Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.
Le elezioni del 1948 in Italia e la guerra fredda
Il 18 aprile 1948 si arriva a importanti elezioni politiche, in cui comunisti e socialisti si presentano insieme in un Fronte democratico popolare. La Democrazia cristiana (Dc), glissando sui problemi di politica interna, sposta la campagna elettorale sul piano internazionale presentandosi come il partito degli aiuti statunitensi. La vittoria della Dc è nettamente superiore alle aspettative, perciò ancora oggi alcuni storici pongono in dubbio la correttezza delle elezioni, con la Democrazia cristiana al 48,5%, mentre il Fronte delle sinistre si ferma al 31%. La Dc rafforza la propria maggioranza con un governo De Gasperi cui prendono parte anche il Partito liberale, il Partito repubblicano e il futuro Partito socialdemocratico.
L’attentato a Togliatti e la fine dell’unità sindacale
Nel nuovo clima di Guerra fredda vi è un attentato a Togliatti, leader del Partito comunista (Pci), che viene gravemente ferito. I lavoratori insorgono in tutto il paese e, in alcune zone, prendono il controllo del potere, ma sono prontamente fermati dalla dirigenza del Pci e dallo stesso Togliatti dall’ospedale. Lo sciopero generale indetto dalla Cgil, viene sfruttato dai sindacalisti di area Dc – che subiva a tal proposito forti pressioni dagli Stati Uniti – a rompere l’unità sindacale fondando la Cisl. Poco dopo anche i sindacalisti socialdemocratici e repubblicani si scindono dando vita alla Uil.
La politica ultraliberista di Einaudi
In un primo periodo il governo, per uscire dalla crisi, facendola pagare in primo luogo a salariati, ceti medi e piccola borghesia, usa lo strumento dell’inflazione. In seguito, dal 1948, con la direzione economica dell’ultraliberista Luigi Einaudi, intimorito dallo spostamento a sinistra o all’estrema destra del ceto medio, viene portata avanti una politica deflazionista, che diminuisce il flusso di denaro creato dallo Stato per finanziare le imprese private. Così aumenta la disoccupazione, che fa scendere i salari e, inoltre, si accresce la concentrazione delle imprese, in quanto i piccoli imprenditori tendono a fallire.
Società e cultura nell’Italia repubblicana
Dal punto di vista culturale nei primi decenni del dopoguerra la società italiana conosce una trasformazione più ampia di quella avuta dall’Unità alla Seconda guerra mondiale. Proprio in questi anni, in effetti, l’Italia diviene un paese prevalentemente urbano, industriale, sviluppato, inserito negli scambi economici e culturali internazionali. Testimonianza di ciò è in primo luogo la scolarizzazione che diviene un fenomeno di massa, rendendo possibile l’unificazione del paese sul piano linguistico, grazie alla scuola e ai mezzi di comunicazione di massa. All’unificazione linguistica e in parte di abitudini e costumi ha contribuito l’emigrazione interna da sud a nord, con i matrimoni misti che ne sono seguiti. Anche i cibi del sud, pasta e pizza, si diffondono al nord.
La Questione meridionale
Tuttavia le profonde disparità fra nord e sud e il controllo spesso della malavita sui fondi nazionali destinati allo sviluppo del meridione favoriscono il sorgere di pregiudizi razzisti, per cui l’arretratezza del sud non è considerata dal punto di vista storico e sociale quale, fra l’altro, funzionale allo sviluppo del nord, bensì sulla base di una presunta inferiorità naturale dei meridionali. Ciò ha favorito, a partire dagli anni Novanta, l’affermarsi nel nord delle posizioni populiste e razziste della Lega Nord, che mettono in discussione l’unità nazionale considerando il sud, da Roma in giù, una zavorra di cui liberarsi.
Il neorealismo
Dopo che nell’epoca fascista gli intellettuali avevano o cantato le lodi del regime o si erano chiusi in un ermetismo elitario, nel dopoguerra domina l’impegno politico-culturale, che ha portato a un rinascere della cultura italiana con il neorealismo, importante dal punto di vista cinematografico grazie alle opere di Visconti, De Sica-Zavattini e Rossellini e letterario con Vittorini, Pavese, Calvino e Pratolini.
