Se la critica di Marx ai diritti umani (borghesi) è spesso molto radicale, d’altra parte non assume mai un carattere utopista. Come è noto, infatti, Marx ha decisamente una propensione maggiormente realista che utopista. Al punto che non solo riconosce l’influenza progressista della dichiarazione dei diritti umani persino in Alessandro II, zar di Russia, ma non esita a sostenere che la posizione dell’imperatore influenzerà la storia universale: “se la nobiltà russa non si convincerà che è ormai arrivato il 4 agosto (1789), e non si persuaderà dunque della necessità di sacrificare i propri privilegi sui patri altari, risulterà che il governo russo ha corso un po’ troppo, visto che è già arrivato alla «dichiarazione dei diritti dell’uomo». Che ve ne pare, infatti, di un Alessandro II che proclama dei «diritti che appartengono ai contadini come diritti di natura e mai avrebbero potuto essere loro strappati»? Strani tempi davvero! Nel 1846 un papa dà il via a un movimento liberale; nel 1858 un autocrate russo, un samoderjetz vserosiiski, proclama i diritti dell’uomo! E vedremo come la proclamazione dello zar sia destinata ad avere un’eco mondiale e in ultima analisi un effetto di gran lunga maggiore di quella del liberalismo del papa” [1]. La complessità dialettica del giudizio di Marx sui diritti umani ha favorito un significativo dibattito. Vi è chi, ad esempio G. A. Cohen, B. Bourgeois, Z. Husami, E. Bloch ecc., ritiene che Marx, pur criticando la concezione borghese, nella propria concezione politica si richiama, in modo più o meno esplicito, a tali diritti. Altri, come S. Lukes, G. Brenkert, E. Kuovelakis, U. Cerroni ecc., ritengono, al contrario, che la tesi continuista fra dichiarazione dei diritti umani e marxismo sia revisionista, in quanto perderebbe di vista un elemento essenziale della riflessione marxiana e, nei fatti, abbandonerebbe la necessità del superamento della società capitalistica fondata su tali diritti. In parallelo a questo primo dibattito se ne sviluppa un secondo sulla relazione fra diritti umani e società borghese che, sostengono i critici del continuismo sarebbe un rapporto indissolubile, dunque, non esisterebbero diritti umani in quanto tali, ma diritti borghesi, naturalizzati da questa classe in diritti naturali, a partire dal giusnaturalismo. Al contrario, i continuisti insistono sulla universalità dei più significativi diritti umani, che li porta a sostenere che Marx, avendo una concezione normativa del diritto e della giustizia, faccia almeno implicitamente riferimento al concetto di diritto naturale o umano. Quest’ultima posizione è così sintetizzata, in modo critico, da Cerroni: “è infatti largamente diffusa l’idea che – al livello teorico – la rivendicazione socialista di Marx si riduce a una integrazione sociale delle moderne Dichiarazioni dei diritti, così come la libertà socialista si ridurrebbe – nel pensiero di Marx – alla prestazione di un contenuto sociale reale ai formali diritti di libertà moderni. Questa interpretazione è pressoché corrente: la si ritrova tra studiosi marxisti e non marxisti, e tra studiosi marxisti di differente orientamento politico: sta, per esempio, alla base degli scritti di Bernstein, di Kautsky, di Vysinskij, di Mondolfo e di Strachey. Esemplare è, in proposito, la posizione di Strachey che proclama appunto essere il compito del socialismo l’attuazione del «secondo tempo» della «trinità laica» di Libertà-Eguaglianza-Fraternità. In effetti, Marx fornisce una testuale critica di questo «secondo tempo» proprio nella Questione ebraica” [2]. La posizione continuista è altrettanto ben delineata da un altro marxista critico rispetto a tale concezione: “se i «diritti» dell’uomo e del cittadino sono dei diritti reali, e se l’«estensione» della cittadinanza li ha «arricchiti» di tutta una serie di «diritti sociali», l’obiezione di Marx relativa ai limiti invalicabili del diritto non è stata «praticamente» invalidata dall’evoluzione storica (di cui si può d’altra parte ammettere che è dovuta, in gran parte, agli effetti della sua critica?) E in questo caso, piuttosto che abbandonare il riferimento ai diritti dell’uomo, non conviene piuttosto impadronirsene per ridefinirne il contenuto?” [3].
