di Claudio Lalla
Al tramonto dell’età antica e del paganesimo, nel quadro di un impero decadente che si appoggia alla nuova religione cristiana, potrebbe essersi svolto questo dialogo tra due grandi figure intellettuali di quella fase di passaggio. Il vescovo e teologo cattolico Agostino e la filosofa e astronoma pagana Ipazia. Due mondi che si confrontano e si scontrano.
Anno 414. Agostino è un uomo di 59 anni. E’ riconosciuto dai cattolici di tutto l’impero come una grande autorità teologica. Si trova ad Alessandria e attende Ipazia nell’elegante casa di un fervente cattolico. Sul tavolo questi ha lasciato la Bibbia, così da consentire ad Agostino di poter rapidamente fare appello alla Verità. Il teologo è nervoso. Sente provenire dalle altre stanze le voci di una donna e del padrone di casa. Uno schiavo apre la porta e lei entra. Lo sguardo del vescovo ne viene immediatamente attratto. E’ molto bella. Ha quarantatre anni, ma ne dimostra dieci di meno. Non immaginava che una filosofa, matematica e astronoma fosse così giovane e attraente.
La mente dell’uomo è attraversata dal timore di poter essere meno incisivo di quanto voglia. Il suo sguardo è attratto dal libro sacro, che sembra stare lì ad ammonirlo di accingersi al confronto con la necessaria durezza. Lei gli si avvicina, lentamente e guardandolo diritto negli occhi. Lui è visibilmente nervoso. Non gli piace doversi confrontare da pari a pari con una donna e tanto meno con quella donna.
Ipazia: - Salve, Agostino.
Agostino: - Salve, salve. Sono venuto a incontrarti in questa casa di Alessandria perché il vescovo Sinesio prima di morire me lo ha chiesto. E’ stato tuo allievo, ti era molto affezionato. Era preoccupato per te. Aveva il timore che la pazienza del vescovo Cirillo si esaurisse. Desiderava che io ti convincessi a recedere dai tuoi atteggiamenti, per il tuo stesso bene.
Ipazia: - Lascia che ti dica subito che sono rimasta sconvolta da quello che i Parabolani di Cirillo hanno fatto alla comunità ebraica della città. I morti non si contano e i sopravvissuti sono stati costretti ad andare via. Avete cancellato una parte della città. Non tollerate chi non è come voi, tutti si devono omologare.
Agostino: - Gli Ebrei sono peccatori, assassini, il vino dei profeti corrotto in aceto, immondizia rimestata. Certi massacri di Ebrei che si sono svolti quest’anno ad Alessandria altro non sono se non manifestazione della punizione di Dio.
Ipazia: - E’ così che la vedi…
Agostino: - Per non parlare di voi pagani: gentaglia, impuri, spiriti ripugnanti, tutti irrimediabilmente malvagi, da disprezzare e allontanare. Rassegnatevi, convertitevi!
Per tutto l’impero i vostri templi sono stati abbattuti. Abbiamo demolito i vostri idoli e distrutto quelli che la vostra superstizione vi fa considerate boschi sacri. Coloro tra voi che adorano gli dei vengono debitamente puniti. Lo si fa anche per voi, lo capisci?
Il maestro deve punire i discepoli che si rotolano nel fango.
Ravvediti, Ipazia, finché sei in tempo. Ormai siete stati sconfitti. Non avete più futuro. Perché questa tua ostinazione?
Ipazia: - Con queste vostre aggressioni avete provocato scontri sanguinosi. State seminando odi e rancori. Per colpa vostra la società si sta disgregando.
Agostino: - Ti citerò il mio testo sacro: “il giusto si rallegrerà nell’assistere alla vendetta; egli immergerà i piedi nel sangue degli empi!”. E poi, a quanto ne so non è mai morto nessuno che non sarebbe dovuto morire. Che importa in che modo si muore? Per quali ragioni si è contrari alla guerra? Forse perché in essa periscono uomini comunque un giorno destinati a morire?
La cosa importante è che la guerra sia giusta. La tolleranza è cosa infruttuosa e vana.
Ipazia: - E’ dunque questo che ti insegna e comanda il tuo Dio?
