Essendo le considerazioni marxiane sui diritti umani sparse in scritti ideati con altre finalità, con la parziale eccezione di La questione ebraica, il suo giudizio dovrebbe essere per quanto possibile tarato, trattandosi non di rado di considerazioni condizionate dalla necessità di criticare una posizione determinata. Del resto è l’intera riflessione politica di Karl Marx a essere caratterizzata da un’accesa partigianeria, per cui la questione del giudizio formulato sui diritti umani non è mai del tutto slegato dal problema delle alleanze di classe, in particolare con la piccola borghesia – che allora si richiamava ideologicamente alla Montagna –, o dalla necessità di salvaguardare l’autonomia politica e di classe del partito del proletariato. Nella stesso scritto La questione ebraica il giudizio sui diritti umani è non solo inserito all’interno di una recensione nata quale critica alla posizione di Bruno Bauer sull’emancipazione politica della comunità giudaica, ma risente anche dalla necessità di fare i conti, ovvero di rompere decisamente con la sinistra hegeliana. Si trattava in particolare di far emergere le contraddizioni di B. Bauer che “sotto una fraseologia ultraradicale, sferra una battaglia contro lo Stato germanico-cristiano del suo tempo in termini che in realtà restano teologici, interni allo Stato che pretende di combattere” [1]. La critica di Bauer si limita allo Stato cristiano, non s’indirizza alla forma Stato in generale, non indaga, dunque, la relazione fra emancipazione politica ed emancipazione umana. Bauer non è in grado di elevare la sua critica all’essenza dell’emancipazione politica, ma si limita a sancirne il fatto, la conseguita corrispondenza fra esistenza e concetto dello Stato. Ma proprio da tale fatto Marx considera necessario mettere al centro della critica “non solo i difetti relativi, ma anche i difetti assoluti, quelli che costituiscono la stessa essenza dello Stato”[2]. Più in generale i giovani hegeliani – ben lontani “dall’avere criticato l’essenza dell’emancipazione politica e dall’avere studiato a fondo il suo rapporto determinato con l’essenza umana” – sarebbero arrivati “solo al fatto dell’emancipazione politica, allo Stato moderno sviluppato, e quindi solo al punto in cui l’esistenza dello Stato corrisponde alla sua essenza” [3].
Il fatto che in tali scritti giovanili la trattazione dei droits de l’homme sia maggiormente tematizzata contribuisce a spiegare diverse interpretazioni un po’ troppo semplicistiche della questione. Il saggio-recensione La questione ebraica segna anche il passaggio di Marx da posizioni radical-democratiche a posizioni socialiste, il che spiega – almeno in parte – la verve polemica che accompagna la dura reprimenda contro i sostenitori dei diritti umani, dovuta alla necessità di marcare con nettezza la differenza della nuova posizione politica assunta. Vi è, infine, da mettere nel conto la necessità di portare a termine da parte di Marx il parricidio nei confronti della filosofia hegeliana.
Dunque, il confronto del giovane Marx con i diritti umani non è sistematico, né immediatamente rivolto alla cosa stessa, ma è mediato dalla critica all’uso ideologico che ne fa l’opposizione liberal-democratica tedesca. Come è stato osservato “la negazione comunista dei «Diritti dell’uomo» non si appoggia sulla lettura diretta, immediata, del contenuto manifesto della celebre Dichiarazione, ma sull’interpretazione decisamente mediata della sua funzione storica. Per Marx, l’affermazione dei Diritti dell’uomo è un effetto, e un effetto efficiente – cioè un effetto che è un mezzo –, in altri termini, tale affermazione è «ideologica»” [4].
I liberal-democratici, dunque, di fronte all’arretratezza storico-politica del paese, tendevano ad assumere, dietro un’apparenza ultra radicale, un atteggiamento apologetico nei riguardi delle libertà borghesi. Nella sua trattazione Marx insiste in particolare su una problematica specifica, ma di grande rilievo: il dualismo che mina l’universalismo dei diritti umani. Come denuncia Marx, nella celebre Dichiarazione “i droits de l’homme vengono, in quanto tali distinti dai droits du citoyen” [5]. Come è stato a ragione osservato: “Marx si sofferma sui diritti dell’uomo solo nella misura in cui differiscono dai diritti del cittadino. E procede in questo modo perché il suo scopo è di rispondere a Bauer, che pensa che l’universalismo dei diritti dell’uomo equivale a un superamento della coscienza religiosa in quanto tale” [6].
I diritti del cittadino sono sorti dall’emancipazione politica dell’uomo dai vincoli politico-giuridici della società medievale. Sono diritti eminentemente pubblici, di cui l’uomo gode solo quale membro della comunità politica. Chi è invece “l’homme distinto dal citoyen? Nient’altro che il membro della società civile” [7]. Perché il membro della società civile viene chiamato “uomo”, semplicemente uomo, perché i suoi diritti vengono chiamati diritti dell’uomo? Come spieghiamo questo fatto? A partire dal rapporto dello Stato politico con la società civile, a partire dall’essenza dell’emancipazione politica. Per questo il suo diritto è di pertinenza della sfera del privato, è fondato su una libertà individuale esclusiva degli altri, della comunità. Tale dualismo riproduce la scissione fra la sfera pubblica dello stato e la privata della società civile. Perciò l’emancipazione resta parziale, è relativa all’emancipazione politica rispetto all’ancien régime, ma non può essere considerata risolutiva per quanto concerne l’emancipazione umana [8].
