Chi erano i sofisti
Con il termine sofista nell’antica Grecia si denota chi è in possesso della sapienza. Il termine è usato per indicare i pensatori che girano per la Grecia presentandosi come maestri di virtù, quale tecnica di comportamento soprattutto politico, e dell’arte dei discorsi (la retorica), facendosi pagare un compenso per il loro insegnamento, cosa allora inaudita.
Dall’accezione negativa alla ricomprensione nella loro epoca storica
L’ostilità degli ambienti conservatori e le dure critiche di Socrate, Platone e Aristotele alla seconda generazione di sofisti, ossia agli epigoni, hanno dato al termine un’accezione negativa, tanto da indicare chi utilizza strumentalmente la forma della filosofia e la retorica per raggirare gli altri, insegnando a prevalere nei discorsi anche quando si è in torto. In tale accezione negativa il sofista è un mercenario del sapere che corrompe i giovani insegnandogli a persuadere con lunghi discorsi e artifici oratori gli ascoltatori, senza curarsi del contenuto. Oggi i critici tendono ad attenuare tale accezione negativa ricomprendendo la funzione dei sofisti nella loro epoca storica: i cinquant’anni che vanno dalla vittoria nelle guerre persiane 479 alla morte di Pericle 429 a. C., il periodo di maggiore splendore della democrazia ateniese.
La formazione di un nuovo ceto dirigente proto-borghese nella democrazia
Con l’affermazione delle istituzioni democratiche dopo la costituzione di Clistene nel 508 a. C., diviene essenziale la capacità di persuadere gli altri con la parola. È in particolare la classe emergente dei mercanti, che diviene via via dominante nell’età periclea, egemonizzando le masse, ad aver bisogno dell’insegnamento dei sofisti per mantenere il potere nelle assemblee. I sofisti hanno il compito della formazione di un nuovo ceto dirigente, competente in tutti i campi, precedentemente gelosamente custoditi dalla tradizione aristocratica. Perciò erano così apprezzati dalla classe emergente e così contrastati dai conservatori.
Relativismo culturale e confronto-scontro fra naturale e convenzionale
Inoltre, aumentando i traffici e l’afflusso di stranieri ad Atene da tutto il mediterraneo, sorge un grande dibattito sulle diverse culture, che mette progressivamente in crisi la cultura tradizionale. Si crea così un confronto-scontro fra la costante validità di “ciò che è per natura” e la variabilità e relatività di “ciò che è per convenzione”.
Umanesimo, soggettivismo, relativismo e indagine razionale del mondo fenomenico
I Sofisti si distinguono dai pensatori precedenti per il loro interesse esclusivo per le cose umane. Inoltre i sofisti svalutano l’astratto razionalismo eleatico, contrapponendovi la rivalutazione di opinioni e fenomeni. Di qui l’impostazione relativista, la rivalutazione di ciò che sembra a ciascuno, della capacità persuasiva dei discorsi. Ciò favorisce un’indagine razionale del mondo fenomenico, che spaventa moltissimo i conservatori e a proposito della quale si parlerà di illuminismo greco.
Protagora: vita e opere
Nato a Abdera fra il 484 e il 481 a. C., Protagora, giunto ad Atene, entra in buoni rapporti con Pericle. Con il governo oligarchico dei Quattrocento 411 a. C. è colpito dal moto di reazione antidemocratico e muore cercando di fuggire da Atene via mare. Le opere più importanti di Protagora sono Discorsi demolitori e Sugli dei. Occorre ricordare inoltre le Antilogie, di argomento etico-politico, esposte con il tipico metodo della contrapposizione degli argomenti, e l’opera Sull’essere in cui Protagora critica la filosofia eleatica.
L’uomo misura di tutte le cose e l’insegnamento della politica e della retorica
Protagora si dedica a quelle che considera le due attività più importanti dell’uomo: la virtù o scienza politica e l’arte di ben parlare. Nel suo più celebre frammento Protagora afferma: «di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono». In tal modo Protagora esprime una nuova posizione radicalmente soggettivistica e antieleatica. Si tratta di una posizione ultrarelativistica se per uomo non si intende l’umanità, o gli uomini liberi, ma piuttosto il singolo uomo. Per ciascuno è vero ciò che gli appare tale. Non è l’essere o non essere della cosa a importare, ma la valutazione del singolo uomo in base all'uso che ne fa. Così tutte le opinioni individuali hanno eguale valore. Sul piano della certezza soggettiva il miele appare dolce al sano e amaro al malato, e non ha senso interrogarsi sul suo sapore in sé, quando nessuno lo gusta.