Agostino: - Ti citerò parola per parola quel che ci prescrive di fare in guerra. Lo conosco abbastanza bene da poterlo recitare a memoria. Con gli stati non confinanti ecco cosa ci dice il testo: “Quando Jahwe li avrà messi in tuo potere, allora dovrai passare tutti gli uomini a fil di spada e disporre invece a tuo piacimento di donne, bambini, bestiame e di tutto ciò che si trova nella città”. Con gli stati confinanti la sua regola è più severa: “Non devi lasciare anima viva”. E inoltre: “Distruggete tutti i luoghi sacri in cui i pagani, che voi disperderete, hanno venerato le loro divinità e profanate i loro altari, distruggete i loro monumenti di pietra, date alle fiamme i pali sacri, distruggete le immagini delle loro divinità e cancellatene i nomi dalla faccia della terra”. E’ Lui che ce lo dice: non deve esistere ciò che si riferisce a falsi dei dove vivono coloro che riconoscono l’unico, vero Dio.
Ipazia: - Se vuoi ti aiuto, vedo qui una copia del tuo libro sacro. Ecco la pagina. Quando ai tempi di Mosè gli Israeliti attaccarono gli Amoriti, colpirono “tutte le città, gli uomini, le donne e i bambini, senza lasciare in vita nessuno”. Stessa sorte spettò al regno di Basan. Con i Madianiti, poi, “I figli di Israele fecero prigioniere le donne dei Madianiti e i loro figli. Il tuo Mosè reagì allora così: “Perché avete risparmiato le donne? … Uccidete i bambini più grandi e tutte le donne che non sono più vergini; le fanciulle che ancora lo sono tenetele con voi”.
Agostino: - Hai letto bene, donna. Questo ha decretato Dio affinché il popolo di Israele potesse avere la terra che Egli gli aveva promessa. Ciò dimostra che c’è una cosa che si chiama “bellum iustum”. Oggi il suo popolo è quello dei cristiani, o meglio dei veri cristiani: noi cattolici. Oggi i nemici non sono più Amoriti e Medianiti..
Ipazia: - Li avete cancellati…
Agostino: - Oggi i nemici sono i Pagani, gli Ebrei, gli Ariani, i Semiariani, gli Gnostici, i Manichei, i Marcioniti, gli Elvidiani, gli Origeniani, i Donatisti, i Pelagiani, i…
Ipazia: - Sono vostri nemici anche molti Cristiani…
Agostino: - Certamente! Ma sono falsi Cristiani. Sono tanti e di ogni specie, ma quelli peggiori e più pericolosi sono i Donatisti. Dicono che il valore dei sacramenti dipende dalla moralità di chi li amministra. Fortunatamente sono riuscito, proprio quest’anno, a far sì che le autorità imperiali assumessero i dovuti provvedimenti con i seguaci del vescovo Donato. Oggi per loro c’è la pena di morte se si azzardano a esercitare il culto.
Ipazia: - Il culto cristiano, vuoi dire?
Agostino: - Sì, ma fatto da loro diventa falso culto, perché compongono una falsa chiesa di Dio. E poi mi preoccupano i Pelagiani..
Ipazia: - Perché non concordano con la tua idea della predestinazione.
Agostino: - Pelagio si ostina a negare che solo la grazia di Dio, in modo assolutamente gratuito, può salvare alcuni uomini dalla dannazione eterna. L’arrogante afferma che l’uomo può meritare il paradiso solo con la sua buona volontà. Non vuole capire che la natura umana è stata corrotta dalla colpa di Adamo e che mediante la generazione dei suoi discendenti il peccato originale è passato a tutti noi.
Ipazia: - Non vi battezzate apposta, per far fronte a questo grave problema?
Agostino: - Battezzarsi è essenziale. Se un bambino muore prima di essere battezzato va diritto all’inferno, per sempre. D’altra parte, egli lo subisce in modo meno doloroso di coloro che si sono resi colpevoli di peccati personali. Dio sa distinguere. Ma il battesimo non ci assicura la salvazione. Il battesimo non può cancellare del tutto la corruzione che ci deriva dal peccato originale.
Il battesimo non toglie la concupiscenza, cioè la tendenza a peccare, ma solo la sua punibilità. Occorre dunque qualcosa di ulteriore per superare tale tendenza: essere scelti da Dio, essere fra gli eletti. La maggior parte degli uomini non vedrà la beatitudine. E’ massa dannata.
Ipazia: - Il quadro che dai dell’umanità la fa apparire come qualcosa di assai poco amabile. Che significa per te amare gli altri?
Agostino: - Questo mondo per tutti i fedeli che cercano una patria è tale e quale a ciò che fu il deserto per il popolo di Israele. Io non amo ciò che gli altri sono, ma solo quello che possono essere. Amo Dio nell’altro, o perché Dio è in lui, o affinché sia in lui. L’amore per me non è essere intimamente unito a qualcuno amandolo per sé stesso. Dobbiamo amare l’altro non per sé stesso ma per l’uso che facciamo di lui. Lo stesso amore del prossimo trova il suo limite nell’amore che ciascuno nutre per sé stesso. La più profonda premessa della mia conversione è stata la paura della morte. Ebbene, amando l’altro raggiungo la salvezza della mia anima, vinco la morte guadagnando la vita eterna.
