Urbino – L’ingresso del definitivo nella vita fa improvvisamente avvertire “la differenza che c’è tra la pagina dell’uomo vivente che tu conosci e che calcoli di rivedere, e quella di chi non è più, che non può tornare sulla frase che tu mediti, che non può procedere e con il quale non puoi più conversare” [1]. Sicché oggi si fa più complicato che mai riuscire a racchiudere nelle poche righe di un articolo il profilo umano ed intellettuale del compagno Domenico Losurdo, storico della filosofia da anni impegnato in una vasta e profonda opera di rilettura della storia e del pensiero universali in chiave hegelo-marxista, scomparso il 28 giugno all’età di 77 anni.
Agli inizi degli anni ’60 Domenico Losurdo, laureatosi a Urbino sotto la direzione di Pasquale Salvucci con una tesi su Karl Rosenkranz, fu tra gli allievi di Arturo Massolo, considerato da alcuni interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. Losurdo, ponendosi nel solco di questo orientamento ed interpretando attraverso nuovi percorsi di ricerca i motivi fondamentali di tale approccio critico (volto a valorizzare in Hegel la dimensione realistica contro le interpretazioni coscienzialistiche del filosofo di Stoccarda), assunse ben presto una statura intellettuale che travalicò i confini nazionali tanto da diventare uno tra i filosofi italiani contemporanei maggiormente tradotti all’estero, proprio in virtù della raffinata capacità di strutturare il patrimonio simbolico con cui siamo in grado decodificare il reale-storico.
La sua produzione, che si dipana dagli anni ’80 fino all’ultimo libro sul marxismo occidentale pubblicato circa un anno fa [2], costituisce a tutti gli effetti la vivificazione di quella importanza della lotta teorica da Lenin sottolineata in riferimento all’opera di Friedrich Engels in un celebre capitolo del Che fare?. Un lavoro tanto più importante in quanto perseguito con tenacia e con coerenza lungo i difficili decenni successivi alla caduta del muro di Berlino, quando da più parti – e non solo esterne al movimento operaio e comunista – si è presto gridato al “fallimento” di un intero percorso storico. E proprio contro l’utilizzo di tale fallace e semplicistica categoria, che suona come una condanna senz’appello, si sono concentrati la gran parte degli sforzi compiuti da Domenico Losurdo, impegnato da un lato a dimostrare come la storia del socialismo realizzato fosse tutt’altro che un’esperienza fallita, bensì un vasto “processo di apprendimento” attraverso il quale per la prima volta il movimento comunista aveva dovuto misurarsi con la concreta gestione del potere politico, in un paese gravato dall’arretratezza e da rapporti di produzione feudali, per giunta isolato e accerchiato da potenze ostili. E proprio la sua capacità di legare organicamente le tendenze oggettive dei fenomeni storico-sociali alle scelte soggettive dei protagonisti di tali fenomeni, di tenere cioè conto del contesto in cui si svolgono gli eventi storici, lo ha portato a tracciare in un suo celebre testo [3] un profilo di Stalin finalmente scevro dalle letture demoniache e teratologiche dominanti, ciò che lo rende a nostro avviso il contributo più onesto ed esaustivo allo studio di una figura tanto fondamentale nella storia del Novecento.
Ma la rivalutazione dell’intera esperienza comunista ovviamente trascende la singola figura – per quanto importante – di Stalin, e va svolta attraverso l’analisi concreta della situazione concreta, individuando il fondamentale contributo che la superpotenza tanto demonizzata ha esercitato fattivamente in favore dei tre grandi processi d’emancipazione che hanno caratterizzato il “secolo breve” costituendone una sorta di paradigma, ovvero l’emancipazione di classe, di genere e dei popoli sottoposti al dominio coloniale [4]. E proprio quest’ultimo è il più fulgido esempio di quanto la lettura dominante del liberalismo sia meramente apologetica, e specularmente innocentista quella dei suoi teorici [5], in quanto il colonialismo costituisce un troppo spesso taciuto elemento in comune tra liberaldemocrazie occidentali e nazismo, a dispetto delle reductio ad Hitlerum del comunismo basate sulla categoria di “totalitarismo”, altro bersaglio teorico di Losurdo, sulla cui discutibile genesi – nonché sull’utilizzo disinvolto da parte degli storici – egli si è spesso soffermato [6]. In ultima istanza tale sforzo di chiarificazione verso il passato ha avuto come contrappunto nella praxis politica attuale la lotta contro la “autofobia” dilagante tra molti militanti italiani che hanno finito per introiettare la narrazione storica dominante a fronte della crisi politica dei comunisti, che è a un tempo crisi degli apparati organizzativi e delle istituzioni di produzione culturale e teorica.
