Dei soggetti economici – banchieri, mercanti, imprenditori – avevano preso progressivamente coscienza degli interessi comuni che li univano nel conflitto con altri soggetti economici, i proprietari terrieri, che, pur perdendo il controllo della società civile, pretendevano di mantenere il potere politico. Mediante lo sviluppo della coscienza in autocoscienza era sorta una nuova classe sociale che aveva svolto l’opposizione sociale in contraddizione politica superandola – facendola precipitare – mediante una serie di rotture rivoluzionarie, in un nuovo fondamento, un nuovo sistema modellato a sua immagine e somiglianza dal punto di vista strutturale e sovrastrutturale: lo stato politico e la corrispondente società civile borghese.
Tuttavia l’universalità del nuovo Stato si dà solo in opposizione alla reale particolarità della società civile, che ne costituisce un limite invalicabile. Si tratta dunque dell’universalità formale della sfera politica, che pretende di poter astrarre dalla sfera sociale, e non della razionalità effettuale della concezione hegeliana dello Stato moderno. Lo spirito politico fu liberato dalla dispersione, dai vincoli della società medievale, ma in un ambito distinto che il singolo individuo ha difficoltà a riconoscere come proprio. L’universalità dello Stato è una mera astrazione dell’intelletto, in quanto presuppone al di fuori, in opposizione a sé, la particolarità della società civile. Marx rimprovera alla scuola hegeliana di non essersi emancipata dalla concezione giusnaturalista, di legittimare il dualismo del mondo borghese che contrappone l’universale statuale all’individualismo della società.
La concezione idealistica hegeliana dello Stato, la cui identità dovrebbe ricomprendere in funzione subordinata la differenza della società civile, è perciò criticata da Marx. La forma più complessa e astratta, lo Stato, non è posta a partire dalla sua base reale (ossia famiglia e società civile) ma, al contrario, pare essere lo Stato a realizzarsi nella famiglia e nella burgerlische Gesellschaft, che sono posti quali meri momenti. A parere di Marx, nella concezione hegeliana il concetto, invece di essere predicato d’un soggetto reale, si pone quale soggetto, di cui gli uomini reali appaiono meri predicati. Non i soggetti reali determinano il concetto, ma ne sono determinati. Tale dovrebbe essere, quanto meno nella Critica alla filosofia del diritto pubblico, la base del rovesciamento materialistico della dialettica idealistica hegeliana. Come ricorderà più tardi Marx, richiamando quest’opera: “la mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di «società civile»; e che l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica” [1].
Rispetto alla Critica al diritto pubblico hegeliano ha osservato Eric Hobsbawm: “in quella fase Marx era un democratico, ma non ancora un comunista, e il suo approccio ha quindi qualche analogia con quello di Rousseau, sebbene gli studiosi che hanno cercato di stabilire un legame diretto tra i due pensatori si siano dovuti arrendere di fronte al fatto inconfutabile che «mai Marx diede il ben che minimo segno di rendersi conto» di questo presunto debito filosofico verso il ginevrino. Il punto centrale della critica di Marx consiste nella dimostrazione che lo Stato è soltanto un aspetto della società civile” [2].
D’altra parte il giovane Marx non pare tenere ancora nel dovuto conto che la genesi storica non corrisponde necessariamente all’esposizione logica, dal momento che solo la struttura storicamente posteriore, la più complessa, lo Stato moderno, permette di dar conto delle precedenti. Solo la totalità permette di comprendere il particolare, la forma pienamente evoluta le precedenti che pone quali propri momenti. Come osserverà Marx stesso, nell’Introduzione a per la Critica dell’economia politica del 1857, è l’antropologia dell’uomo che permette di comprendere quella della scimmia e non viceversa.
Tuttavia, l’asserita razionalità dello Stato moderno hegeliano non è che raziocinio, in quanto non si dimostra in grado di togliere nel reale l’esistente, cioè di regolamentare il particolarismo della società civile, ma ne costituisce la copertura ideologica sancendo giuridicamente quale diritto umano la proprietà privata. Il particolarismo è universalizzato, per cui la presunta razionalità dello Stato moderno non è che la riproduzione idealizzata, ideologica di quest’ultimo. “Questo rovesciamento del soggettivo nell’obbiettivo – nota Marx – e dell’obbiettivo nel soggettivo (rovesciamento che proviene da ciò, che Hegel vuol scrivere la storia dell’astratta sostanza, dell’idea, e che l’umana attività deve dunque apparire come attività e risultato di qualcosa d’altro, e che Hegel vuol fare agire come un’immaginaria individualità l’essere dell’uomo per sé, invece di lasciarlo agire nella sua reale, umana esistenza) ha necessariamente il risultato che acriticamente viene assunta una empirica esistenza come la reale verità dell’idea; ché non si tratta di addurre la verità ad una empirica esistenza, onde l’esistenza empirica la più immediata è dedotta come un reale momento dell’idea” [3].
Marx riprende la critica di Hegel a Kant per rivolgerla contro il suo ideatore. L’universale, il razionale hegeliano sarebbe astratto, formale, come la cittadinanza, l’eguaglianza politico-costituzionale che però sancisce la disuguaglianza della società civile, dunque Hegel scambierebbe per reale, dunque razionale, l’esistente rapporto di signoria e servitù sociale che ipostatizza quale realizzazione del concetto di Stato. In tal modo il razionale hegeliano è descrittivo dell’esistente, ovvero dell’apparente dominio della sfera statuale sul particolarismo della società civile, ma non è utile alla sua razionalizzazione, alla sua trasformazione in quanto riproduce l’apparente senza coglierne l’essenza, in quanto non porta la contraddizione al fondamento per scioglierla, ma la fissa in un’astratta opposizione e in una fittizia unità.
