Quinta parte della riflessione del grande dirigente portoghese sulle modalità attraverso le quali è possibile costruire ed esprimere la volontà del soggetto collettivo partito; in attesa che il suo saggio Il Partito dalle pareti di vetro sia pubblicato per intero, proseguiamo a proporre su La Città Futura ampi stralci del testo tradotti in italiano.
di Annita Benassi
segue da Parte IV
Maggioranza, consenso, unanimità
La sottomissione della minoranza alla maggioranza è una regola essenziale da quando è compresa come espressione di tutto il ricco funzionamento del Partito. Cioè, inserita in uno stile caratterizzato dalla direzione collettiva e lavoro collettivo e dal diritto e la libertà di opinione e di critica.
Se la sottomissione della minoranza alla maggioranza è intesa come una forma semplificata di decisione e di disciplina, finisce per essere non una regola democratica e una pratica democratica ma un processo democratico, falsificando grossolanamente la democrazia interna. Se, per esempio, in un organismo determinato, una parte maggioritaria dei compagni abbrevia o elimina le discussioni, se si disinteressa delle opinioni degli altri e ricorre sistematicamente alla votazione maggioritaria, deturpa e infrange il vero principio di decisione per votazione maggioritaria. Nella decisione per maggioranza non è la votazione in sé la cosa fondamentale.
La cosa fondamentale è accertare una opinione collettiva maggioritaria quando non può essere unanime. Votazioni fatte per accertare attraverso il voto maggioritario che non risiedono in un aperto, franco e profondo scambio di opinioni e nella conoscenza e nell'esame attento e reciproco di queste opinioni, sono un atto formale che assicura, certamente, che a decidere sia il maggior numero, ma non assicura che il maggior numero decida secondo coscienza. In condizioni di vita meno democratiche, la decisione per votazioni sistematiche presenta un pericolo supplementare: la tendenza per una posizione conformista,votando con i più responsabili, non cercando né di comprendere il problema in discussione né di prendere una posizione conforme alla propria coscienza.
L'accettazione del principio che le decisioni siano prese a maggioranza non significa che in ogni caso si abbia votazione. La votazione deve essere fatta quando è necessario. Può in qualche caso essere il miglior processo di accertamento. Non il processo normale e obbligatorio. Così, in numerose questioni di ordine pratico e di carattere secondario, è molte volte preferibile, in base a proposte iniziali e a un brevissimo tempo per obiezioni eventuali, procedere a una votazione che aprire e chiudere discussioni.
Rispetto alle questioni più importanti, specificatamente a decisioni politiche, se esiste un vero lavoro collettivo, non è necessario, salvo casi eccezionali, procedere ad una votazione. Lo stesso dibattito permette il chiarimento e la formazione di una opinione collettiva. L'opinione collettiva deriva con naturalezza dallo stesso dibattito. Un documento redatto o un compagno con un intervento orale concretizza la conclusione, questa riceve eventualmente una o un'altra proposta al fine di un maggior rigore e si ha la conclusione collettiva, senza che sia necessaria una votazione. A volte, a questa forma di prendere decisione viene dato il nome di consenso.
La parola è adatta. Ma è necessario essere vigili contro certe forme sbagliate di comprendere il consenso. Una conclusione collettiva presa senza votazione, nel quadro di un lavoro collettivo, non può essere confusa con conclusioni unilaterali, frettolose e tendenziose - di un dibattito incompleto in cui non tutti espressero le loro opinioni - presentate come “consenso”. L'approfondimento del lavoro collettivo fa evolvere le decisioni prese a maggioranza verso decisioni prese per consenso. Un approfondimento ancora maggiore finisce per condurre all'unanimità. Nel quadro del lavoro collettivo, l'unanimità appare come una superiore prova della democrazia esistente.
Ci sono, certamente, esempi di situazioni in cui l'unanimità può essere espressione di un ambiente di coazione politica e psicologica, di un funzionamento antidemocratico, dell'esistenza del culto della personalità, di un concetto burocratico o militarista della disciplina e dell'unità. Nel PCP, l'unanimità appare nella vita attuale come il culmine di tutto un processo democratico di partecipazione e intervento creativo dei militanti, di continuato, ampio e profondo lavoro collettivo. Osservatori superficiali rimangono sorpresi, quando, in un congresso o in una conferenza nazionale, o in assemblee di organizzazione del Partito, centinaia o migliaia di delegati approvano all'unanimità i documenti fondamentali. Ma sono ancora più sorpresi, quando vedono levarsi nell'aria la foresta di carte rosse e l'esaltante entusiasmo che accompagna la votazione e il suo risultato.
Cercano di spiegare questo fenomeno (sospetto ai loro occhi) con qualche filtraggio di delegati, con qualche terribile disciplina di tipo militare, con qualche forma di pressione o coazione, o ancora con un ritardo politico e mentale dei membri del Partito, che voterebbero tutto ciò che gli è proposto perché incapaci di pensare e di avere una opinione. Alcuni arrivano perfino a paragonare queste votazioni e questa unanimità verificata nel PCP con i dibattiti conflittuali e numerose e minuziose votazioni a maggioranza e minoranza verificate in congressi di altri partiti, concludendo che è in questi ultimi c'è la democrazia, mentre l'unanimità nel PCP dimostra la sua mancanza.
Questa valutazione dimostra la profonda ignoranza della realtà e un criterio superficiale, limitato, burocratico e piccolo borghese della democrazia. Infatti, in questi altri partiti citati, perché si verificano dibattiti tanto acuti e conflittuali nei loro congressi? Perché si assiste a divisioni tanto profonde e costanti in relazione a tutti i problemi discussi? Perché si polarizzano tante volte le opinioni e votazioni intorno a piattaforme politiche divergenti e di dirigenti in permanente conflitto? Perché questa necessità di votazioni dettagliate a proposito di cose tanto piccole? Questo accade perché non esiste una vera democrazia interna, perché si ammettono e si prolungano situazioni antidemocratiche, perché non c'è la ricerca costante di contributi dei militanti e di accertamenti democratici, perché non esiste lavoro collettivo.
In questi casi, gli accesi dibattiti e votazioni conflittuali prese sempre per maggioranza e minoranza sono l'esplosione pubblica e globale della mancanza di democrazia interna. Nel PCP, l'unanimità deriva da tutto un lavoro anteriore e profondo nel quale i militanti parteciparono, intervennero, contribuirono al risultato con le loro opinioni e le loro proposte.
Quando si assiste ad una votazione di massa e unanime in una grande iniziativa del Partito, questa votazione significa, da parte di ognuno, che riconosce che si sta approvando non qualcosa che proviene dall'alto e gli è estranea ma qualche cosa che è anche sua, per il contributo che ha dato o avrebbe potuto dare se lo avesse giudicato necessario. Le votazioni unanimi e entusiaste sono l'espressione finale di tutto un processo democratico di dibattito, definizione e decisione. Ma non solo. Sono anche l'espressione di tutta una realtà più ampia, più profonda e più ricca, abbracciando tutti gli aspetti della vita e l'attività del Partito.
Nel PCP, l'unanimità verificata nei congressi pervade la realtà della direzione collettiva e del lavoro collettivo, la pratica del riconoscimento dei diritti uguali di tutti i militanti, la profonda democrazia interna esistente e la coscienza di tutti che questa esiste ed è assicurata.