Come sancito dall’articolo 85 della Costituzione, “il Consiglio di Stato, vale a dire il Governo Centrale del Popolo, è l’organo esecutivo al più alto livello di potere statale; esso è il massimo organo amministrativo dello Stato”.
Il Consiglio di Stato, presieduto dal premier, che attualmente è Li Keqiang, è formato, oltre che dai vari ministeri (部;bù), da alcune commissioni, (委员会;wěiyuánhuì, fra cui Riforme e Sviluppo, Affari Etnici, Salute, dalla Banca Popolare Cinese (la banca centrale) e dalla Corte Nazionale dei Conti.
Le “democrazie liberali” si basano sulla separazione fra poteri legislativo, esecutivo e giudiziario con meccanismi di reciproci equilibri e controlli, ma questo principio non si applica nella Repubblica Popolare Cinese, in cui, se un sistema tripartito separa i poteri di supervisione, amministrazione e magistratura, questi ricadono però tutti sotto l’egida del CNP (Congresso Nazionale del Popolo), che a sua volta è sotto la guida del Comitato Centrale del Partito Comunista della Cina (PCC).
Il Congresso Nazionale del Popolo sovrintende le operazioni di governo, Corte e Procura supreme, comitati speciali, ed elegge le maggiori cariche dello Stato.
Tutte le istituzioni, compresi il governo, i tribunali e la difesa, comprendono strutture che le collegano organicamente al Partito Comunista. Citando le parole del presidente Xi, “Governo, esercito, società e scuole, nord, sud, est e ovest: il partito li guida tutti”.
Ad oggi, Xi Jinping è contemporaneamente Segretario Generale del Comitato Centrale del PCC, Presidente della Commissione Militare Centrale del PCC, Presidente della Repubblica Popolare Cinese (RPC) e Presidente della Commissione Militare Centrale della Repubblica Popolare Cinese. Successi e insuccessi del governo cinese sono dunque anche successi ed insuccessi del PCC.
Il PCC
Il primo luglio 2021 la Cina ha celebrato solennemente il centesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese e da italiana non posso fare a meno di notare che il Partito Comunista Italiano, da tempo morto e sepolto ma un tempo il più grande partito comunista dell’Occidente, nacque anch’esso nel 1921.
Dopo avere combattuto ed essere uscito vincitore dall’occupazione giapponese, il PCC vinse anche la guerra civile contro il Kuomintang di Chiang Kai Shek e nel 1949 fondò la Repubblica Popolare Cinese. Da allora guida, attraverso grandi cambiamenti e riforme, il cammino della RPC, che è ormai diventata la seconda economia mondiale.
Se è già difficile per noi occidentali comprendere natura e funzionamento della macchina amministrativa cinese, ci risulta ancora più problematico fare i conti con il PCC, la cui leadership è sancita dal primo articolo della Costituzione:
“Articolo 1 - La Repubblica popolare cinese è uno Stato socialista governato da una dittatura democratica popolare guidata dalla classe operaia e basata su un’alleanza di lavoratori e contadini. Il sistema socialista è il sistema fondamentale della Repubblica popolare cinese. La leadership del Partito Comunista Cinese è la caratteristica distintiva del socialismo con caratteristiche cinesi. È vietato a qualsiasi organizzazione o individuo danneggiare il sistema socialista.”
Per noi è quasi paradossale che un partito che condiziona ogni decisione politica dello Stato sia riuscito a mantenere capacità di innovazione e di guida per oltre settant’anni, ma innegabilmente così è per il PCC.
Martin Jacques, autore del libro When China Rules the World, ritiene che il PCC sia un unicum:
“Il PCC ha reinventato e ricostituito lo Stato dopo la rivoluzione del 1949. Partito e Stato sono intimamente legati. C’è una certa linea di continuità che potremmo osservare in questo contesto con il precedente Stato imperiale. Oggi sia il partito sia lo Stato sono radicati nei principi meritocratici che erano così centrali nella civiltà cinese. Al centro dello Stato c’è il PCC, cervello e guida sia dello Stato sia della società. Il successo del PCC è dovuto alla sua capacità di esprimere, riflettere e articolare la civiltà cinese. Questo non si è ottenuto dall’oggi al domani, è stato il risultato di un lungo percorso che ha acquisito una nuova maturità nel periodo delle riforme, un momento di riconciliazione ed equilibrio tra presente e passato. La Cina è sia uno Stato di civiltà sia uno Stato nazione, le due modalità coesistono: l’equilibrio tra loro si sposta sempre in una relazione dinamica e talvolta persino conflittuale, ma la realtà primaria sono le radici della civiltà cinese, ed è questa la chiave per una governance di successo. È difficile pensare a qualsiasi altro partito politico al mondo che esprima e incarni una civiltà in questo modo.”