La rivoluzione borghese libera l’individuo dalla sua determinazione immediatamente politica – propria dell’eticità ancora immediata del mondo feudale – ma non ne riconosce, l’essenza sociale che estrania, proietta teologicamente nell’iperuranio politico, il quale si definisce proprio in contrapposizione alla deiezione d’una società abbandonata al dominio degli spiriti animali del capitale, moventi d’un individuo che si pone per sé in contrapposizione al proprio essere sociale. “Hegel – nota Marx – concepisce gli affari e le attività statali astrattamente per sé e come loro contrario l’individualità particolare. Ma egli dimentica che l’individualità particolare è umana e che gli affari e le attività statali sono funzioni umane; egli dimentica che l’essenza della «personalità particolare» non è la sua barba, il suo sangue, il suo fisico astratto, ma bensì la sua qualità sociale, e che gli affari statali etc. non sono nient’altro che modi di esistenza e attività delle qualità sociali degli uomini. S’intende dunque che gli individui, in quanto rappresentanti degli affari e poteri statali, sono riguardati secondo la loro qualità sociale e non secondo quella privata” [4].
Per poter accedere all’empireo della comunità statuale l’uomo è costretto a spogliarsi della sua socialità, vissuta ancora quale destino estraneo nel medioevo in cui è costretto dalla nascita in un ceto determinato. In tal modo la sfera politica si riduce a un puro spirito astratto, deprivato di materialità, a una razionalità priva di realtà, mentre la vita civile – perdendo la precedente parvenza di universalità – si degrada agli interessi particolari, materiali, a un esistente privo di razionalità. Così “il compimento dell’idealismo dello Stato fu contemporaneamente il compimento del materialismo della società civile. La soppressione del giogo politico fu al tempo stesso la soppressione dei legami che tenevano vincolato lo spirito egoista della società civile. L’emancipazione politica fu al tempo stesso l’emancipazione della società civile dalla politica, dalla parvenza stessa di un contenuto universale” [5]. La ricomposizione di tale dualismo solo ideologicamente, idealisticamente avviene a vantaggio del momento razionale, politico. La volontà dominante che si manifesta come Stato è il prodotto dell’organizzazione sociale, mutando i rapporti di forza al suo interno cambia di conseguenza la forma statuale che la rappresenta. “Non si dirà dunque che lo Stato esiste in virtù della volontà dominante, ma che lo Stato sorto dal modo di esistenza materiale degli individui ha anche la forma di una volontà dominante. Se quest’ultima cessa di dominare, non è mutata soltanto la volontà, bensì anche l’esistenza e la vita materiale degli individui, e solo per questo è mutata la loro volontà” [6].
La nuova forma statuale, prodotto della rivoluzione politica, ha dunque la sua base reale “nei rapporti materiali dell’esistenza, ovvero nella hegeliana società civile. Lo Stato non supera veramente le differenze esistenti nella società civile in quanto si limita a identificarle nella sua universalità lasciandole sussistere quali indifferenti, accidenti costitutivi del particolare, del suo statuto privato. Per cui al livello universale della legge ognuno può essere presidente degli Usa, ma poi in realtà dipende dal patrimonio privato. Del resto “l’identità, da lui costruita, di società civile e Stato è – a parere di Marx – l’identità di due armate nemiche, in cui ogni soldato ha la «possibilità» di diventare, per «diserzione» membro dell’armata «nemica» e certamente Hegel descrive con esattezza la situazione empirica odierna” [7]. D’altronde si tratta di differenze non accidentali, ma essenziali alla società civile, alla sua struttura fondata sulla divisione della società in due classi sociali [8]: i possessori dei mezzi di produzione e dei mezzi di sussistenza e un proletariato che per accedervi è necessitato a vendere la propria forza lavoro come merce.
Note:
[1] Karl Marx, Per la critica dell’economia politica [1859], Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 4.
[2] Eric J. Hobsbawm, Gli aspetti politici della transizione dal capitalismo al socialismo, in AA. VV., Storia del marxismo, vol. I, Einaudi, Torino 1978, p. 250.
[3] Karl Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti. Roma 1971, p. 17.
[4] Ivi, p. 9.
[5] Bruno Bauer, Karl Marx, La questione ebraica, tr. it. di M. Tomba, Manifestolibri, Roma 2004, pp. 197-198. In tale passaggio sono già presenti in nuce gli elementi fondamentali della concezione materialistica della storia che Marx svilupperà negli anni seguenti.
[6] K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, tr. it di F. Codino, Ed. Riuniti, Roma 1967, p. 314.
[7] Karl Marx, Critica della…, op. cit., p. 26.
[8] In effetti, “infine scompare la differenza tra capitalista e proprietario fondiario, così come scompare la differenza tra contadino e operaio di fabbrica, e tutta intera la società deve scindersi nelle due classi dei proprietari e degli operai senza proprietà” Id., Manoscritti economico filosofici del 1844, a cura di Norberto Bobbio, Giulio Einaudi editore, Torino 1968 p. 69.