Ipazia: - La tua caritas è una forma di cupiditas. Il tuo altruismo è una forma mascherata di egoismo. Fai solo un investimento. Tu non sei capace di amare, e lo dimostra la spietatezza con cui sei devoto al tuo Dio. Mi ricordi un militare che vuole farsi onore per ottenere dal suo generale l’ambita promozione, o, per essere più precisi, che vuole dimostrare a sé stesso di avere infusa dal suo generale quell’aspettativa di fedeltà che già ne fa uno dei suoi preferiti, parte integrante del cerchio dei suoi eletti. E del militare hai anche un’altra caratteristica: l’obbedienza cieca agli ordini. Che ruolo ha la tua coscienza nelle tue scelte? Delegando a un Dio di cui si parla in un libro la deliberazione di cosa è giusto o ingiusto ti prendi la responsabilità di spogliarti della tua responsabilità morale.
E poi, come fai a sapere che effettivamente il tuo libro è veritiero, che in esso parla realmente il tuo Dio? Sulla base della tradizione? Ma non esistono anche altre tradizioni? E le tradizioni non possono sbagliare?
Forse ti basi sull’autorità di quelli che tu consideri profeti? E come fai a sapere che erano attendibili? Sei tu che lo decidi, no? E non è arbitraria questa decisione? Non è carica di responsabilità, di quella responsabilità di cui credevi facilmente di spogliarti?
O forse pensi che l’autorità dei profeti è stata stabilita dal libro, mentre l’autorità del libro è stabilita dai profeti? E cos’è questo se non un ragionamento circolare e perciò inconsistente?
Agostino: - Donna, come osi giudicarmi? Sei la riprova di come Eva fosse l’essere inferiore della coppia umana.
Ben diceva Paolo nella prima lettera a Timoteo: “Non permetto alla donna di insegnare, né di avere autorità sull’uomo, ma di stare in silenzio. Adamo, infatti, fu creato per primo, poi Eva. E non fu Adamo ad essere sedotto, ma fu la donna a essere sedotta nella trasgressione.” Tu violi continuamente le giuste e sante regole cui dovrebbe attenersi il tuo genere.
Mia madre sì che era un vero modello di donna. Quando fu in età da marito, venne data a un uomo, che ella servì come suo signore. Quando molte donne, pur con mariti più miti, mostravano tracce di percosse sul viso sfigurato e parlandone con le amiche ne attribuivano la colpa ai mariti, Monica vedeva la colpa dalla parte delle donne che non avevano tenuto a freno la lingua. Ella ricordava loro, come per scherzo, ma sul serio, che dal momento della lettura del contratto coniugale esse avrebbero dovuto aver coscienza di essere con ciò diventate serve. E memori della loro condizione non si sarebbero quindi dovute ribellare al loro signore. Prendi esempio da lei e sii più umile. Non provocarci più.
Ipazia: - Scusa, non ho capito il sillogismo. Deve essere troppo complicato e sottile perché la mia povera mente femminile lo possa riconoscere.
Agostino: - Ipazia, non ci provocare. Devi smettere di insegnare.
Sei uno scandalo agli occhi di Dio e del suo popolo. Anche i tuoi studi sono da concludere. La curiositas è pericolosa e deleteria. Guardare e pensare al cielo stellato distrae dallo sguardo rivolto verso Dio e può portare a pensare cose che sono in contrasto con le Sacre Scritture.
Ipazia: - Quanto ti sbagli, anche su questo. Non hai capito che lo studio dell’universo ci permette di riconoscere l’ordine che Dio vi ha posto, di leggervi i pensieri di Dio. Se già non l’hai fatto, leggi il Timeo di Platone. Lui ti spiega meglio di me ciò che ti sto dicendo.
Agostino: - La curiositas è concupiscentia oculorum. Tu fai della tua vista un mezzo per peccare.
Ipazia: - Volete accecarmi perché guardo il cielo?
Agostino: - Stai attenta. Tu continui a non fidarti degli insegnamenti sul mondo che Dio ci ha generosamente offerto nel suo libro sacro e continui a osservare e a interrogare il cielo. Da quando, quindici anni fa, il patriarca Teofilo ha ordinato la distruzione della biblioteca pubblica del Serapeo, la tua attività di insegnamento doveva finire. Perché dai lezioni private? Perché ricevi il prefetto augusteo Oreste? Il vescovo Cirillo è esasperato…
Ipazia: - Tu mi dici che l’osservazione del cosmo e l’applicazione della matematica alla lettura dell’ordine che Dio vi ha infuso, distragga da Dio o, peggio ancora, porti a partorire idee contrarie alle tue verità rivelate. Ti ho già detto che l’astronomia può essere considerata una sorta di teologia.