Secondo Eric Li, capitalista e politologo cinese, anche se gli scienziati politici ritengono che i sistemi a partito unico non sono in grado di autocorreggersi, il PCC si è autocorretto invece tremendamente negli ultimi 64 anni, più di qualsiasi altro Paese a memoria recente. Le politiche del Partito sono passate dalla collettivizzazione della terra, il Grande Balzo in Avanti, la Rivoluzione Culturale, le riforme del mercato di Deng Xiaoping e l’apertura dell’adesione al Partito a uomini d’affari privati da parte di Jiang Zemin, "qualcosa di inimmaginabile durante il governo di Mao".
Spesso sentiamo anche dire che la Cina ha un disperato bisogno di riforme politiche, ma Li sostiene che questa è retorica: le riforme politiche non si sono mai fermate e la società cinese è irriconoscibile oggi rispetto a 30 anni fa. In effetti, dice Li, "mi permetto di raccomandare il Partito in qualità di massimo esperto mondiale di riforme politiche".
Un altro presupposto è che il governo del partito unico porti a un sistema politico chiuso in cui il potere si concentra nelle mani di pochi, portando inevitabilmente a malgoverno e corruzione.
Li afferma che in realtà il Partito è una delle istituzioni politiche più meritocratiche al mondo. Questo grazie a un organismo poco noto agli occidentali, il Dipartimento dell’Organizzazione del Partito, che guida i candidati attraverso percorsi di carriera integrati per i funzionari cinesi, reclutando laureati in posizioni di livello base e promuovendoli ai vari ranghi, inclusa l’alta burocrazia, un processo che può richiedere decenni.
Anche le conoscenze giocano un ruolo, certo, ma è il merito il motore sottostante. Afferma Li: “nell’ambito di questo sistema - e questa non è denigrazione, ma un semplice dato di fatto - George W. Bush e Barack Obama, prima di candidarsi alla presidenza, non sarebbero riusciti neppure a guidare una piccola contea nel sistema cinese."
Basta aprire gli impressionanti curricula di Xi Jinping e Li Keqiang per concordare con Li. La meritocrazia, fra l’altro, è profondamente radicata nella civiltà cinese: l’utilizzo del sistema di esami imperiali per selezionare i funzionari è già documentato dai tempi della dinastia Sui (581-618).
Governo e Partito alla prova della Pandemia
Prima i fatti
Riepiloghiamo rapidamente che cosa avvenne in Cina durante la prima fase della pandemia riprendendo un rapporto apparso l’8 ottobre 2020 sulla rivista medica britannica The Lancet:
“I primi casi segnalati della malattia che divenne nota come Covid-19 si sono verificati a Wuhan, nella provincia di Hubei, alla fine del dicembre 2019. Poco dopo, il 10 gennaio 2020, la Cina ha rilasciato la sequenza genomica del virus e ha iniziato ad adottare una serie di rigorose contromisure. Wuhan è stata sottoposta a un rigoroso blocco che è durato 76 giorni. Il trasporto pubblico è stato sospeso. Subito dopo, misure simili sono state attuate in ogni città della provincia dell’Hubei. In tutto il paese sono stati istituiti 14.000 controlli sanitari presso gli snodi dei trasporti pubblici. La riapertura delle scuole dopo le vacanze invernali è stata rinviata e gli spostamenti della popolazione sono stati gravemente ridotti. Dozzine di città hanno implementato restrizioni sulla mobilità delle famiglie, il che in genere significava che solo un membro di ogni famiglia poteva uscire di casa ogni due giorni per procurare le provviste necessarie. In poche settimane, la Cina è riuscita a testare 9 milioni di persone a Wuhan. Ha istituito un efficace sistema nazionale di tracciamento dei contatti [...] Inoltre, i cinesi hanno prontamente indossato le mascherine, come prescritto.”