Utilitarismo privato e pubblico e agnosticismo religioso
Ciò vale per tutte le valutazioni umane sia etiche che politiche: ciò che a ciascuno sembra bene o utile tale è per lui, ciò che alla città e al popolo sembra giusto tale è per essi. Da qui l’agnosticismo religioso di Protagora, che gli valse l’accusa di empietà, espresso nel secondo celebre frammento: «quanto agli dei non sono in grado di sapere né che esistono né che non esistono, né di che aspetto sono: molte cose impediscono di saperlo, l’oscurità della cosa e la brevità della vita umana».
Il sofista può far pensare e agire in modo conveniente chi pensa e agisce in modo sconveniente
Tuttavia, se le opinioni sono indistinguibili sul piano della verità, hanno un criterio di distinzione sul piano dell’utilità. Essere sani è meglio che essere malati e, dunque, anche le opinioni del sano saranno migliori. E come il medico può sanare il malato, così il sofista può far pensare in modo conveniente chi pensa e agisce in modo sconveniente. Il principio di scelta è quindi il principio dell’utilità sia privata che pubblica, intesa come bene del singolo e della comunità. Il sofista si presenta come propagandista dell’utile e mediante la parola cerca di modificare le opinioni degli altri in tal senso.
La retorica per far prevalere l’interesse della polis o quello dei ricchi?
L’oratoria è lo strumento del magistero sofistico, la capacità di comporre lunghi discorsi che, ammaliando il pubblico, ne diminuiscono le capacità critiche e di reazione e lo dispongono alla persuasione.
Del resto, se tutte le opinioni sono egualmente vere, compito dell’oratore è di far apparire il proprio discorso come migliore e più persuasivo di quello altrui. Mentre Protagora utilizza la retorica in funzione politico-educativa, in quanto concepiva l’utile come benessere comune della polis, in seguito i sofisti la utilizzeranno al fine di legittimare l’utile dei potenti ponendosi al loro servizio.
La centralità della politica e delle tecniche
Secondo Protagora l’uomo primitivo non sarebbe potuto sopravvivere per mancanza di difese naturali, se non grazie all’acquisizione delle tecniche e per il possesso della virtù politica che Zeus, ossia la natura ha dato a tutti, visto che le sole tecniche sono insufficienti.
Gorgia: vita e introduzione generale
Nato a Lentini in Sicilia, Gorgia vive moltissimo: dal 484 al 376 a.C. Nel 427 è ambasciatore ad Atene, dove ha un enorme successo esercitando l’arte della retorica. Nei suoi numerosissimi viaggi, da cui trae lauti guadagni, tiene molte orazioni. Gorgia è ritenuto tra gli inventori della retorica e della prosa d’arte: mediante cui si esercita la persuasione, potente più della coercizione a muovere gli animi.
Il linguaggio da veritativo diviene strumentale e persuasivo
Rispetto a Protagora, la sua dottrina è più negativa riguardo le capacità conoscitive e pratiche dell’uomo. Mentre in Parmenide vi era l’identificazione tra essere-pensiero e linguaggio, in Gorgia questa identificazione cade. Il linguaggio non è più veritativo ma diventa strumentale, persuasivo.
Gorgia porta all’assurdo la posizione eleatica utilizzando i suoi stessi argomenti
Per Gorgia l’essere è impensabile e inesprimibile, tant’è che nella sua prima opera “Sul non essere” dimostra che l’essere non è. L’opera documenta l’estremo scetticismo della posizione di Gorgia. Si tratta di una polemica con la filosofia eleatica che pretende essere l’unico discorso vero. Gorgia porta all’assurdo tale posizione utilizzando i suoi stessi argomenti. Le tre tesi fondamentali sono: Nulla esiste; Se anche qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile; se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile. Con la prima affermazione Gorgia non vuole negare la realtà testimoniata dai sensi, ma la pensabilità logica di questa realtà, realtà intesa come la natura, l’arché, dio, l’essere che va oltre i fenomeni. Inoltre, costituisce una negazione radicale dell’essere che può essere interpretata come professione di ateismo. Le altre due tesi invece sono scettiche e agnostiche in quanto sostengono che l’uomo non ha gli strumenti per affermare o negare l’esistenza di dio.
Il dualismo tra pensiero ed essere
Per quanto concerne la seconda tesi, Gorgia afferma che il pensiero non rispecchia necessariamente la realtà, per conoscerla dovremo avere una fotografia esatta della realtà. Vi è il divorzio fra pensiero ed essere, posso pensare anche cose che non esistono; quindi se il pensiero non rispecchia la realtà, neanche la realtà rispecchia il pensiero.
L’unica cosa che conta è la capacità persuasiva del linguaggio
Per quanto concerne la terza tesi, Gorgia vuole dire che il linguaggio è diverso dalla realtà, e quindi non ha una funzione veritativa, non esprime l’essere. Sganciati dall’essere e dalla verità, il pensiero e il linguaggio perdono valore di strumenti di verità, da ciò l’affermazione di Gorgia “Tutto è falso”. L’unica cosa che conta è la potenza del linguaggio, la sua capacità di persuadere.