Ora aggiungerò che per trovare Dio non è necessario recarsi nel templi. Non c’è bisogno di spostarsi per raggiungere la sua presenza. Si può diventare a nostra volta un tempio vivente, in cui la presenza divina possa manifestarsi. E’ la contemplazione, Agostino.
Non si deve inseguire la presenza di Dio, ma attendere in pace che compaia, preparandosi a contemplarla, così come l’occhio attende il levarsi del sole. Allora, con l’esercizio, può accadere che all’improvviso appaia una luce, pura, non accecante, buona, che non sai se sia apparsa dal di fuori o dal di dentro. Dio viene come non venendo. Manifesta la sua presenza senza venire, perché lui era già in noi. E’ un’esperienza del Bene da sempre già presente.
E sai cosa c’è in quella luce? Un’infinita dolcezza, una sterminata tenerezza, un’immensa delicatezza, un incondizionato amore. Capisci? Proprio il contrario di quello che dicono le tue parole. E dopo la contemplazione si impara a vivere una vita contemplante, a illuminare la vita quotidiana grazie alla luce che ci si è manifestata, a offrire agli altri almeno una parte di quei sentimenti che Egli ci rivolge. Si tratta di imparare a vivere, dopo la contemplazione di Dio, una vita che disponga alla contemplazione del mondo, degli uomini e delle donne, dei bambini e degli anziani, degli animali, dei fiori e degli alberi, delle montagne e del mare, del cielo e delle sue stelle... Più si è migliori, più si è benevoli. La conoscenza deve essere metamorfosi interiore che ci permette di riconoscere la grazia nelle movenze di un bambino, anche se non battezzato, nel sorriso di una donna, anche se non appartenente alla tua stessa religione, nello sguardo sincero e onesto di un uomo che dissente dalle idee e dai dettami della tua religione.
Agostino, la legge che avete fatto varare 24 anni fa che commina la pena di morte attraverso il rogo per gli omosessuali è terribile. L’impero aveva sempre considerato un fatto privato le inclinazioni sessuali. E infine, anche se un’anima ha un comportamento cattivo non vuol dire che sia irrimediabilmente malvagia, nata per essere dannata. Non esistono anime malvagie per natura. Perfino le cose inanimate possiedono qualcosa del bene. E’ vero che c’è chi è più vicino al Bene e chi ne è più lontano, ma ciò dipende dal nostro percorso di conoscenza intima e profonda del Bene stesso, dipende da noi.
Agostino: - Con te non c’è niente da fare. Lo sapevo già. Ma Sinesio sa, da lassù, se col mio tentativo non ho rispettato la sua volontà.
Ipazia: - Con la tua visita mi hai chiesto di abiurare la mia vita. Era una proposta inaccettabile, vescovo.
Agostino e Ipazia non solo erano contemporanei, ma vivevano entrambi in Africa, in due città poste sul Mediterraneo. Un viaggio lungo la costa da Ippona ad Alessandria si poteva risolvere in pochi giorni di navigazione. Cirene, la città dove morì il vescovo Sinesio, già allievo di Ipazia, si colloca a circa metà strada fra le altre due città. Quindi non sarebbe stato difficile per Agostino esaudire le ultime volontà di Sinesio.
L’anno seguente, nel mese di marzo del 415, Ipazia venne rapita dai Parabolani, condotta a forza in una chiesa e lì trucidata. Gli occhi con cui studiava il cielo le vennero cavati che era ancora viva. Il suo corpo, fatto a pezzi, fu dato alle fiamme, così come sarebbe accaduto con tutti i suoi libri.
Il vescovo Cirillo, responsabile di questo crimine continuò la sua brillante carriera anche post mortem, prima essendo nominato santo e poi dottore della Chiesa.
Per quanto riguarda Agostino, riuscì, come già era accaduto con i Donatisti, a ottenere dall’impero la repressione dei Pelagiani, ai quali venne proibita la libertà d’espressione e ai cui vescovi venne comminato l’esilio. Pelagio, inseguito dalle condanne ecclesiali e da quelle statali fu costretto a dileguarsi. Agostino morì il 28 agosto del 430. Il suo amico e discepolo Posidonio di Calama ci narra che trascorse gli ultimi dieci giorni di vita leggendo salmi penitenziali e piangendo continuamente. Perché piangeva? In precedenza aveva scritto che chi si scioglie dai vincoli terreni per raggiungere Cristo muore con gioia.