Difficoltà in ambito scientifico
Più stentato il risorgere della scienza italiana dopo la fuga dei principali scienziati, spesso ebrei e/o di sinistra, durante il ventennio fascista. Nel secondo dopoguerra la ricerca scientifica richiede grandi investimenti di denaro, resi disponibili principalmente dagli Stati Uniti, che hanno reso la ricerca scientifica funzionale allo sviluppo del settore militare, con l’Italia che sempre più si è ridotta a esportare a costo zero i suoi cervelli migliori e a dover poi comprare a prezzi elevatissimi i brevetti prodotti dalla ricerca statunitense.
La nascita della Cina comunista e il movimento di decolonizzazione
La sconfitta del tentativo di rilancio del colonialismo e del razzismo da parte del nazifascismo e la grande affermazione dell’Urss, rilancia in tutto il mondo il movimento anti-colonialista. Inoltre le due maggiori potenze coloniali, Regno Unito e Francia – per non parlare di Belgio, Olanda, Spagna e Portogallo – sono uscite malconce dal conflitto, mentre le nuove maggiori potenze internazionali sono l’Urss, da sempre a sostegno del movimento anticolonialista, e gli Stati Uniti che considerano sempre più un ostacolo alla propria superpotenza economica e alla sue capacità di egemonia il monopolio imposto dalle potenze coloniali sui territori da essi controllati.
Esiti contraddittori del movimento anticoloniale
Il grande rilancio del movimento anticoloniale avrà risultati diversi. In alcuni casi i paesi colonizzati ottengono presto l’indipendenza in modo poco cruento, in altri casi sarà necessaria una lotta armata di lunga durata costata milioni di morti.
Il neocolonialismo britannico
I più capaci a risolvere le difficoltà sono stati gli inglesi, sempre più convinti della necessità di passare, dinanzi a forti movimenti indipendentisti, dalla dispendiosa occupazione coloniale a forme di controllo indiretto, spesso neocoloniale, lasciando i paesi sotto il dominio politico di una classe dirigente locale corrotta, interessata per conservare il potere e i propri irrazionali privilegi a mantenere rapporti stretti con l’ex potenza coloniale. Al contrario Francia, Belgio, Olanda, Spagna e Portogallo difendono fino all’ultimo con la violenza i loro possedimenti coloniali, con il risultato di trovarsi a fronteggiare movimenti anti-coloniali sempre più radicali e poco intenzionati, una volta conquistata l’indipendenza, a rimanere nell’area di influenza dei paesi ex colonialisti.
La Rivoluzione cinese
A rafforzare ulteriormente il movimento anticoloniale interviene la conquista del potere in Cina da parte dei comunisti, che riescono a eliminare il controllo diretto o indiretto delle potenze imperialiste su quasi tutto il loro enorme territorio. Il partito nazionalista di Chiang Kai-Shek è sconfitto principalmente perché rappresenta quelle classi dirigenti che, per mantenere e rafforzare il proprio potere, erano disposte ad ampie concessioni alle potenze neoimperialiste. Nel 1949, dopo una lunga guerra civile, i comunisti prendono il controllo dell’intero paese – a eccezione dell’isola di Taiwan occupata dalle forze nazionaliste, da allora difese militarmente dagli Usa, che sostengono il regime di destra imposto con la violenza dai nazionalisti alle popolazioni locali.
