Come un sole splendente,
la Rivoluzione di Ottobre ha diffuso luce su tutti i cinque continenti,
svegliando milioni di oppressi e sfruttati su questo pianeta.
Nella storia dell’umanità non vi è mai stata
una rivoluzione così grande e di così vasta portata.
Ho Chi Minh
la Rivoluzione russa osservata ed intesa come avvenimento storico,
ha un contenuto ideale che lascerà indubbiamente tracce profonde nella vita e nella storia del popolo russo, perché certe conquiste da essa conseguite, non solo non saranno distrutte
né potranno scomparire nel caso di un eventuale cambiamento o trasformazione di regime,
ma resteranno sempre le pietre miliari della sua ricostruzione politica e sociale.
Filippo Turati
coloro che schernirono la Rivoluzione russa sin dall'inizio
lo fecero per ragioni meno onorevoli dei nostri errori
Arthur Kœstler
Per comprendere quanto radicale sia la crisi strutturale dell’attuale modo di produzione capitalistico basta citare alcuni dati. Come ha recentemente ricordato il direttore generale di Amnesty international Italia G. Rufini, oggi 67 persone posseggono il 50% della ricchezza globale e le 8 persone più ricche del mondo hanno la stessa ricchezza del 50% più povero, mentre l’1% della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza del 99%. A rincarare la dose ci ha pensato padre Alex Zanotelli che, in un recente articolo, scrive: “8 uomini detengono quanto 3 miliardi e 600 milioni di persone, quanto cioè i più poveri della terra, costretti a vivere con 2 dollari al giorno. Il 10% della popolazione mondiale consuma il 90% dei beni prodotti. Tra le 20 e le 30 mila persone muoiono ogni anno, schiacciati da questo sistema iniquo. Il risultato è che chi possiede il potere economico finanziario è armato fino ai denti: l’Istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace ci dice che nel 2017 sono stati spesi 1.739 miliardi di dollari in armi (2,2% del Pil mondiale), solo l’Italia ha investito 70 milioni al giorno in armamenti. Sono 36 le nazioni attualmente in guerra” [1]. Dunque, il carattere fondamentalmente criminale e parassita del capitalismo diventa sempre più evidente a chi ha occhi per vedere.
Perciò, anche nei paesi a capitalismo avanzato, vi è un vasto numero di appartenenti alle classi subalterne che aspirano a un altro mondo più giusto e razionale. Vi sarebbero, dunque, tutte le condizioni oggettive per il superamento in senso socialista del modo di produzione capitalista che, realizzando il mercato mondiale ha ormai portato a compimento il suo scopo finale. Ciò nonostante il socialismo sembra essere, in primo luogo nei paesi a capitalismo avanzato, una possibilità molto remota per gli stessi membri della classe operaia.
Del resto, le campagne anticomuniste condotte a ritmo costante dai grandi mezzi di comunicazione controllati dalle classe dominante non risultano prive d’effetto. In tal modo è egemone – in particolare nelle società civili dei paesi a capitalismo avanzato, dove sarebbero presenti tutte le condizioni oggettive per l’affermazione di una società socialista – la rappresentazione del comunismo come un fenomeno totalitario, edificato nel 1917 da una banda di fanatici e perpetuato in un'orgia di violenza.
Storici accreditati nelle accademie e nei grandi mezzi di comunicazione quali ed E. Nolte, M. Malia e R. Pipes arrivano a sostenere che i crimini nazisti furono una brutta copia di quelli bolscevichi o si sforzano, come S. Courtois, di provare che le vittime del comunismo furono più numerose di quelle del nazismo. Anzi, fra gli intellettuali tradizionali occidentali, sempre più egemonizzati dal pensiero unico imperante, è come se esistesse una sfida a chi propone il numero maggiore di vittime che avrebbe prodotto il potere sovietico. Per i soli anni trenta si va da chi parla di 60 milioni, a chi rilancia a 80 fino ad arrivare a 100 milioni di vittime adulte, principalmente di sesso maschile.
Cifre sempre più surreali, se solo si considera che alla fine del 1922 in Urss vi erano non più di 63 milioni di uomini adulti. Quanti abitanti sarebbero rimasti vivi in Urss, anche solo arrestandoci alla cifra più bassa proposta dall’ideologia dominante, che parla di 60 milioni di morti? Chi avrebbe, dunque, inferto la sconfitta decisiva alla Germania nazista e ai suoi alleati, che avevano schierato contro l’Urss la più imponente coalizione militare che la storia avesse conosciuto, se fra i cittadini sovietici, secondo le statistiche più ottimiste, ci furono almeno 20 milioni di morti? Da dove uscirono fuori i 51 milioni di uomini presenti in Russia e i 93 milioni in Urss nel 1939? Del resto, a ulteriore dimostrazione dell’assurdità delle accuse dell’ideologia dominante, basterà ricordare che negli anni fra i due censimenti del 1926 e 1939, il numero di abitanti dell’Urss è cresciuta del 13,5 % – nonostante il costante stato di assedio imposto dalle potenze imperialiste – secondo dati verificati dagli studiosi dell'attuale Istituto di Investigazioni Scientifiche di Statistica russo. Si tenga presente che, nello stesso arco temporale, nonostante la costante immigrazione dalla maggior parte dei paesi del mondo, la popolazione degli Stati uniti, la principale potenza capitalista, è aumentata solo dell’8%. Dunque nel corso degli anni trenta, dove ci sarebbe stato questo spaventoso genocidio che avrebbe prodotto la morte fra i 60 e i 100 milioni di cittadini, la popolazione in Urss aumentò di 13 milioni di persone. Si tratta di una cifra sostanzialmente analoga alla crescita della popolazione dell’impero zarista in un’epoca decisamente meno travagliata, ossia nel corso della prima decade del XX secolo.