Occorre ricordare anche che, per Losurdo, combattere contro l’idea di fallimento non implicava uno sguardo volto esclusivamente al passato. Non può infatti essere passato sotto silenzio l’impegno volto ad approfondire in Italia la conoscenza della Cina e del “socialismo con le caratteristiche cinesi”, che costituisce il principale faro presente qui a ricordarci la profonda attualità del comunismo, che è tutt’altro che fallito, sebbene la Repubblica popolare cinese sia troppo spesso liquidata come potenza “revisionista”, o addirittura “imperialista”. Ma i giudizi sommari sono sempre lo specchio di retrostanti deficit teorici, e dietro quelli sulla Cina Losurdo ha individuato una concezione da lui definita “messianica” del marxismo e la mancata comprensione della centralità della questione nazionale (di cui Lenin e Gramsci sono stati invece maestri [7]).
Siamo giunti con questa sommaria ricostruzione ai due pilastri del programma teorico losurdiano: l’uscita del marxismo da ogni dimensione utopistico-mitologica per il suo ingresso in una dimensione scientifica (ovvero nel solco della Wissenschaft hegeliana, della scienza della totalità) e la riscoperta della questione nazionale come sola garanzia per un internazionalismo che sia espressione di universalismo concreto.
La riflessione di Losurdo ha nelle sue differenti fasi variamente messo in luce l’idea che il comunismo sia stato un gigantesco movimento di affermazione morale, di come abbia in definitiva contribuito all’affermazione sostanziale della kantiana morale universale. Consapevole che questa lotta non è giunta al suo epilogo, in uno degli ultimi interventi pubblici in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx, Losurdo ha posto l’attenzione sull’attuale ritorno in Europa di movimenti neofascisti e neonazisti, i quali si richiamano a teorie francamente razziste che lacerano l’umanità in due blocchi: quella degli uomini e quella dei sottouomini (Untermenschen). Losurdo ha sottolineato come la loro riapparizione nello scenario contemporaneo costituisca un elemento di allerta, poiché in esse la reazione si manifesta nelle sue forme più barbariche, che conduce a negare il concetto di morale come conseguenza della negazione del concetto di umanità. È un punto, questo, che ci viene preziosamente consegnato come monito di riflessione viva e di impegno attivo.
Concludiamo brevemente evidenziando quello che per noi è il più grande insegnamento dell’opera di Domenico Losurdo, ovvero che la cultura, ben lungi dall’essere un luogo di pacifica accumulazione di saperi astratti e epistemologicamente neutrali, costituisce un concreto Kampfplatz (campo di lotta). Il pensiero di Losurdo, infatti, che non ha mai messo in parentesi la dimensione storico-sociale, è interamente permeato dall’idea per la quale la filosofia non fa storia con se stessa, poiché le contraddizioni non sono da ritrovarsi nei sistemi filosofici bensì nella realtà. È in sintesi l’insegnamento di Marx: la lotta di classe è il paradigma non solo della storia, ma anche della filosofia.
Note:
[1] A. Massolo, Umanità di Fazio-Allmayer, in Logica hegeliana e filosofia contemporanea, Bemporad Marzocco, Firenze, 1967, cit. pag. 153.
[2] D. Losurdo, Il marxismo occidentale. Come è nato, come è morto, come può rinascere, Laterza, Roma-Bari, 2017.
[3] D. Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma, n.ed. 2015.
[4] Cfr. Id., Marx e il bilancio storico del Novecento, Bibliotheca, Gaeta, 1993; Id., La lotta di classe, Una storia politica e filosofica, Laterza, Roma- Bari, 2013.
[5] Cfr. Id., Il Revisionismo storico. Problemi e miti, Laterza, Roma-Bari, 1997; Id., Controstoria del liberalismo, 2005.
[6] Id., Fuga dalla storia? La rivoluzione russa e la rivoluzione cinese oggi, La città del sole, Napoli, 2005.
[7] Riportiamo per esteso un passo estremamente significativo: “Per primo il Comunismo italiano ha saputo capire la questione nazionale. Per primo Antonio Gramsci ha saputo capire che l'universalismo, l'internazionalismo, deve essere al tempo stesso collegato alla questione nazionale. Gramsci ha detto che Lenin è stato un grande internazionalista, anche perché era profondamente radicato sul terreno nazionale russo. E se appunto noi non riusciamo a capire questo collegamento tra internazionalismo e questione nazionale, certo non capiamo il socialismo dalle caratteristiche cinesi ma rinnegheremmo anche la storia e il patrimonio del movimento comunista e del Partito Comunista Italiano”. Ringraziamo Nicolò Monti per averne riportato la trascrizione.