A parere di Vladimir I.U. Lenin non ci si può illudere che per superare la divisione della società in classi sia sufficiente espropriare grandi proprietari fondiari e capitalisti. Preso il potere tale compito sarà portato a termine in un tempo relativamente breve, ma per iniziare a superare le differenze di classe bisognerà, in un processo ben più lungo e complesso, sopprimere progressivamente gli innumerevoli piccoli produttori di merci. In assenza di una lotta condotta a fondo contro di loro, la transizione non solo non conseguirà il suo obiettivo ma verrà progressivamente snaturata. I piccoli proprietari, infatti, “avvolgono il proletariato da ogni parte, in un ambiente piccolo-borghese, lo penetrano di quest’ambiente, lo corrompono con esso, lo sospingono continuamente a ricadere nella mancanza di carattere, nella dispersione, nell’individualismo, nell’alternarsi di entusiasmo e depressione, che sono propri della piccola borghesia” [1].
Ferma restando la necessità improrogabile della lotta ai piccolo-borghesi, tale lotta non potrà esser condotta a termine “cacciandoli via o schiacciandoli”, come pretenderebbero i cultori della frase rivoluzionaria. Sarà al contrario indispensabile al consolidamento del processo di transizione trovare con tali masse piccolo-borghesi compromessi sempre più avanzati, dal momento che essi “si possono (e si devono) trasformare, rieducare solo con un lavoro organizzato molto lungo, molto lento e cauto” [2].
Tale complessa e duratura guerra di posizione e logoramento con la piccola-borghesia impone di stringere i ranghi all’interno del partito comunista, sulla base del centralismo democratico [3], per evitare un imperdonabile scollamento fra avanguardie e masse, fra partito e classe in un frangente tanto delicato. Lenin insiste sulla funzione decisiva del partito di contro alle tendenze spontaneiste: “soltanto il partito politico della classe operaia, cioè il partito comunista, è in grado di raggruppare, di educare, di organizzare l’avanguardia del proletariato e di tutte le masse lavoratrici, unica capace di resistere alle inevitabili oscillazioni piccolo-borghesi di queste masse, alle inevitabili tradizioni o recidività di grettezza o di pregiudizi corporativi che si riscontrano tra il proletariato e di dirigere l’azione unificata di tutto il proletariato, cioè di dirigere politicamente il proletariato e, per il suo tramite, tutte le masse lavoratrici. Senza di ciò la dittatura del proletariato è irrealizzabile” [4]. Negando “la funzione dirigente, educativa ed organizzatrice del partito nei confronti dei sindacati proletari e quella del proletariato nei confronti delle masse lavoratrici semi-piccolo-borghesi” [5], le posizioni della sedicente “opposizione operaia” vanno considerate alla stregua di una “demolizione anarchica, piccolo-borghese” della costruzione dell’economia socialista. Contrariamente a quanto sostenuto dalle tesi sindacaliste, anche dopo la conquista del potere per Lenin “il partito deve ancor più, in forma nuova e non solo come in passato, educare i sindacati e dirigerli, senza però dimenticare, al tempo stesso, che essi sono e resteranno ancora per molto una necessaria «scuola di comunismo» e una scuola preparatoria che addestra i proletari a realizzare la loro dittatura, una unione necessaria degli operai per il passaggio progressivo della gestione di tutta l’economia del paese nelle mani della classe operaia (…) e, quindi, nelle mani di tutti i lavoratori” [6].
Tuttavia alcune delle rivendicazioni sollevate dall’“Opposizione operaia” non devono essere sottovalutate, sebbene Lenin consideri “che per dei membri del partito comunista non esista un appellativo peggiore e più indegno” [7]. I rischi di una burocratizzazione del potere sovietico, con le conseguenti artificiose limitazioni della partecipazione democratica dei lavoratori al potere e allo sviluppo dell’economia socialista, sono problemi reali che vanno affrontati nel modo più deciso e senza indugio; altrimenti la cancrena del burocratismo potrebbe portare a una lenta eutanasia della transizione al socialismo. Come osserva Lenin: “quando ci si parla d’insufficiente democrazia, rispondiamo: è assolutamente vero. Sì, da noi la democrazia non è sufficientemente applicata; abbiamo bisogno di aiuto e d’indicazioni sul modo di applicarla. Bisogna applicarla veramente, e non a chiacchiere. Noi accettiamo sia coloro che si definiscono «opposizione operaia», sia coloro che hanno un appellativo ancora peggiore […]. Ma anche se s’inventasse un appellativo ancora peggiore, ci diremmo; poiché si tratta di una malattia che colpisce una parte degli operai, bisogna dedicarle grandissima attenzione” [8].
