Stella Jean, designer trentenne, romana con madre haitiana, col suo lavoro comunica la contro-colonizzazione: “la moda è il mio più autentico mezzo di comunicazione attraverso il quale esprimere e risolvere il senso di inadeguatezza che mi ha accompagnato nei primi anni della mia vita”.
di Rosalinda Renda
Era il 22 agosto del 1791 quando decine di migliaia di schiavi haitiani iniziarono la ribellione che portò, nel 1792, all’affrancamento dalla schiavitù e poi all’indipendenza. Il loro grido di battaglia, il Ressemblé, oggi apre le sfilate di una giovane stilista: Stella Jean [1].
Trentenne romana di madre haitiana, la designer emergente è convinta che la moda non sia solo il mondo dell’effimero, ma abbia qualcosa da trasmettere: “Ciò che cerco di comunicare con le mie sfilate è che la contro-colonizzazione è inevitabile. Abbiamo occupato il sud del mondo in maniera barbara, imponendo le nostre tradizioni a popoli già formati. L’incontro oggi avverrà in maniera più pacifica anche se c’è tanto da recuperare” [2].
Figlia di artisti, e con un passato da modella, ha trovato la sua identità creando abiti. Partendo dalla sua esperienza personale, quella di un’italiana costretta a sentirsi straniera nel suo Paese a causa della differenza della pelle, ha portato la sua vita nelle creazioni di moda. “La mia passione per la moda viene dalla necessità di trovare un mio linguaggio espressivo: la moda è il mio più autentico mezzo di comunicazione attraverso il quale esprimere e risolvere il senso di inadeguatezza che mi ha accompagnato nei primi anni della mia vita” [3].
Quel contrasto non risolto nella vita reale è stato così superato nei suoi abiti in cui l’eleganza e la linea della camicia di taglio maschile, tutta italiana, sono abbinate ai tessuti colorati e stampati dei Caraibi, segno che l’incontro è possibile. La sua moda, da Stella stessa definita “Wax & Stripes Phylosophy” è finalizzata infatti alla commistione tra culture diverse: il wax, tipico tessuto stampato africano, “rappresenta le radici materne, Haiti, prima repubblica nera indipendente al mondo; le stripes della camiceria di foggia maschile, simbolizzano il côté paterno” [5]. Questo dualismo che si armonizza nel linguaggio della moda in modo non canonico rappresenta per la designer un veicolo di “contro-colonizzazione”. L’esperienza individuale, tradotta nella creazione artistica, si fa universale: “il métissage non è evocativo solo della mia storia, ma è il paradigma di una necessaria e inevitabile evoluzione sociale” [3]. Un’artista cosciente dunque che l’innovazione, anche nella moda, non è solo frutto di un talento e un percorso personale, ma è legata al mondo storico sociale in cui si sviluppa: “credo che l’idea di moda è sempre correlata a una certa espressione di innovazione. Ogni manifestazione creativa contiene in qualche modo un elemento esplicativo e rivoluzionario del suo contesto e del suo momento storico” [3].
Grazie a queste sue eleganti creazioni dal forte impatto, dovuto ai colori sgargianti tipici dei tessuti etnici, riesce a vincere nel 2011 il concorso “Who is on Next”, progetto organizzato da AltaRoma in collaborazione con «Vogue Italia» per promuovere nuovi talenti creativi. È stata poi scelta per realizzare il progetto “Fashion – ABLE Haiti”, finalizzato a favorire il rilancio dello sviluppo economico dell’isola caraibica dopo il devastante terremoto del 2010, attraverso la valorizzazione delle attività artigianali locali. La nuova collezione primavera-estate, presentata all’Armani Teatro, finora privilegio esclusivo dello stilista piacentino, è frutto di un progetto di Ethical Fashion, dovuto alla collaborazione con l'agenzia dell'ONU International Trade Center (ITC), che ha favorito l'introduzione delle stoffe realizzate a telaio a mano dalle donne dei villaggi del Burkina Faso.
La stilista attraverso vari viaggi in Africa, non solo in Burkina Faso ma anche in Kenya e nel Mali, ha avuto modo di conoscere le tecniche sartoriali tipiche africane: “Ogni volta andiamo in un villaggio in cui incontriamo donne che portano avanti, da sempre, il loro sapere. Non ci rechiamo lì con l’idea di portare dell’aiuto perché non è assolutamente così. Si tratta di uno scambio completamente paritario, anzi, se devo dire quello che sento profondamente, sono io a beneficiare maggiormente di questi incontri” [2].
Nelle sue sfilate i capi realizzati con il telaio a mano vengono accompagnati da borse a stampa giraffa bogolan (tessuto tipico del Mali) e bijoux ricavati da bidoni di metallo riciclato realizzati nell’isola di Haiti. Per Stella Jean è l’Africa il continente del futuro, e il suo sogno lo sintetizza così: “che non ci sia più bisogno di me, o di persone che agiscono in questo modo, per comprendere che culture lontane possono condividere lo stesso spazio, lo stesso luogo, lo stesso tempo» [2]. Insomma: “fortunata la terra che non ha bisogno di eroi”, come diceva un certo Bertold Brecht!
Bibliografia
1 «Il sole 24 ore» [Online]. Available: http://www.moda24.ilsole24ore.com/art/stili-tendenze/2013-09-18/stella-jean-prima-sfilata-153023.php?uuid=AbUMq8XI/
2 «Il manifesto» del 03/01/2015, inserto Alias, pag. 9.
3 «L’Officiel Italia» [Online]. Available: http://www.lofficielitalia.com/2014/03/interview-with-stella-jean/
4 «Il corriere della sera» [Online]. Available: http://www.corriere.it/cultura/14_giugno_13/ascesa-stella-jean-punto-donne-tessuti-fatti-burkina-faso-89ddece0-f338-11e3-9109-f9f25fcc02f9.shtml?refresh_rum&
5 Stella Jean [Online]. Available: http://www.stellajean.it/about.html
“Credo che l’idea di moda è sempre correlata a una certa espressione di innovazione. Ogni manifestazione creativa contiene in qualche modo un elemento esplicativo e rivoluzionario del suo contesto e del suo momento storico”