"Il rispetto di questa norma è stato molto alto", ha affermato Xi Chen (Scuola di Sanità Pubblica di Yale, New Haven, Connecticut, USA) [....].
“Il 5 febbraio 2020 Wuhan ha aperto tre cosiddetti ospedali ’fang cang’ (ospedali da campo mobili). Altri 13 appariranno nelle settimane successive. Gli ospedali sono stati allestiti all’interno di luoghi pubblici[...]. Uno studio basato su modelli matematici di cui è coautore Xi Chen ha calcolato che le azioni di salute pubblica intraprese dalla Cina tra il 29 gennaio e il 29 febbraio potrebbero aver prevenuto 1,4 milioni di infezioni e 56.000 morti […]. L’impegno per il bene superiore è radicato nella cultura; non c’è l’iperindividualismo che caratterizza parti della società USA e che è in grande misura alla base della resistenza alle misure adottate contro il coronavirus".
Il dott. Gregory Poland, direttore del Gruppo di Ricerca sui Vaccini della Clinica Mayo (Rochester, Minnesota, USA) ha osservato che i cinesi accettano l’idea che il controllo delle malattie sia una questione scientifica. "La Cina non ha il tipo di movimento antivaccini e antiscienza che sta cercando di far deragliare la lotta contro il COVID-19 negli Stati Uniti", ha affermato.
Questo è quanto accadeva nell’ottobre del 2020.
Veniamo ora all’attualità. Al 10 febbraio 2022, i dati forniti dalla John Hopkins University of Medicine sono i seguenti:
- Repubblica Popolare Cinese – abitanti 1 miliardo e 400 milioni, morti accertati per SARS-CoV-2 4.851, di cui ben 4.512 deceduti durante le prime fasi dell’epidemia in Hubei, la provincia dove si trova Wuhan e le persone che hanno ultimato un ciclo completo di vaccinazione sono l’87,88% della popolazione;
- USA – abitanti 331 milioni, morti accertati per SARS-CoV-2 912.257, le persone che hanno ultimato un ciclo completo di vaccinazione sono il 64,97% della popolazione;
- Italia – abitanti 59,55 milioni, morti accertati per SARS-CoV-2 149.896, le persone che hanno ultimato un ciclo completo di vaccinazione sono il 77,65% della popolazione.
Le cifre sono innegabili e dimostrano che la Cina ha voluto e saputo contenere il numero delle vittime in modo ben più efficace dei Paesi occidentali.
Quali erano i punti di forza della Cina quando si trovò a combattere per prima e da sola un’epidemia nuova e sconosciuta?
Ancora The Lancet nel 2020:
“Nonostante fosse il primo Paese ad essere colpito dal Covid-19, la Cina era in una buona posizione per affrontare la malattia. Ha un sistema centralizzato di risposta alle epidemie. La maggior parte degli adulti cinesi ricorda il SARSCoV (il coronavirus da sindrome respiratoria acuta grave, all’origine dell’epidemia di SARS del 2003) e l’alto tasso di mortalità ad esso associato. «La società è stata molto attenta su ciò che può accadere in un focolaio di coronavirus», ha affermato Xi Chen della Yale School of Public Health, New Haven, Connecticut, USA. «Altri paesi non hanno ricordi così freschi di una pandemia». I genitori anziani tendono a vivere con i figli, oppure da soli ma nelle vicinanze. Solo il 3% della popolazione anziana cinese vive in case di cura, mentre in diversi paesi occidentali tali strutture sono state le principali fonti di infezione.”
Aggiungiamo a questo l’estrema efficienza di un sistema che, seppure strutturato su diversi livelli di governance, è in grado di centralizzare la risposta in presenza di situazioni di crisi e di emergenza. Come recita l’articolo 3 della Costituzione: “La divisione delle funzioni e dei poteri tra le istituzioni statali centrali e locali rispetta il principio di dare pieno gioco all’iniziativa e alla motivazione delle autorità locali sotto la guida unificata delle autorità centrali.”
