Cassano, Totti, Balotelli

Ora che il campionato è fermo, fermiamoci anche a noi a riflettere un pò sul calcio.


Cassano, Totti, Balotelli Credits: nanopress

Come mai su un giornale comunista dovrebbe comparire un articolo sul calcio? Ovviamente perché nel calcio il capitalismo ha investito tanto, vi sono giornali, reti televisive a pagamento, filiere produttive e innumerevoli trasmissioni televisive tematiche dedicate a questo sport. È un di quei settori ricchi ove vi è una importante estrazione e circolazione di plusvalore ma anche di produzione di senso comune nonché di sperimentazione di politiche di controllo della popolazione. Le classi dominanti usano gli ambienti calcistici come uno strumento per l’egemonia.

Non è un caso che in questi giorni molte cose sono state dette intorno agli stipendi dei calciatori, in particolare sono stati lodati i calciatori della Juventus perché, in prima fila, si sono tagliati lo stipendio in seguito allo stop del campionato. Si è parlato di “modello Juventus”, la squadra italiana per eccellenza che dà il buon esempio: la crisi si scarica sempre dalle aziende ai lavoratori.

Intendiamoci subito: lungi da noi fare qualsiasi tipo di paragone tra calciatori milionari e operai di fabbrica, ci mancherebbe altro. Ma qui ci interroghiamo sul portato ideologico di questa propaganda. Quante persone hanno introiettato il “modello Juve” accogliendo tale punto di vista e proiettandolo sulle proprie vite? Le stesse persone che parlano del proprio luogo di lavoro usando espressioni del tipo la “mia azienda”, o tutti quelli che credono che gli imprenditori “creano lavoro e lo offrono”, nei vari casi il convincimento sotteso è sempre lo stesso : il capitalista è una specie di santo che crea lavoro dal nulla e lo offre ai poveri cristi i quali, oltre a ringraziare per questo dono miracoloso, debbono partecipare emotivamente dell’operato dell’azienda ed essere sempre pronti al sacrificio, pena il ricadere sulle proprie coscienze (e sulle proprie vite) le colpe della barbarie.

Ma parliamo un po’ di calcio per alleggerire la discussione. In questi giorni ho ascoltato, devo dire piacevolmente, qualche intervista autoprodotta da alcuni calciatori, in particolare mi sono piaciute quelle di Cassano, Balotelli e Totti, nonostante a condurle sia stato un impostato neo-aziendalista noioso come Fabio Cannavaro.

Cassano è un autentico fantasista come ce sono stati pochi in Italia e qualsiasi accostamento può essere rischioso. Purtroppo quando si parla di lui (e questo vale anche per Balotelli), spesso gli opinionisti sportivi borghesi con la puzza sotto il naso tendono a vedere troppo il lato caratteriale, gli eccessi personali tra cui la scarsa tendenza alla sottomissione e alla disciplina e, storcendo il naso dinanzi al suo ribellismo, finiscono per perdere di vista il calciatore, finendo in tal modo per svilirne anche il giudizio estetico.

Nel calcio tutti coloro che si ribellano in qualsiasi modo vengono immediatamente attaccati da tutti i giornali e da tutti gli opinionisti televisivi perché il calcio “deve dare il buon esempio”. In merito a questo è indicativo quello che è successo al Napoli di Ancelotti: nello scorso autunno alcuni calciatori si sono ribellati, probabilmente alla base c’erano questioni economiche legate al contratto e disparità di trattamento tra alcuni giocatori, ma a parere di chi scrive vi era anche un’altra cosa e cioè la difficoltà ad impostare una idea di gioco fluida e vincente a causa dell’ampio turn-over imposto dalla società. Un continuo ricambio di giocatori, partita dopo partita, necessario per far crescere il valore economico di tutti, che però rendeva complessa la formazione di una squadra compatta e affiatata con linee di gioco chiare. Questi problemi sono esplosi in seguito ad una serie di sconfitte che hanno aperto la crisi tra calciatori e società.

Man mano che i risultati divenivano sempre più deludenti, i giocatori si sono dunque “ribellati” giungendo perfino all’ammutinamento rispetto alla richiesta della società di andare in ritiro. (Per chi non lo sapesse, il ritiro calcistico svolto a campionato in corso è spesso una forma di punizione che impegna i calciatori a staccarsi per un certo periodo dalle famiglie e a vivere giorno e notte nel centro sportivo con l’obiettivo di recuperare la concentrazione).

L’ammutinamento dei calciatori è stato un fatto storico, mai accaduto nella storia del calcio, uno scandalo per le élite borghesi abituate al pieno rispetto delle regole dei propri sottoposti. E se a questo aggiungiamo che l’allenatore non è riuscito a bloccare queste forme di ribellismo e, anzi, si è schierato dalla loro parte ritenendo eccessive le direttive impartite dalla società, allora possiamo farci un’idea di quale potesse essere il tasso di fiele presente nelle vene di De Laurentiis, padrone della società sportiva partenopea.

Poche ore dopo l’ammutinamento, infatti, l’allenatore è stato licenziato dalla società e sostituito, in perfetto stile aziendale in tempi di crisi, da un sergente di ferro, Gennaro Gattuso detto “Ringhio”, che ha subito punito i ribelli, spaccato il gruppo e cercato di rimettere in ordine la squadra.