D’altra parte tale lotta non può esser condotta a chiacchiere, né la si favorisce minando l’unità del partito o mettendo in discussione il suo ruolo direttivo e formativo come fanno i sindacalisti. Gli oppositori dovrebbero dunque rimboccarsi le mani e aiutare, fornire analisi e indicazioni concrete per superare tale deficit di democrazia, contribuendo realmente alla lotta alla burocrazia, uno dei più pericolosi residui del capitalismo in uno Stato in transizione.
Tuttavia chi, col pretesto di combattere il burocratismo, propone una soluzione anarcosindacalista “dev’essere smascherato e allontanato!” [9]. Tale lotta al frazionismo all’interno del partito è imposta dal delicatissimo frangente che attraversava la transizione al socialismo. In una situazione di dittatura del proletariato ogni scissione in seno al partito o fra questo “e la massa del proletariato non è soltanto pericolosa, ma pericolosissima” in particolare se nel paese “il proletariato costituisce una piccola minoranza della popolazione” [10] e la maggioranza piccolo-borghese opera per sabotare la transizione. I tentativi di una controrivoluzione piccolo-borghese sono ben più pericolosi di una aperta controrivoluzione come quella scatenata durante la guerra civile. Del resto, a parere di Lenin, esiste un nesso fra l’ideologia dell’insurrezione anarchica e piccolo-borghese [11] di Kronstadt “e le parole d’ordine dell’«opposizione operaia»” [12].
Note:
[1] Vladimir I.U. Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 429.
[2] Ibidem.
[3] Perciò Lenin è molto critico con le posizioni individualiste che non tengono nel dovuto conto l’importanza del centralismo democratico. Così, per esempio, sostiene: “pensate un po’: dopo due assemblee plenarie del Comitato centrale (9 novembre e 7 dicembre) dedicate a una discussione straordinariamente particolareggiata, lunga, accesa, dell’abbozzo iniziale di tesi del compagno Trotski e di tutta la politica del partito nei sindacati che egli sostiene, un membro del Comitato centrale resta solo su diciannove, costituisce intorno a sé un gruppo al di fuori del Comitato centrale e presenta il «lavoro» «collettivo» di questo gruppo come «piattaforma», proponendo al congresso del partito di «scegliere tra due tendenze»!!” Id., Ancora sui sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski e di Bukharin [25 gennaio 1921], in op. cit., p. 489.
[4] Id., Prima stesura del progetto di risoluzione del X congresso del PCR sulla deviazione sindacalistica e anarchica nel nostro partito, in op. cit., p. 547.
[5] Ivi, p. 548.
[6] Id., L’estremismo…, in op. cit., p. 436. Lenin insiste nel sottolineare che i “sindacati sono una scuola di direzione tecnico-amministrativa della produzione. Non «da una parte scuola, dall’altra qualcosa di diverso», ma sotto tutti gli aspetti […] i sindacati sono una scuola, una scuola di unione, una scuola di solidarietà, una scuola di difesa dei propri interessi, una scuola di gestione economica, una scuola di amministrazione” Id., Ancora sui sindacati…, in op. cit., p. 516.
[7] Id., Discorso di chiusura del dibattito sul rapporto del CC del PC(b)R al X congresso del PC(b)R [marzo 1921], in op. cit., p. 531.
[8] Ivi, pp. 530-31.
[9] Ivi, p. 531.
[10] Id., Ancora sui sindacati…, in op. cit., pp. 492-93.
[11] Lenin criticava l’Opposizione operaia in quanto nascondeva dietro la difesa degli interessi proletari “una tendenza piccolo-borghese” Id., Discorso di chiusura…, in op. cit., p. 531.
[12] Ivi, p. 529.