L’opposizione di finito e infinito non può che finitizzare anche quest’ultimo; si tratta, evidentemente, d’una cattiva infinità. L’antropologia di Bauer continua a considerare l’uomo quale individuo privato, per cui l’unico modo per superarne gli scopi meramente particolari diviene porre per sé la sfera dello Stato, contrapponendola astrattamente alla vita reale degli individui, condannata a rimanere prigioniera di scopi particolari. È il dualismo tipico della logica della riflessione che è risolto da Marx nella critica alla logica dell’essenza. Marx utilizza contro questa concezione idealistica, diversi elementi della critica hegeliana al formalismo della filosofia pratica kantiana [9]. Così per Bauer, che riprende Hegel, la società civile è giustificata quale necessaria proprio in quanto vi si oppone lo Stato politico, posto come altro dalla società. La società borghese viene riconosciuta come necessaria nel suo contrapporsi allo Stato politico, perché viene riconosciuto necessario lo Stato politico [10].
In polemica con la sinistra hegeliana Marx intende mostrare come né lo stato sorto dalle rivoluzioni borghesi, né il suo manifesto ideologico, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, sia in grado di sanare le lacerazioni della modernità. La gestione della cosa pubblica nel nuovo assetto sociale cessava d’esser affare d’un sovrano o d’un ceto politico particolare per divenire “affare universale” [11]. Le attività vitali universali, lo spirito politico fu liberato dalla dispersione, dai vincoli della società medievale, ma in un ambito distinto che il singolo stenta a riconoscere come proprio. L’universalità del nuovo Stato è mera astrazione dell’intelletto, in quanto presuppone al di fuori, in opposizione la particolarità reale della società civile [12], un limite invalicabile. In tal modo, la sfera politica si riduce a una razionalità deprivata di realtà, mentre la vita civile perdendo la precedente parvenza d’universalità, si degrada agli interessi particolari, materiali, a un esistente privo di razionalità. La società civile si presenta quale luogo del conflitto generalizzato fra i suoi membri atomizzati, “è il movimento generale, sfrenato, delle potenze elementari della vita liberate dalle catene dei privilegi” [13]. La ricomposizione di tale dualismo solo ideologicamente, idealisticamente avviene a vantaggio del momento razionale, politico.
Note:
[1] Kouvélakis, Eustache, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, p. 63.
[2] Marx, Karl, Engels, Friedrich, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 150.
[3] Ibidem.
[4] Bourgeois, Bernard, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 101.
[5] Bauer, Bruno, Marx, K., La questione ebraica, tr. it. di Tomba, M., Manifestolibri, Roma 2004, p. 192.
[6] Kouvélakis, E., Critica…, cit., p. 51.
[7] Bauer, B., Marx, K, La questione…, op. cit., pp. 192-93.
[8] Forzando – come erano soliti fare i giovani hegeliani – la componente soggettiva si finisce per perdere di vista le contraddizioni reali della propria epoca storica per tornare al dover essere, al donchisciottesco cavaliere della virtù che deve cedere il passo di fronte all’uomo del corso del mondo.
[9] Il termine speculativo, mediante cui il giovane Marx critica la sinistra hegeliana, ha qui il significato di una cattiva logica dell’essenza, che si basa sull’astrazione della sostanza che fissa il momento astratto (il frutto) di fronte alle sue diverse determinazioni reali (la mela, la pera ecc.), bandendo la differenza come indifferente; cfr. Marx, K., Engels, F., La sacra…, op. cit., pp. 71-2.
[10] Bauer, B., Marx, K, La questione…, op. cit., p. 185.
[11] Ecco come Marx schizza le caratteristiche fondamentali della statualità medievale: “le funzioni e le condizioni vitali della società civile rimanevano ancor sempre politiche, anche se politiche nel senso della feudalità, ovvero che escludevano l’individuo dalla totalità statale, trasformavano il rapporto particolare della sua corporazione con la totalità dello Stato nel suo proprio rapporto universale con la vita del popolo, così come la sua determinata attività e situazione civile nella sua attività e situazione universale. Come conseguenza di questa organizzazione, l’unità dello Stato, come coscienza, volontà e attività dell’unità dello Stato, il potere universale dello Stato, appare altrettanto necessariamente come affare particolare di un sovrano separato dal popolo e dai suoi servitori” ivi, p. 197.
[12] Nella sua critica a Marx Balibar lo accusa di aver accentuato una contraddizione solo apparente e si sforza di celare la differenza all’interno di un’identità astratta. “Balibar considera che Marx ha adottato una griglia di lettura che gli ha impedito di pensare sia la portata concettuale che il funzionamento pratico degli enunciati rivoluzionari della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che riposano entrambi su una doppia identificazione. La prima è quella di «uomo» e di «cittadino», nel senso che le due figure si sovrappongono praticamente nel funzionamento degli enunciati, per la natura e l’estensione dei diritti di cui sono titolari. La seconda è quella della «libertà» e dell’«uguaglianza», che Balibar propone di fondere in un solo termine, che ha avuto un certo successo, l’«ègaliberté»” Kouvélakis, E., Critica…, cit., p. 57. “Marx sarebbe caduto prigioniero dell’idea liberale dell’opposizione fra la libertà degli antichi e quella dei moderni. Mentre la civiltà greca e ancor più quella romana si fondano sull’unità fra sociale e politico, la Dichiarazione ne istituisce la separazione borghese, essa stessa fondata sulla distinzione fra una sfera pubblica e una sfera privata” ivi, p. 59). Perciò “l’«uomo» della Dichiarazione non è l’«individuo privato» in opposizione al «cittadino», ma non è affatto diverso dal cittadino” ibidem.
[13] Marx, K., Engels, F., La sacra…, op. cit., pp. 151-52.