Così, quando fu scoperto il focolaio a Wuhan, dopo un primo periodo di confusione, il Paese fu presto in grado di mobilitare massicce risorse strutturali ed umane per impedire la diffusione del virus.
Se questi sono innegabili punti di forza del sistema cinese, non possiamo però sottacere che nella sua risposta alla pandemia la RPC ha fatto e fa i conti con diverse criticità, prima fra tutte quella di essere ancora un paese in via di sviluppo alle prese con numerose contraddizioni, ad esempio i forti squilibri tra aree diversamente sviluppate. Così, se alcune città possono contare su risorse mediche eccellenti, molte zone rurali ne sono carenti.
In termini assoluti di risorse e infrastrutture mediche, infatti, la Cina è sensibilmente indietro rispetto agli Stati Uniti, con solo un decimo del numero di posti letto nelle unità di terapia intensiva e meno di un quarto di infermieri calcolato su ogni 1000 pazienti.
E’ ovvio che se risorse e infrastrutture mediche sono abbondanti, è più facile per una società fronteggiare un’epidemia, ma se invece esse scarseggiano, il sistema medico ben presto collasserà, sommerso dal numero dei malati. Quando prevenzione e controllo falliscono, non rimane che la cura, e una crisi di salute pubblica si trasforma allora in una questione di medicina personale, in cui il paziente non ha altra scelta che cercare un trattamento medico in grado di guarirlo e/o salvarlo. Superfluo aggiungere che le possibilità di ottenerlo sono direttamente proporzionali alle risorse economiche di cui dispone il paziente.
La strategia del governo cinese si è concentrata sulla prevenzione e il controllo, fattore chiave per la salute pubblica nelle malattie infettive.
Viceversa, negli USA e nella stragrande maggioranza dei Paesi sviluppati si è sostanzialmente prima consentito al virus di fare il suo corso, con infezioni e decessi diffusi, quindi si è puntato a sviluppare e promuovere vaccini, vaccinando quante più persone possibili per rafforzarne l’immunità contro il Covid-19.
Quando si dà priorità alla medicina personale rispetto alla salute pubblica, a farne le spese sono i più fragili e vulnerabili. Negli Stati Uniti questi si trovano principalmente all’interno dei gruppi etnici più discriminati, così non sorprende affatto che l’aspettativa di vita degli afroamericani nella prima metà del 2020 si sia ridotta di tre anni, secondo dati del CDC (Center for Disease Control and Prevention – Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie).
Voltare pagina?
Il 3 febbraio 2022 è apparso un articolo dal titolo “Addio, Omicron: la Casa Bianca guarda alla prossima fase della pandemia” su Politico, rivista USA molto ben introdotta nella Beltway.
L’articolo si apre così:
“La Casa Bianca pronta a lasciarsi Omicron alle spalle. Incoraggiata dal calo dei conteggi dei casi, l’amministrazione Biden sta pianificando una nuova fase della risposta alla pandemia volta a contenere il coronavirus e a condizionare gli americani a conviverci. I preparativi sono progettati per sfruttare una pausa nell’ondata di Covid-19 durata mesi, con i funzionari che anticipano una tregua primaverile che potrebbe migliorare l’umore della nazione e aumentare gli indici di approvazione del presidente Joe Biden in un momento critico per il suo partito.”
L’articolo è molto lungo, ma crediamo che l’incipit sia sufficiente a dare un’idea generale di quali siano le priorità e le modalità dell’agenda di governo degli USA, che non sono peraltro molto dissimili dalla gran parte dei governi nelle cosiddette “democrazie liberali”.
Pochi giorni dopo, esattamente il 6 febbraio, Global Times, emanazione del quotidiano ufficiale del PCC, ha pubblicato un’intervista a Wu Zunyou, epidemiologo capo del Centro Cinese per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, in cui si prospetta una politica rispetto alla pandemia diametralmente opposta a quella descritta nell’articolo di Politico sopra richiamato.
