Marx ed Engels – nel delineare la loro concezione del mondo radicalmente immanentistica, il materialismo storico – osservavano: “noi conosciamo un’unica scienza, la scienza della storia” [Ideologia tedesca]. Tutte le scienze, in effetti, non sono che determinazioni particolari di un’unica storia universale della natura e dell’uomo. La conoscenza, in particolare della storia degli uomini, è quindi decisiva in quanto, osservano ancora Marx ed Engels, “quasi tutta l’ideologia [qui intesa nel senso più deteriore del termine] si riduce o a una concezione distorta di questa storia, o a una totale astrazione da essa” [Ibidem]. Proprio perciò abbiamo deciso di incentrare il nostro corso sullo studio della storia e, in particolare, della storia contemporanea in quanto una sua adeguata conoscenza è indispensabile a comprendere il nostro mondo, prerequisito indispensabile alla sua trasformazione radicale, obiettivo imprescindibile della filosofia della prassi.
L’ideologia dominante, che è da sempre l’ideologia della classe dominante, tende a naturalizzare gli attuali assetti economici e sociali, le attuali istituzioni su cui si fonda il suo potere e i suoi privilegi, come un qualcosa appunto di naturale (come la fine o il fine della storia) e non come un prodotto storico, in quanto tale necessariamente transeunte. D’altra parte, sebbene l’ideologia neoliberista tenda in tal modo a imporsi come un pensiero unico, il mondo storico a essa improntato vive una fase di profonda e crescente decadenza, in quanto i suoi rapporti di proprietà, sempre più privati, sono progressivamente di ostacolo allo sviluppo di una produzione sempre più sociale, fondata su una divisione internazionale del lavoro.
Dunque, il mondo in cui viviamo non solo non è l’unico possibile, né tantomeno il migliore, ma il prodotto di un certo sviluppo storico e dei rapporti di forza fra le classi sociali che si sono venuti determinando nel corso del tempo. È quindi necessario, per invertire la rotta – che sta portando a una crisi generalizzata della civiltà umana e a una distruzione dello stesso ambiente naturale in cui si è sviluppata –, comprendere le ragioni storiche che hanno portato, almeno nei paesi occidentali, alla sconfitta i grandi movimenti rivoluzionari del XX secolo, favorendo l’attuale restaurazione liberista.
A questo scopo è indispensabile una controstoria in quanto la storia ufficiale è sempre narrata dai vincitori, nel nostro caso dalla grande borghesia che esercitando la propria egemonia, con il controllo dei mezzi di comunicazione e più in generale degli strumenti deputati alla formazione del consenso, ci propina costantemente una “concezione distorta della storia”, in particolare della storia contemporanea. Al punto che oggi appare dominante la prospettiva revisionista, o meglio rovescista, che tende all’apologia delle forze della conservazione e della reazione, presentando le forze del progresso e della rivoluzione come necessariamente totalitarie.
Così l’ideologia dominante tende a convincere i subalterni della necessità della loro condizione, in quanto ogni tentativo storico di trasformare radicalmente, di rivoluzionare la società capitalista giunta nella sua fase imperialista non avrebbe fatto altro che produrre una società ancora peggiore, quella società totalitaria che tanto il nazi-fascismo, quanto il comunismo mirerebbero a edificare. In tal modo anche i subalterni non completamente egemonizzati, che intuiscono la crisi irreversibile dell’attuale modo di produzione, non riescono nemmeno a immaginare una reale alternativa, visto che tutti i tentativi di costruire una società migliore sono stati sistematicamente demonizzati. Al punto che, persino nelle forze progressiste odierne, eredi dei grandi movimenti rivoluzionari del secolo breve, prevale l’autofobia nei riguardi della propria storia, che conduce da una parte alla fuga dalla storia, dall’altra a un’indiretta apologia della liberal-democrazia come il migliore dei mondi possibili.
Proprio perciò ci pare indispensabile, nella lotta per l’egemonia sul piano delle sovrastrutture culturali, provare a riconsiderare criticamente gli eventi storici del mondo contemporaneo da un punto di vista straniante, dal punto di vista dei vinti, dei subalterni, degli sfruttati. In tal modo sarà possibile demistificare l’ideologia dominante che cerca di costringerci a credere che la democrazia, ovvero il potere del popolo, sia realizzabile soltanto negli angusti spazi dello Stato liberal-democratico, sebbene quest’ultimo sia sempre più segnato da una tendenza regressiva al bonapartismo regressivo.