Le vicende umane sono dominate dall’irrazionale
In contrasto con il razionalismo e l’ottimismo dei filosofi precedenti che vedono la realtà dominata dal Logos, ovvero dalla ragione, per Gorgia la vita dell’uomo non è dominata dal logos, ma dalle circostanze, dalle passioni, dalla menzogna. Quindi nelle vicende umane domina l’irrazionale, non c’è una logica.
Elena non ha agito razionalmente né volontariamente
Da qui il famoso Encomio di Elena (lode), un puro esercizio di abilità oratoria in difesa della celebre traditrice dell’epos, mostrando come l’oratore possa impadronirsi dell’animo dello spettatore e portarlo dove vuole. Elena per Gorgia non ha colpa, la sua psiche non ha colpa, la sua scelta non è stata razionale, si è arresa alla necessità, al volere divino, alla forza e alla violenza del suo rapitore, ma soprattutto è stata soggiogata dal discorso persuasivo di Paride, cui non poteva resistere.
Gli uomini hanno divinizzato ciò che è per loro utile
Prodico nasce a Ceo una generazione dopo Protagora. Viaggia molto e ha successo in particolare ad Atene. Prodico spiega la religione sulla base della divinizzazione delle cose utili all’uomo, per cui Demetra non sarebbe altro che il simbolo del pane, Dioniso del vino, ecc.
Preminenza della legge naturale ed eguaglianza fra greci e barbari
Antifonte giudica la natura superiore alle convenzioni giuridiche. In effetti non si hanno conseguenze se si viola la legge senza essere scoperti, mentre non altrettanto si può dire delle violazione delle leggi di natura. Sulla base della superiorità della legge naturale Antifonte arriverà a proclamare l’eguaglianza (naturale) fra greci e barbari.
La religione come instrumentum regni
Crizia ateniese, nobile ed esponente di spicco della fazione filospartana, è membro del governo dei Trenta tiranni. Crizia sostiene che la religione è un instrumentum regni. Visto che le leggi da sole non bastano a far sì che non si faccia di nascosto il male, allora ci si è inventati il controllo divino. Al quale non devono dare credito i potenti.
Dalla superiorità della legge di natura l’eguaglianza fra padroni e schiavi
Nella seconda generazione dei sofisti si pone al centro il contrasto natura-leggi. Sostenendo la superiorità della natura sulla legge, Alcidamante affermava l’eguaglianza fra padroni e schiavi. D’altra parte la superiorità della natura sulla legge, può essere funzionale ai reazionari che vi fondano la legge della giungla, cioè la legge del più forte.
Le leggi come opera dei più deboli e il diritto come l’utile del più forte
Da qui muove Callicle che rivendica su tali basi la superiorità dell’individuo su ogni vincolo morale e, dunque la superiorità della forza, della violenza sul discorso. Le leggi sarebbero opera dei più deboli, per limitare il potere naturale dei più forti. Mentre Trasimaco sostiene che il diritto altro non è che l’utile del più forte. Perciò i democratici faranno come gli oligarchi o i tiranni leggi funzionali a rafforzare il loro potere.
Socrate e la crisi della civiltà ellenica
La verità si costituisce in modo dialogico
Socrate fonda una nuova tradizione filosofica, che raccoglie l’eredità della tradizione sapienziale, adattandola all’ambiente della polis grazie all’esperienza della sofistica. Pur affrontando tematiche umanistiche come i sofisti, non intende insegnare a far prevalere il proprio punto di vista. Il logos non è per Socrate uno strumento retorico di persuasione, indifferente alla questione del vero e falso. Il linguaggio, se usato in modo logicamente corretto, è il luogo in cui si costituisce la verità delle cose, offrendone il significato al dibattito nella polis, alla formazione delle decisioni politiche. Tale ricerca è collettiva e dialogica, perciò Socrate non scrive, in quanto la scrittura tende a irrigidire il sapere, presentandolo come un sistema chiuso e definitivo. Il discorso socratico non è oracolare o profetico, ma ha la forma del dialogo nel contesto della polis.
Le testimonianze necessaria a ricostruire il pensiero di Socrate
Per ricostruire il suo pensiero dobbiamo rifarci alle testimonianze. Nelle Nuvole Aristofane mostra l’odio che hanno reazionari e aristocratici per il filosofo, l’intellettuale. Senofonte cerca, dopo la condanna a morte da parte dei democratici, di conquistare l’eredità di Socrate alle posizioni conservatrici. Ma da aristocratico è digiuno di filosofia. La fonte principale è Platone che, però, tende ad attribuire a Socrate anche lo sviluppo del suo pensiero. Aristotele è utile per distinguere il pensiero di Socrate da quello di Platone.