D’altra parte la posizione continuista è presentata in forma maggiormente problematica da un suo sostenitore, Bourgeois, il quale fa notare come i diritti umani non possano essere considerati un fine assoluto, in quanto l’uomo diviene fine assoluto solo ponendo se stesso come tale. In altri termini “l’individuo umano – ogni individuo, in quanto uomo – non ha dei diritti che in quanto certe determinazioni sono riconosciute come identiche al suo essere stesso elevato a dover-essere, in un fine normativo”, e il diritto umano non è un diritto assoluto a realizzarsi – “come sostiene il movimento dei Diritti umani” – a meno che l’uomo non se lo sia posto “come un fine assoluto, la cui realizzazione – identificazione del mondo all’uomo – significa la sua libertà. Ma l’individuo umano non può essere assolutamente un fine assoluto che se pone se stesso come un tale fine, che se pone liberamente la sua libertà. (…) La libertà che s’afferma come un diritto non è tale che se il contenuto affermato – la «libertà reale» – lo è nella forma libera della sua affermazione – la «libertà formale»” [4]. In tal modo Bourgeois mostra come sia possibile riprendere e sviluppare la concezione dei diritti dell’uomo superando i limiti della sua formulazione borghese e la concezione che ne hanno i loro stessi sostenitori. Per cui un loro superamento sul piano del marxismo implica, necessariamente, una rottura con la loro formulazione borghese e con chi, ancora oggi, ha una posizione apologetica e acritica rispetto ai diritti umani in quanto tali. Questa prospettiva è definibile continuismo critico, in quanto non coglie solo la tesaurizzazione da parte di Marx di alcuni aspetti della concezione (borghese) dei diritti umani, ma ne rigetta gli aspetti non universalizzabili, sviluppati esclusivamente in funzione della salvaguardia della società capitalista. Così, per esempio, Marx non si oppone ai diritti di individui sociali. In effetti, “contrariamente all’«astrazione» cara a Proudhon e agli ideologi tedeschi, che presuppongono, quale soggetto della storia, l’Uomo, l’essenza umana che si sviluppa, in quanto Storia, secondo una dialettica puramente speculativa [5], totalmente illusoria, l’«analisi» materialista della storia muove da «presupposizioni reali», cioè, precisamente, «da individui reali, dalle loro azioni e dalle loro condizioni di esistenza materiali»; tali individui sono presi nella totalità concreta del loro essere individuale, che non si riduce all’astrazione idealista di un volere puro che dimentica la sua genesi. Allo stesso modo, l’analisi, di Marx, del processo sociale, non ci pare in alcun modo implicare una opposizione all’affermazione del diritto degli uomini nella loro realtà di individui sociali” [6]. Peraltro Bourgeois ritiene essenziale il recupero da parte del marxismo dell’importanza dell’individuo e del diritto per il suo stesso scopo della liberazione del proletariato. Come osserva a questo proposito il filosofo francese: “è Marx stesso, nel momento in cui fa degli individui nella loro individualità non solamente i prodotti, ma anche e in primo luogo i produttori dei loro rapporti di produzione, a fornire il modo di caratterizzare la loro prassi immediata come prassi di individui bisognosi che non sono produttori di se stessi, ossia veramente umani, se non in quanto la sofferenza del vissuto originale, che mediatizza questa prassi, è originariamente quella di un essere vivente che, in essa, si giudica secondo la giustizia, misura il suo essere al proprio diritto a essere, e si manifesta come la più grande forza produttiva sollevandosi in quanto individuo rivoluzionario” [7]. Da questo recupero dell’importanza che ha l’individuo nella teoria stessa di Marx, Bourgeois passa a dimostrare la centralità che mantiene il diritto nella concezione del mondo marxiana: “l’atto rivoluzionario del proletariato, compimento eminente di tutti gli atti mediante i quali, nelle rivoluzioni anteriori, gli individui negano effettivamente i rapporti sociali che condizionano una tale negazione, marca dunque una tappa decisiva nella realizzazione del «regno della libertà» nel «regno della necessità». Ora, tale atto, che rivela la potenza antidiluviana degli individui sui rapporti sociali che