativo e universalistico di libertà, assumendolo quale criterio di fondo del proprio pensiero sociale. Perciò, se Marx critica la concezione liberale della libertà, ossia la contrapposizione fra la libertà di ognuno e quella di tutti, ovvero una concezione negativa della libertà quale limite o come mera coesistenza degli arbitrii individuali, al contempo sostiene che lo sviluppo quanto più ricco e dispiegato di ciascuno è primariamente la condizione fondamentale per lo sviluppo dell’individuo stesso. Rivendicando, dunque, un concetto di libertà positivo.
Tale apparente ambiguità della posizione di Marx nei riguardi dei diritti umani resterebbe tale nella prospettiva adialettica dell’intelletto, mentre diverrebbe pienamente comprensibile inquadrandola nell’Aufhebung, ovvero nel superamento dialettico della concezione borghese dei diritti umani, che ne nega quanto vi è di caduco e anacronistico, ma ne tesaurizza gli aspetti potenzialmente sviluppabili in senso progressista. Così, per esempio, un grande filosofo marxista come Ernst Bloch sostiene che Marx abbia conseguentemente criticato “la proprietà privata come limite borghese nei diritti dell’uomo”, ma ha al contempo inteso tesaurizzare “la libertà, la resistenza popolare all’oppressione, la garanzia giuridica” ovvero gli aspetti ancora attuali della dichiarazione dei diritti. Marx ha cercato di sviluppare tali diritti fino alle loro più radicali conseguenze “che non siano impedite e, col crescere, annientate dalla proprietà privata”. Anzi, fa notare argutamente ancora Bloch, la stessa libertà è in Marx “così poco criticata che, al contrario, costituisce quel diritto dell’uomo alla cui luce ed in forza della cui umanità viene sottoposta a critica la stessa proprietà privata. È precisamente di qui che derivano le conclusioni marxiane: libertà non della proprietà, ma dalla proprietà”. [4] In tal modo, Bloch mira a coniugare il diritto alla libertà con l’altrettanto fondamentale, e naturale, diritto alla felicità. “Perciò Marx pone un taglio netto fra i contenuti egoistici dei droits de l’homme e l’ideale immagine politica, ancora astratta-idealistica, del citoyen”. [5] In questa prospettiva, lo scopo finale di un socialismo rettamente inteso sarebbe quello di garantire l’unità di diritto e pace. In questa prospettiva, il socialismo diverrebbe il compimento della storia quale convergenza dei contrapposti movimenti per i diritti umani e per la pace. Entrambi, in effetti, possono realizzare il loro principio solo convergendo, dal momento che non si dà libertà senza felicità, né felicità senza libertà. Così, con il suo astratto moralismo, la filosofia pratica kantiana segna, in tale destino storico della problematica dei diritti umani, il radicale dilaniarsi della rivendicazione razionale della libertà dalla rivendicazione naturale della felicità.
In altri termini, a parere di Bloch l’attuale opposizione che paralizza la realizzazione dei diritti umani condensa l’opposizione storica tra la corrente del diritto naturale moderno e quella dell’utopia sociale che hanno animato la pratica rivoluzionaria. La prima reclama la libertà che l’uomo deve alla sua dignità. La seconda la felicità nella pace di un’eguaglianza e fraternità generatrice di una reale solidarietà. La storia ha mostrato come la prima, la separazione di libertà e solidarietà ha condannato il diritto naturale al formalismo d’una umanità astratta, perché priva della realizzazione civica dell’uomo, la seconda alla violenza d’una concretezza disumana, priva dell’idealizzazione umana del cittadino. Si tratta di realizzare i diritti umani umanizzando la loro realizzazione rivoluzionaria, riunendo libertà e felicità, dignità e soddisfazione, diritto e pace, poiché non si ha libertà senza felicità, né felicità senza libertà.