La controstoria del mondo contemporaneo sarà anche indispensabile per comprendere i reali motivi del progressivo esaurirsi della spinta propulsiva del poderoso assalto al cielo apertosi, un secolo fa, con la Rivoluzione d’ottobre. Dal momento che, come è noto, solo sbagliando e riflettendo sui propri errori gli uomini imparano a implementare ulteriormente il loro processo di sviluppo storico, soprattutto quando si tratta di edificare un assetto sociale ed economico del tutto inedito e fino ad allora considerato una irrealizzabile utopia. D’altra parte se sbagliare è umano – soprattutto quando ci si spinge coraggiosamente in avanti percorrendo strade sino ad allora inesplorate, in quanto generalmente considerate inaccessibili – perseverare nell’errore è diabolico, in quanto impedisce di tesaurizzare la propria esperienza storica, e non può che impedire alle classi subalterne di emanciparsi.
D’altra parte la necessaria autocritica, indispensabile a rielaborare l’attuale sconfitta storica del movimento rivoluzionario di emancipazione, non può che essere condotta dal punto di vista e negli interessi dei vinti e non dei vincitori, che vogliono far credere che il tentativo stesso di trasformare radicalmente l’esistente sia in quanto tale fallimentare e non possa che produrre una distopia totalitaria. Allo stesso modo, l’esigenza di costruire una società migliore e radicalmente alternativa all’attuale implica la necessità di non ripartire da zero, come vorrebbe imporci l’ideologia dominante. Il rilancio della prospettiva socialista, passa, infatti, dalla riappropriazione della propria storia, del patrimonio che si è storicamente elaborato – sebbene in modo necessariamente contraddittorio – nel processo di lotta contro l’imperialismo e nella costruzione di una società non più fondata sullo sfruttamento della grande maggioranza dell’umanità lavoratrice a vantaggio di una minoranza sempre più ristretta e parassitaria.
Il corso si rivolge, dunque, ai grandi sconfitti e a chi ha ereditato la battuta d’arresto dell’assalto al cielo che ha segnato di sé il secolo breve, in particolare si rivolge a coloro che non hanno ancora abbandonato il grande progetto gramsciano della rivoluzione in occidente. La rielaborazione collettiva della storia contemporanea dal punto di vista delle classi subalterne, diverrà così il necessario punto di partenza della riconquista della propria coscienza di classe, indispensabile per chi aspira a tornare a essere un protagonista attivo del processo storico, senza autocondannarsi a subirlo come un oscuro e ineluttabile destino.
Ciò ci permetterà di riconsiderare da un punto di vista critico, rispetto al pensiero unico dominante, anche i principali eventi contemporanei, dai rischi di una nuova guerra in Corea, ai tragici eventi che stanno rilanciando il colonialismo ai danni del popolo palestinese, dal contraddittorio sviluppo della Repubblica popolare cinese, al reale obiettivo del processo di costruzione dell’Unione europea, dalla reale natura del fondamentalismo islamico, alla parabola che ha portato la maggioranza dei dirigenti del più grande Partito Comunista del mondo occidentale a rendersi complici dell’attuale restaurazione liberista.
Dunque la prospettiva, da cui rielaborare criticamente la storia contemporanea, non potrà che essere quella scientifica, elaborata a partire dalla concezione materialistica della storia di Marx ed Engels, in cui le vicende politiche, militari, ideologiche e culturali saranno sempre considerate nel rapporto dialettico di relazione reciproca che le lega, in quanto sovrastrutture, al fondamento strutturale socio-economico. D’altra parte la nostra interpretazione della storia, in quanto tale, non potrà pretendere dogmaticamente di essere oggettiva, nel senso di neutrale, come se fosse possibile limitarsi a narrare, con il distacco dell’entomologo i “puri” fatti storici. Infatti nella stessa selezione e rilievo da dare agli eventi del passato, se non ci si vuole limitare alla pura cronaca o meglio alla mera registrazione di dati di fatto necessariamente non di ampio respiro, bisogna darsi una scala di valori e di priorità. L’uomo oltre a essere un animale razionale è altrettanto necessariamente mosso da passioni e nel suo confrontarsi con la storia non può che farlo dal proprio particolare punto di vista radicato altrettanto necessariamente in un presente che si proietta nel futuro. Quindi, la nostra interpretazione storica non potrà che essere parziale e partigiana come ogni altra, il che ovviamente non significa nella stessa misura di qualsiasi altra. In primo luogo perché, a differenza delle narrazioni ideologiche, la nostra interpretazione storica si fonda su quello che è il motore dello sviluppo storico le lotte di classe e, quindi, innanzitutto il conflitto fra le forze che mirano all’ulteriore emancipazione del genere umano e quelle che puntano a impedirlo o che si battono, in modo più o meno aperto e consapevole, per la de-emancipazione. Lotta di classe fra sfruttati e sfruttatori sul piano nazionale e internazionale, dal punto di vista economico e sociale, ma anche dal punto di vista di genere e “razziale”. In secondo luogo perché la prospettiva da cui guardiamo alla storia non è schiacciata dalla necessità ideologica dell’apologia, o peggio della naturalizzazione del presente, ma è rivolta alla prospettiva della realizzazione di un mondo migliore, più giusto e razionale. Perciò la storia passata non sarà considerata in modo finalistico come necessariamente orientata a realizzare l’attuale restaurazione liberista, come se il liberismo fosse il fine o la fine della storia. Al contrario si tratterà di riconsiderare il passato proprio per comprendere le cause e gli errori che hanno prodotto l’attuale insoddisfacente stato di cose, in cui il processo di emancipazione del genere umano pare aver subito una pesante battuta d’arresto, al punto che le nuove generazioni, almeno nel mondo occidentale, tendono a considerare come un paradiso perduto le condizioni di vita della generazione precedente.
