La storia del segretario del Pci e i temi cardine della politica berlingueriana nel libro di Guido Liguori. L’uomo e il politico che ha contribuito alla costruzione del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta e Ottanta. Da funzionario togliattiano alla segreteria di Luigi Longo. Il compromesso storico e la questione morale. La politica internazionale. L’invito rivolto ai giovani, ma soprattutto la svolta finale a Sinistra.
Come non ricordarlo nel trentennale della sua scomparsa. Come non ricordarlo sempre. Come non ripercorrere oggi con la memoria quegli anni della nostra gioventù in cui c’era lui. Ripercorrerli per avere delle risposte a quel che é stato l’uomo e il politico, a quel che è stato il Partito Comunista Italiano. E il feedback della sua storia, della storia del partito di quel periodo è sicuramente positivo e vincente.“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente”, lo ricordò così Indro Montanelli, in occasione dei suoi funerali nel 1984. Gli anni Settanta del Novecento sono stati per la storia del comunismo italiano gli anni di Berlinguer, anni che hanno segnato la storia della nostra “bella gioventù”. Berlinguer ci faceva sognare un’Italia migliore “..un’Italia che non era famosa solo per il cibo e per il vino, ma anche per la ricerca di un’originale coniugazione di democrazia e socialismo che suscitava interesse e rispetto in tutto il mondo”.
Così descrive quel periodo felice, Guido Liguori nella premessa del suo ultimo saggio “Berlinguer rivoluzionario”, edito da Carocci. E ci voleva questo saggio. Ci voleva per pensare, per ricordare e per riflettere sul senso che davamo alla politica, su cosa significava un tempo essere comunisti.
L’appartenenza a un partito in cui non c’erano altre forze che quella dell’unità e della lotta di classe, soprattutto non c’erano tante sinistre, né divisioni in correnti. Non c’era altro che la lotta di classe per contrastare il capitalismo e per conquistare l’egemonia in un paese già allora dilaniato dalla corruzione. Di quel comunismo, di quel modo di fare le nostre lotte, Berlinguer ne era il protagonista. Un politico in “totus”. Soprattutto un uomo di grande integrità morale e intellettuale che ha saputo coinvolgere le masse popolari. Vi era un tempo quindi, il tempo di Berlinguer, in cui la politica era una cosa seria e priva di interessi personali, un tempo in cui le idee erano gli ideali, i nostri ideali da sventolare con orgoglio e con convinzione. E, riferendosi alla possibilità reale di fare una buona politica, scrive Liguori “ ..chi si sacrifica per essa e a essa dedica la vita, è un uomo da rispettare, come fu rispettato universalmente, quel comunista forte e timido insieme che fu Enrico Berlinguer”.
Già dalla copertina del libro curiosità e attrazione per i contenuti sono inevitabili. Perché l’uomo del compromesso storico e del sostegno ai governi di solidarietà nazionale viene definito un rivoluzionario? In realtà l’autore, nel suo libro avanza molte riserve sul compromesso storico, pur riconoscendo le motivazioni che spinsero tutto il Pci a proporlo alla Dc. È soprattutto nel secondo Berlinguer, quello dei primi anni Ottanta che riconosciamo il politico “rivoluzionario”, citato così dall’autore. Non solo l’uomo della ‘questione morale”, ma il fautore dei grandi movimenti dell’epoca, come sono stati il movimento femminista e quello pacifista, ma anche quello ecologista, oltre a quello operaio. Questa è stata la migliore politica di sinistra di Berlinguer, quella più viva e vivace, quella che più è rimasta nel cuore del Pci.
Fra una presentazione e l’altra della sua ultima opera letteraria su Berlinguer, Guido Liguori, docente universitario dell’Universita’ della Calabria, scrittore e saggista di molti testi gramsciani, si è fermato a parlarne, il 15 novembre, anche alla “BiblioGramsci”, la biblioteca popolare del circolo Prc di Valmelaina-Tufello, “nata” il quattro ottobre scorso. Intervistato da Valerio Strinati, presidente dell’Università popolare “Antonio Gramsci”, ha risposto con un’accurata analisi sui punti cardine della politica berlingueriana. «Partire dalle questioni internazionali per delineare la figura di Berlinguer è giusto e necessario. Berlinguer ha sempre avuto una vocazione per la politica internazionale, perché negli anni Cinquanta il giovane segretario faceva parte della Fgci e per un paio d’anni fu il principale esponente del movimento che comprendeva tutti i giovani comunisti a livello mondiale. Tant’è che fa la spola tra Budapest (sede dell’organizzazione) e l’Italia. Ha modo quindi di conoscere, fin da giovane, il mondo sovietico e il mondo del comunismo internazionale e di avere rapporti con i compagni dell’Unione sovietica». Liguori poi prosegue sulla scelta di Longo di affidare la direzione del partito a Berlinguer: «All’indomani dei fatti di Praga, Berlinguer scavalca il candidato numero uno, Giorgio Napolitano, e viene scelto come futuro segretario del Pci, proprio per la sua esperienza internazionale. Napolitano non aveva, né la frequentazione, né la capacità che aveva Berlinguer di dialogare con i sovietici e di non cedere alle loro pressioni». «Ovviamente questo è un processo contradditorio», continua l’autore. «Il fatto di rivendicare l’autonomia dei comunisti italiani e poi sempre più negli anni di marcare l’importanza della visione del partito comunista italiano, fa sì che la divisione con l’Unione Sovietica cominci ad essere una divisione di fondo sull’idea di socialismo da costruire nella democrazia». Liguori ricorda al proposito il famoso “Memoriale di Yalta” che Togliatti scrive pochi giorni prima di morire, da consegnare ai sovietici, in cui ribadiva la possibilità di raggiungere il socialismo attraverso vie diverse dal modello dell'Urss.
Il saggio di Liguori è davvero un tuffo in quel ventennio di storia vissuta con passione, una storia che non va dimenticata. Si potrà riattualizzare il pensiero del segretario del Partito Comunista Italiano in questa “povera” Italia e in una possibile (?) altra Europa? E nella ricorrenza del trentennale della sua morte, strumentalizzata da alcune correnti politiche che hanno paragonato il compromesso storico alle larghe intese, come ricordare onestamente Berlinguer? «Non è detto che bisogna fermarsi a Berlinguer e alle sue idee, ma sicuramente esse non vanno rimosse o mal interpretate. Bisognerebbe rileggere tutto ciò che lui ha scritto per renderci conto che le sue sono idee ancora importanti e valide che hanno ancor oggi molto da insegnarci», pensa l’autore.
E un invito ai giovani dall’autore (nella premessa del libro). “Mi piacerebbe che anche i più giovani, le ragazze e i ragazzi di oggi, imparassero a capire chi è stato e che cosa ha pensato Berlinguer. Vorrei che innanzitutto loro fossero i destinatari di questo libro”.