Allo stesso modo soggettivo e oggettivo non sono qualcosa d’indipendente rispetto al rapporto in cui stanno. Positivo e negativo sono, del resto, ognuno il positivo e il negativo dell’altro. Questo ci permette di pensare il tutto. Se empiricamente può sembrare assurdo, sul piano del pensare sono i mattoni della conoscenza. In effetti, una tale riconciliazione del diritto (della differenza del diritto e del fatto) e della pace (dell’identità del diritto e del fatto), questa identità della differenza e dell’identità, avviene a beneficio di quest’ultima. Bloch riconcilia socialmente liberalismo e socialismo nel socialismo democratico, quale comunità di uomini che organizza in maniera cosciente le proprie relazioni secondo un ordine razionale. “In essa ‘solidarietà del socialismo’ significa che, quando ora si parla di diritti dell’uomo, quest’ultimo è l’individuo non più egoistico, bensì socialistico, quello che, secondo la profezia marxiana, ha trasformato le sue forces propres in socio-politiche. In modo tale che il citoyen, dall’aldilà astratto-moralistico in cui lo faceva abitare l’ideologia della Rivoluzione francese, viene reintegrato nell’aldiquà dell’umanità socializzata”. [6] Per dirla con Bernard Bourgeois: “Bloch ritraccia il destino dell’opposizione storica della corrente del diritto naturale, che culmina nella teoria dei diritti umani, e della corrente dell’utopia sociale, che esalta la pratica rivoluzionaria. Il primo proclama essenzialmente la dignità che l’uomo deve alla sua libertà, il secondo rivendica per l’uomo la felicità nella pace d’una eguaglianza e fraternità generatrice di una reale solidarietà. La separazione della libertà e della solidarietà limita la libertà allo chez-soi individualista del proprietario privato idealizzando con ciò nella sola morale (come compensazione ipocrita) la vita universale, e tale separazione affetta la realizzazione della solidarietà del disprezzo dei requisiti morali di una libertà denunciata come semplicemente formale. Ma la libertà vera esige che l’uomo sia realmente cittadino, tanto quanto la solidarietà vera esige che il cittadino sia realmente uomo: la loro riconciliazione reclama così il superamento congiunto della problematica (astratta) dei diritti dell’uomo – che è quella della distinzione dei diritti dell’uomo e di quelli del cittadino – e della problematica (non meno astratta) della rivoluzione sociale, che crede di poter compiere l’uomo dimenticandolo nel cittadino”. [7] In tal modo, è possibile comprendere come anche nei fondatori del socialismo scientifico permanessero – in particolare negli anni giovanili – residui di un universalismo astratto, con tutti i suoi limiti. Il che permette anche di comprendere alcune cadute positiviste di Marx ed Engels che in taluni casi finiscono per giustificare il colonialismo in quanto latore d’un sistema più universalista, o sottovalutano per diversi anni le lotte di liberazione dei paesi extraeuropei, considerando erroneamente che il progresso umano debba necessariamente giungere dai paesi a capitalismo avanzato.
In conclusione, possiamo dire che in Marx è rinvenibile sia la tensione all’inveramento che al superamento dei diritti umani. Così, pur essendo prevalente, in particolare nel giovane Marx, la critica alle illusioni universaliste e politiciste della Rivoluzione francese, in altre pagine Marx ne riconosce i decisivi risultati e ne recupera, nel dialettico processo d’Aufhebung, taluni elementi fondamentali per la rivoluzione proletaria. Rimane, tuttavia, da sciogliere un nodo decisivo: mediante il processo rivoluzionario Marx intende realizzare un rovesciamento materialistico dei diritti umani – ovvero trattasi di renderli concreti, reali e non più astratti e formali, rafforzandone la componente sociale e liberandoli dal fondamento della proprietà privata dei mezzi di produzione – oppure siamo dinnanzi a una critica meramente distruttiva al diritto in quanto tale, al mondo della politica, dello Stato inevitabilmente separato dalla società civile? Verosimilmente, in Marx s’intrecciano entrambe le tendenze che, in seguito, nella storia del marxismo, saranno in genere radicalmente contrapposte – contraddizione solo in parte risolvibile nei due momenti in cui verrà articolandosi la presa del potere da parte del proletariato: una transizione socialista in cui i diritti umani verranno socializzati assieme ai mezzi di produzione e una più o meno utopica società comunista in cui si dissolveranno nel regno della libertà.
Volendo attualizzare questa dialettica attitudine alla ripresa critica dei diritti umani da parte di Marx, si potrebbe osservare che il discorso che manca nella letteratura odierna sulle problematiche della globalizzazione capitalista è la critica ai fondamenti economici della globalizzazione e il fatto che non si distingua e non vi sia un ragionamento sulle priorità tra i diritti, sul come sia possibile realizzarli e da parte di chi. In effetti l’aspetto più carente nell’attuale dibattito è la mancata collocazione della riflessione sui diritti umani in un’analisi più sistematica della società, come quella che la prospettiva marxista può offrire.
Note:
[1] Eustache Kouvélakis, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in “Marxismo Oggi” 1, Milano 2005, p. 47.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 55.
[4] Ernst Bloch, Karl Marx [1968], trad. it. di L. Tosti, Il mulino, Bologna 1973, pp. 76-77.
[5] Ivi, p. 74.
[6] Ivi, p. 77.
[7] Bernard Bourgeois, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 33.