“Non importa quanto i media e gli osservatori occidentali diffamino la politica di tolleranza zero della Cina nella lotta contro il Covid-19, i politici e gli epidemiologi cinesi ritengono che sia ancora il modo migliore per ridurre l’esito catastrofico di una riapertura sconsiderata [...]. Grazie alla sua politica di tolleranza zero, la Cina ha sostenuto un’epidemia molto meno grave rispetto ad altri paesi. In netto contrasto con il bilancio delle vittime di oltre 800.000 negli Stati Uniti, in Cina non si sono verificati molti decessi causati dall’epidemia dopo l’inizio a Wuhan nel 2020. Il numero ridotto di vittime dimostra che questa politica funziona e che è stata anche efficace per lo sviluppo sociale ed economico, ha osservato Wu.”
Riflessioni finali
Ancora una volta la Cina, confermando la sua politica di tolleranza zero nei confronti della pandemia, va in direzione contraria a quella seguita dai Paesi occidentali, perché?
Recentemente sui social media cinesi, specialmente con la prevalenza della variante Omicron del virus, si è fatto intenso il dibattito sulla politica di tolleranza zero, di cui molti auspicano l’abbandono.
Il 25 gennaio 2022 Pekingnology ha tradotto e pubblicato un post apparso la settimana precedente sul blog Wechat “Chairman Rabbit” dal titolo “Un confronto fra il controllo del Covid in Cina e negli USA”. Ren Yi, autore del blog, interviene decisamente a sostegno della politica di tolleranza zero. Sono diverse e articolate le motivazioni che adduce; di seguito ne riporto alcune senza commentarle, ritenendo più utile lasciarle alla riflessione personale di chi legge.
I) Facendo riferimento a valori culturali:
“...Abbiamo una tradizione di rispetto per gli anziani e una visione per la prosperità per tutti e il bene comune per il mondo. Questi sono nel nostro patrimonio culturale e nei nostri geni.
In alcune società, le persone sono egoiste, individualiste e perseguono solo il proprio interesse... ognuno si difende da solo: non ha diritto a nulla. Questo è il Nuovo Mondo nato dalla colonizzazione e dall’occupazione: il ’mondo libero’. Vale a dire, gli Stati Uniti d’America.
Tra Cina e Stati Uniti, chi può essere più tollerante nei confronti della morte degli anziani? La morte dei deboli? La morte di un milione di persone?
Gli Stati Uniti, ovviamente.
Alla ricerca dell’’immunità di gregge’, la società può trascurare questi oneri, andare avanti senza oneri. Un milione viene ’abbandonato’ perché chi resta possa andare avanti. Tuttavia... negli USA coloro che vengono ’abbandonati’ probabilmente non si lamentano neppure. Vivono in una società in cui il sistema di valori impone di ’fare affidamento su se stessi’... Questo è il ’mondo libero’ per la ’sopravvivenza del più adatto’.”
II) Facendo riferimento alla natura del sistema politico e di governo, e al rapporto fra governo e cittadini:
“In Cina, il governo è onnipotente e si assume tutte le responsabilità politiche ed etiche. Le aspettative delle persone per il governo non hanno limiti e possono cambiare in qualsiasi momento. La loro richiesta per il governo potrebbe cambiare rapidamente: le persone non devono nemmeno essere ragionevoli nelle loro richieste. Il governo deve risolvere i problemi con tutti i mezzi e assumersi la responsabilità, e questa responsabilità è sia politica sia morale. Pertanto, che un milione di persone muoia a causa del Covid-19 è accettabile negli Stati Uniti, ma non in Cina.”
Fonti:
Constitution of the People’s Republic of China
CGTN, China’s New Governance: The National Supervisory Commission
Meng, Yaping. “China’s Meritocracy: Selection and Election of Officials.” CGTN. December 26, 2019
John Hopkins University Coronavirus Resource Centre, consultato il 10 febbraio 2022
disponibile all’indirizzo https://coronavirus.jhu.edu/map.html
“Pekingnology”, consultato l’8 febbraio 2022
The Lancet, China’s successful control of Covid-19, 8 ottobre 2020
Adam Cancryn, Politico: So long, Omicron: White House eyes next phase of pandemic, 3 febbraio 2022
Chen Qingqing-Cao Siqi-Fan Wei, Global Times: Exclusive: China not to adjust dynamic zero-Covid policy for the time being: chief epidemiologist, 6 febbraio 2022
A tale of two systems: Eric X. Li at TEDGlobal 2013
Chinese Civilisation and the Chinese Communist Party – Martin Jacques’s video