li condizionano – ovvero che autorizza la teoria dell’uomo marxiano a presentarsi come soddisfacente ai requisiti della rivendicazione astratta dei diritti dell’uomo – rivela, dunque, che egli è tale che in quanto coscienza, materialmente vera, del suo autore, individuo reale in sé totale o concreto che si oggettiva (ponendosi e opponendosi a sé) quale suo Altro assoluto, quale l’Uomo, non può essere che la coscienza del suo diritto, in quanto Diritto” [8]. Ecco, dunque, il motivo per il quale il giovane Marx – deciso critico dei diritti umani – assume negli anni della maturità una posizione che miri piuttosto, in modo più realistico, a un inveramento dei diritti umani, destinati a rimanere astratti e puramente formali all’interno della società capitalistica. Dunque, la negazione reale della sua individualità, in un lavoro estraniato in cui non si può riconoscere, è vissuta dal lavoratore salariato come la negazione di se stesso in quanto Selbstbetätigung [artefice della propria attuazione], in quanto puro rapporto a sé, mediante ciò universale, nel suo agire o nella sua prassi. Dal fondo della sua negazione, l’individuo si eleva alla dignità di tale identità universale a sé del suo volere reale, dunque, assolutamente libero – realizzazione effettiva dell’astrazione ideologicamente posta mediante i «Diritti umani» –, volere che nega immediatamente la sua differenziazione con sé, la sua negazione di sé, nell’atto rivoluzionario” [9]. Per quanto concerne questa significativa interpretazione di Bourgeois della tesi di una progressiva rivalutazione dei diritti umani da parte di Marx è bene coglierne gli elementi indubbiamente significativi e, al contempo, i limiti. “Nella sua stessa prassi, nelle molteplici facce del suo impegno politico risoluto, l’uomo [ciò Marx] – che ha condannato il formalismo ipocrita mediante il quale i «Diritti dell’uomo» negano il loro valore «morale» su cui pretendono fondarsi – afferma il suo rispetto per essi; poiché, liberati dal moralismo falsificatore o illusorio, la morale accede alla sua verità nella lotta storica che, sola, secondo Marx, può realizzarne l’obbiettivo universale” [10]. Dunque, secondo Bourgeois, lo stesso Marx – che ancora nel Manifesto del partito comunista denunciava l’ipocrisia delle grandi parole di cui si riempie la bocca la borghesia sulla libertà, il diritto etc. – apre in seguito la sua Comunicazione sulla guerra civile in Francia riprendendo i termini del suo Indirizzo ai lavoratori del 1864: “le semplici leggi della morale e della giustizia, che dovrebbero governare i rapporti fra gli individui, devono imporsi come leggi supreme nel commercio delle nazioni”. Il problema è che Bourgeois non sa come Marx stesso ironizza su questa frase, in privato, sottolineando che si trattava di una concessione che aveva dovuto fare al senso comune ancora imperante fra i subalterni.
Note:
[1] Marx., K. e Engels, F., Opere complete agosto 1858-febbraio 1860, tr. it. L. Formigari, vol. XVI, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 142-43.
[2] Cerroni, U., Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 274-75.
[3 Kouvélakis, E., Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in “Marxismo Oggi” 1, Milano 2005, pp. 71-72.
[4] Bourgeois, B., Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, pp. 119-120.
[5] Il termine “speculativo” è qui utilizzato nell’accezione di astratto, ovvero di una visione del mondo legata all’idealismo, ossia alla logica dell’essenza e non alla logica storica del concetto. Speculativa è, dunque, la logica soggettiva della riflessione, propria della seconda posizione del pensiero di fronte alla realtà. Il termine speculativo ha quindi, in questo caso, l’accezione negativa propria di una “cattiva” logica dell’essenza, che si fonda sull’astrazione intellettualistica della sostanza, fissando il momento astratto di contro alle sue diverse determinazioni reali, bandendo in tal modo la differenza come indifferente. Per la critica a tale accezione della “speculazione” cfr. K. Marx e F. Engels, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, pp. 71-2.
[6] Bourgeois, B., Philosophie et droits …, op. cit., p. 119.
[7] Ivi, p. 123.
[8] Ivi, pp. 126-27.
[9] Ivi, pp. 125-26.
[10] Ivi, p. 129.