Il corso "Controstoria del secolo breve (dal secondo dopoguerra ai giorni nostri)" è tenuto dal prof. Renato Caputo nell'ambito della programmazione proposta dall’Università Popolare "Antonio Gramsci". Le lezioni del corso si svolgeranno il mercoledì dalle ore 18 alle 21 al circolo Arci Millefiori in via Goito 35 b (fra Castro pretorio e la Stazione Termini di Roma). Le videoregistrazioni dei corsi, a partire da quelle relative alla prima parte del corso (dalla Prima alla Seconda guerra mondiale) tenute l’anno scorso, sono disponibili on line. Iscrivendosi al canale you tube dell'Università popolare Antonio Gramsci si potranno visualizzare tutte le lezioni dei corsi finora tenuti.
Calendario del corso:
1. Incontro (20 dicembre) IL SECONDO DOPOGUERRA: il nuovo assetto geo-politico mondiale; l’Onu; Il piano Marshall.
2. (27 dicembre) LA DIVISIONE DEL MONDO e LA GUERRA FREDDA: l’Italia dal 1945 al 1948; le democrazie popolari; il dopoguerra nell’Europa occidentale.
3. (3 gennaio) GLI ANNI CINQUANTA NEL MONDO OCCIDENTALE: il sopravvento del moderatismo; gli Usa di Truman ed Eisenhower; i primi passi dell’integrazione dell’Europa centro-occidentale; le forze conservatrici al potere in Europa e in Giappone; l’Italia negli anni del “centrismo”.
4. (10 gennaio) GLI ANNI CINQUANTA NEL MONDO ORIENTALE: la nascita della Cina socialista; la destalinizzazione e la rivolta in Ungheria (1956); lo sviluppo economico sovietico; Kruscev al potere.
5. (17 gennaio) coesistenza pacifica, decolonizzazione e terzo mondo: Usa. e Urss. dalla guerra fredda alla difficile coesistenza; la fine del colonialismo franco-britannico; il conflitto arabo-israeliano; decolonizzazione e Terzo mondo; la politica estera cinese: dall’amicizia con l’U.r.s.s. alla crisi dei rapporti sino-sovietici.
6. (31 gennaio) GLI ANNI SESSANTA NEL MONDO OCCIDENTALE: gli Stati Uniti da Kennedy a Nixon; la rivoluzione cubana; l’Europa occidentale negli anni Sessanta; l’Italia dal “centro-sinistra” all’“autunno caldo”.
7. (7 febbraio) GLI ANNI SESSANTA NEL MONDO ORIENTALE: l’Urss da Kruscev a Breznev; la “primavera cecoslovacca” e la repressione sovietica; l’inasprimento del conflitto sino-sovietico; la rivoluzione culturale in Cina.
8. (14 febbraio) IL TERZO MONDO: L’India nel dopoguerra; la liberazione dell’Africa dal colonialismo; l’America latina dal populismo alle dittature militari; la guerra del Vietnam.
9. (21 febbraio) GLI ANNI SETTANTA: gli Usa dall’omicidio dei Kennedy al Sessantotto; la Cina dopo la rivoluzione culturale; la crisi petrolifera del 1973.
10. (28 febbraio) GLI ANNI OTTANTA
11. (7 marzo) GLI ANNI NOVANTA: gli Stati Uniti d’America sola grande potenza mondiale; i nuovi termini della questione arabo-israeliana; i nuovi conflitti internazionali dopo la fine della guerra fredda.
12. (14 marzo) IL PRIMO DECENNIO DEL XXI SECOLO: i nuovi termini della questione arabo-israeliana; i nuovi conflitti internazionali dopo la fine della guerra fredda; il mondo alle soglie del terzo millennio.
13. (21 marzo) I NOSTRI GIORNI: il radicalismo islamico; la casa comune europea.
14. (28 marzo) LA STORIA D’ITALIA DAGLI ANNI SETTANTA AGLI OTTANTA: il rinnovamento della società italiana; la strategia della tensione; il terrorismo; la crisi economica.
15. (4 aprile) LA STORIA DI ITALIA DAGLI ANNI NOVANTA AI GIORNI NOSTRI: scandali e questione morale; l’Italia negli anni novanta; il primo decennio del ventunesimo secolo.