Questo dialogo immaginario fra Agostino e Ipazia è stato costruito con l’intento di renderlo il più filologicamente corretto. A tal fine tutte le parole con cui Agostino esprime suoi giudizi e valutazioni sono tratte dai suoi scritti. In particolare si è attinto a: De Trinitade, Confessioni, Epistolam Joannis ad Parthos Tractatus, De doctrina Chistiana, Sermones, Epistilae, De Ordine, Contra Epistulam pameniani libri, Enarrationes in psalmos, Tractatus in evangelium Johannis, De sermone Domini in monte, Epistula 205 ad Bonifacium, De Civitate Dei, Enchridion, Lettera a Paolino.
L’autore si è limitato a inserirle immutate nel contesto orale del dialogo.
Diverso è stato il caso di Ipazia. Le sue opere sono andate del tutto distrutte, non precisamente ad opera del tempo o di calamità naturali, come il lettore ben sa. Sappiamo comunque da diverse fonti che era matematica, astronoma e filosofa neoplatonica. Siamo anche a conoscenza della sua età e del fatto che apparisse più giovane rispetto ai suoi anni effettivi. L’idea dell’ordine matematico che governa il cosmo è presa dal Timeo di Platone, e sicuramente non poteva essere ignorata da un’astronoma di Alessandria, tanto più se neoplatonica.
Veniamo qui all’altro aspetto importante, intellettuale e umano, della personalità manifestata da Ipazia nel dialogo.
Mi riferisco alla contemplazione del Bene, alla visione della luce, alla percezione dei sentimenti provenienti dalla luce stessa, alla considerazione di questa forma di esperienza come una fonte di metamorfosi del proprio essere quindi dello sguardo da volgere al mondo circostante, al traboccare della meditazione dallo spazio privato a quello sociale, al rivolgere verso il prossimo, seppur nei limiti consentiti dalla propria umanità, i sentimenti con cui si è stati accolti dalla presenza divina. Ebbene, tutto ciò lo troviamo nelle Enneadi, cioè l’opera capitale di Plotino, fondatore del neoplatonismo. Qui, come nelle altre scuole della civiltà ellenistica, filosofia, formazione personale e incarnazione quotidiana di principi e valori erano tutt’uno.
Risulta poco probabile che Ipazia, caposcuola della scuola neoplatonica di Alessandria, non ricorresse a quella che era una pratica fondamentale della filosofia da lei abbracciata. E’ interessante notare che la descrizione che Plotino dà dei momenti di incontro con Dio è estremamente simile a quella che ancor oggi ci forniscono le suore carmelitane, l’ordine religioso che annovera fra le sue pratiche anche quella della meditazione finalizzata all’incontro mistico con Dio. A proposito del rapporto fra meditazione formale e meditazione della vita quotidiana riscontriamo invece forti assonanze con la pratica buddista della meditazione vipassana (di consapevolezza) e di metta (di benevolenza). Infine, le obiezioni da lei avanzate contro le posizioni assunte da Agostino sono il minimo che ci si potesse aspettare da chi esercitava sistematicamente il pensiero critico e controllava metodicamente la coerenza logica delle asserzioni di volta in volta considerate.
Come riferimenti bibliografici posso suggerirne almeno tre:
Il concetto di amore in Agostino, di Hanna Arendt, edito da SE
La monumentale opera di Karlheinz Deschner sulla storia del cristianesimo edita da Ariele
Le Enneadi di Plotino, o, se non si dispone di molto tempo, il saggio di Hadot “Plotino o la semplicità dello sguardo”, edito da Einaudi.
Come film non si può perdere “Agorà”, che rappresenta abbastanza fedelmente il personaggio di Ipazia e il contesto sociale in cui ebbe la sfortuna di vivere. E’ invece un prodotto di fantasia dello sceneggiatore, seppur molto efficace dal punto di vista narrativo, la scoperta del principio di relatività galileiano (per il quale dovremo aspettare la prima età del 1600) e quella delle orbite ellittiche percorse dalla terra intorno al Sole (frutto, come noto, dello studio e della teorizzazione di Keplero compiuti sulla base dei datti raccolti pazientemente da Tycho Brahe).
Invece l’ipotesi eliocentrica era al tempo di Ipazia già discussa da secoli, precisamente dal III secolo a. C., elaborata per merito di Aristarco di Samo. Le orbite della terra erano in tal caso pensate come circolari.