Mentre ideologi borghesi più sofisticati come F. Furet arrivano a interpretare l’intero ciclo rivoluzionario apertosi con la più importante rivoluzione borghese, ovvero la Rivoluzione francese, passando per l’Ottobre e le rivoluzioni socialiste che ne sono conseguite come frutto di un insano odio per il liberalismo che avrebbe condotto inevitabilmente al Terrore. Un ciclo che si sarebbe per sempre chiuso nel 1989 con il definitivo trionfo del liberalismo. Gli allievi di Furet hanno finito con il destoricizzare completamente il “Terrore”, presentandolo come una conseguenza logica e inevitabile dell'idea stessa di rivoluzione.
Alla base di queste “perle” del pensiero unico oggi dominante, c’è una vastissima letteratura reazionaria e ideologica sulla Rivoluzione di ottobre, che ha le suo origini in esponenti di spicco della 2° internazionale che, abiurando il loro passato internazionalista, avevano appena votato i crediti di guerra e sostenuto la prima guerra mondiale, sino a quel momento il peggiore massacro che la storia avesse conosciuto. E. Bernstein, il padre della socialdemocrazia e del riformismo, da una parte tende a giustificare ogni barbarie dell’imperialismo, dal colonialismo alla prima guerra imperialistica mondiale, dall’altra lamenta il non rispetto della legalità da parte degli artefici della Rivoluzione d’Ottobre.
Del resto, già negli ultimi anni del secolo diciannovesimo, la Socialdemocrazia tedesca, ancora su posizioni anticapitaliste, lanciò una parola d'ordine con la quale mirava a ratificare la conclusione della spinta propulsiva della Comune di Parigi. In realtà, quest’ultima non era il vero oggetto della campagna; il distacco da essa era unicamente lo strumento, di cui abbisognava la Socialdemocrazia, per cambiare natura, ossia passare dalle posizioni di classe a posizione riformiste, moderate (e oggi liberiste). Allo stesso modo nei primi anni ottanta il segretario del PCI E. Berlinguer enunciava “l'esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre”. Più recentemente, il segretario del Prc, dopo aver fatto espellere dal partito chi aveva rifiutato di votare i crediti di guerra per le truppe di occupazione in Afghanistan, aver appoggiato l’allargamento della base Usa di Vicenza, l’enorme ampliamento delle spese di guerra in gran parte destinate a missioni imperialiste all’estero, dopo aver affermato che i paracadutisti inviati all’estero sono il migliore biglietto di visita del paese e che il nostro popolo dovrebbe prendere esempio da loro dal punto di vista morale, ha parlato dell’Ottobre come di un cattivo esempio da rimuovere. In tempi ancora più recenti noti intellettuali della sinistra europea, parlano nei loro convegni apertamente di “riforma della rivoluzione”, di “concezione revisionista della rivoluzione”, sintetizzata nella rappresentazione per cui “tras-formare il mondo sarebbe meglio che ri-voltarlo”, pretendendo di richiamarsi a Gramsci che avrebbe abbandonato la rivoluzionaria guerra di movimento, per la lotta per l’egemonia culturale sulla società civile.
Al contrario, oggi, non appare difficile dimostrare in negativo l’attualità della Rivoluzione d’ottobre, mettendola in relazione all’attuale stadio del mondo. Il mondo, dopo la sconfitta del socialismo nei paesi dell’est europeo, non appare certo migliorato, come abbiamo visto con le statistiche richiamate all’inizio di questo articolo. Inoltre, come osserva il grande storico E. Hobsbawm a conclusione del suo celebre libro Il secolo breve, dopo il presunto fallimento di un’aspirazione emancipatrice che ha mobilitato milioni di uomini in tutto il pianeta come la Rivoluzione d’ottobre, viviamo oggi in un mondo a corto di utopie, in cui la commemorazione delle vittime dei genocidi riempie il vuoto lasciato dalle speranze delle rivoluzioni naufragate. Infine, persino uno dei massimi storici controrivoluzionari come Furet, a conclusione della sua disamina critica sul processo rivoluzionario (“Il passato di un'illusione”) non annuncia certo l’avvento del paradiso sulla terra, ma si limita a consigliare, con accenti malinconici, di rassegnarsi al liberalismo realmente esistente.
Tanto più che la crisi di sovrapproduzione prosegue immutata dall’inizio degli anni settanta, il divario fra borghesia e lavoro salariato è aumentato in quasi tutti i paesi del mondo, come il divario fra paesi imperialisti e paesi del terzo mondo, con l’eccezione di paesi socialisti come la Repubblica popolare cinese e il Vietnam. Dalla guerra fredda si è tornati a scenari di guerra sempre più caldi, tanto che il gruppo di scienziati internazionali che monitorizza i rischi di una terza guerra mondiale afferma che mai si è arrivati ad un punto tanto vicino a essa come oggi. Del resto, il riarmo anche atomico di tutte le potenze e di conseguenza anche delle potenze minori, trainato dalla politica sempre più smaccatamente neocolonialista degli Stati Uniti, è sotto gli occhi di tutti.
Note
[1] Alex Zanotelli, Mai più l’“homo tenens” al centro, in “Il manifesto” del 12 marzo 2019.