L’allenatore di calcio è per la società un manager che ha il solo compito di estrarre più plusvalore possibile e per fare ciò vi sono due strade che a volte non si incrociano: la prima è quella di riempire gli stadi offrendo uno spettacolo avvincente, possibilmente condito da stupefacenti vittorie, e la seconda è quella di far crescere di valore i calciatori più giovani mediante appunto il turn-over. Non è semplice fare le due cose insieme.

La Juventus in questo campo fa scuola: la squadra è progettata come un’azienda e nell’azienda efficiente non può succedere che un dipendente si ribelli e dica la sua. Non a caso essa è la squadra più odiata, triste e noiosa che esiste nel campionato italiano ma allo stesso tempo è sempre la squadra da battere perché chiaramente il regime di disciplina impresso dalla famiglia Agnelli, unito ai grandi capitali investiti, dà i suoi frutti creando una squadra compatta e fortissima. De Laurentiis vorrebbe imitare questo modello ma non vi riesce sia perché i capitali non sono paragonabili sia perché il Napoli non può far a meno della passione e infine perché De Laurentiis non vuole vincere ma fare plusvalenze sui giovani calciatori. Ma riprendiamo a parlare di fantasisti che è più piacevole.

Cassano e Totti sono tra i migliori fantasisti che abbiamo avuto in Italia perché hanno una innata capacità di previsione. Nella loro testa vi è impresso il campo di gioco e con esso tutte le possibili linee di movimento dei calciatori e della palla. Quando un’azione di gioco prende il via, loro sono in grado di prevederne, con accuratezza millimetrica, la tendenza, lo sviluppo, le possibile contromosse dell’avversario. Calciatori del genere, anche se non hanno una forma fisica eccezionale, possono giocare al pari degli altri perché anticipano l’azione nella loro mente.

Come per altri fantasisti, in loro lo svolgimento dell’azione di gioco avviene prima al livello del pensiero, tramutandosi poi in una eccezionale capacità di previsione dei movimenti della squadra e dei compagni. Non a caso questi calciatori si sono contraddistinti più per la fluidità che riuscivano ad imprimere alle azioni di gioco, per gli spazi incredibili che riuscivano a trovare in cui far inserire i propri compagni ponendoli nelle condizioni migliori di calciare in porta, che per l’individualistico desiderio di fare goal.

L’attitudine è quella di pensare e agire sentendosi profondamente una parte del collettivo in movimento. Certo, al tratto tipico del fantasista che unisce i due calciatori essi tuttavia si differenziano per altri versi: Cassano, baricentro basso e capacità di saltare l’uomo, palleggio leggero, tocco sopraffino, rapido da fermo e in movimento; Totti, maggiore potenza e balistica dalla distanza, grande senso della posizione. Balotelli tende ad unire tutte queste caratteristiche, tecnica, fisicità, linee di gioco, il che rende più alte le aspettative su di lui e dunque più severo il giudizio.

In questi giorni di quarantena anche i calciatori si sono reinventati la comunicazione uscendo un po’ dai soliti noiosi salottini televisivi e facendo emergere il lato più genuino di ognuno di loro. Sono andate a ruba su Youtube alcune loro video-interviste realizzate su Instagram e mi diverte fare qualche commento: Fabio Cannavaro appare finto, noioso e asservito all’idea della disciplina aziendalista tipica dello juventino, anche se ha avuto il pregio di iniziare queste video interviste (segno che in lui è rimasto un briciolo di “napoletanità”). Sono però davvero fastidiose le sue patetiche paternali a destra e a manca fatte a Balotelli. Quest’ultimo, insieme a Cassano, è una specie di genio ribelle, Totti è simpatico ma sornione. Vieri è anche lui un simpatico bamboccione però ha assorbito troppo la tracotanza del milanese tipico che pensa di essere più sveglio degli altri.

Ovviamente nessuno di loro è un rivoluzionario, ci mancherebbe altro, anzi forse qualcuno è pure palazzinaro e sfruttatore, ma non siamo negli anni Settanta e calciatori rivoluzionari che salutano con il pugno chiuso e finanziano le organizzazioni rivoluzionarie ormai non se ne vedono più. Allora tocca imparare ad apprezzare quello che passa il convento, come il ribellismo di un Balotelli che, nel frattempo, non dimentica di dare il proprio apporto alla lotta contro il razzismo, una piaga anacronistica e pietosa che ancora affligge le tifoserie negli stadi.

Post scriptum.

Il revisore di questo articolo ci ha tenuto ad osservarmi che in esso traspare troppo la mia simpatia calcistica per il Napoli e anche un certa dose di stereotipi sulla mentalità del Nord Italia, improntata alla fatturazione, contro la “passione” tipica del sud. Allora per controbilanciare voglio parlare bene di un calciatore della Juventus e cioè Alessandro Del Piero ricordando di lui soprattutto la “grande prestazione” nella finale degli Europei del 2000 quando, in un impeto di autentico altruismo, cedette la coppa alla Francia. laughing

03/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: nanopress

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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