Dalla guerra di popolo alla proclamazione della Repubblica popolare cinese
Durante la guerra i comunisti si erano battuti contro l’imperialismo giapponese, mentre i nazionalisti con l’appoggio statunitense oltre al colonialismo giapponese avevano combattuto i comunisti. Nonostante ciò alla fine della guerra i comunisti controllano vaste zone della Cina e hanno un possente esercito. L’Urss spinge Mao Zedong a cercare una conciliazione con Chiang Kai-Shek, per un governo democratico e una Cina neutrale. Tuttavia gli Stati Uniti, che considerano la Cina parte della propria zona di influenza, inducono Chiang a non accettare. Mentre l’Urss, temendo un’invasione statunitense frena i comunisti, Chiang Kai-Shek approfitta delle trattative per lanciare una campagna di annientamento dei comunisti. Per circa un anno i nazionalisti sembrano avere il sopravvento. Ma i comunisti scatenano una guerra di popolo e una possente guerriglia partigiana, con un grande appoggio popolare dovuto alla radicale riforma agraria realizzata dai comunisti. Questi ultimi prendono progressivamente il sopravvento, anche perché le truppe nazionaliste, mal pagate e trattate in modo autoritario, tendono a unirsi ai comunisti. Così, il 1° ottobre del 1949 nasce la Repubblica popolare cinese, che si caratterizza come una dittatura democratica popolare, dominata da un blocco sociale composto da proletari e contadini, quale classe dominante, e settori della piccola borghesia e della borghesia nazionale disponibili ad accettare la direzione comunista.
Le prime misure del governo rivoluzionario
L’Urss riconosce immediatamente la Repubblica popolare cinese e stringe con essa un trattato di amicizia e reciproca assistenza. La grande e media industria è nazionalizzata, il commercio estero diviene monopolio statale, nelle campagne sono espropriati i latifondi e favorite le cooperative. La vecchia Cina feudale è morta per sempre.
Portata storica della Rivoluzione cinese
La Rivoluzione cinese rappresenta una decisiva svolta nella storia mondiale, paragonabile a quella delle rivoluzioni francese e russa. Si pensi che questa antica civiltà, che prima delle aggressioni colonialiste e imperialiste dell’Ottocento produceva circa un terzo delle ricchezze mondiali, era ridotta nel 1949 a essere il paese più povero del mondo. Mentre da allora, pur con enormi difficoltà, è tornata via via a essere una grande potenza, oggi in grado di puntare al primato mondiale.
La decolonizzazione nei primi anni del dopoguerra
Già durante la guerra, per bloccare il tentativo di penetrazione dei tedeschi, gli inglesi si atteggiano a protettori dell’unità araba su basi moderate. Così nel 1945 nasce al Cairo la Lega araba, diretta da un’oligarchia che detiene il potere, generalmente in modo autoritario. La Francia, al contrario, punta sulla forza, ma dopo diversi scontri armati con le forze indipendentiste preferisce abbandonare Siria e Libano.
Il primo conflitto arabo-israeliano
Nel frattempo i sionisti emigrati in Palestina portano avanti azioni terroristiche per costringere la Gran Bretagna al ritiro. Tuttavia, al contempo, continuano a scontrarsi con i palestinesi. Gli inglesi, colpiti dai sionisti anche all’estero con attentati e pressati dai sovietici, decidono di lasciare all’Onu la decisione in merito alla Palestina e nel 1948 si ritirano. Ne approfittano i sionisti per proclamare lo Stato d’Israele. Dal momento che il sorgere di uno stato ebraico avrebbe comportato per gli arabi palestinesi l’emarginazione politica, sociale ed economica sulla propria terra, sebbene fossero la maggioranza, si arriva nel 1949 a un conflitto in cui gli arabi sono sconfitti dai sionisti meglio armati e organizzati. Oltre un milione di palestinesi sono costretti ad abbandonare la propria terra e a divenire profughi nei paesi arabi vicini, dove tutt’ora vivono, o meglio sopravvivono, e sono cresciuti sino a divenire oltre cinque milioni. Inizia così un conflitto fra arabi e sionisti destinato a divenire sempre più acuto e drammatico.
L’indipendenza dell’India
Per evitare che l’India accetti le offerte di alleanza tedesche e giapponesi, il Regno Unito nel 1942 gli promette lo stato di dominion, ma gli indiani rifiutano. Gli inglesi puntano allora sul conflitto latente fra induisti e mussulmani, che degenera in guerra civile. Il governo laburista, nel 1948, trova un accordo con le parti in conflitto, per cui al suo ritiro il paese si divide in due: l’India e il Pakistan a nord-ovest con l’appendice del Bengala orientale a sud-est dell’India (oggi Bangladesh). L’India entra nel Commonwealth e diviene una repubblica democratica e federale. Nel frattempo Gandhi viene assassinato e capo del governo diviene Nehru, che porta avanti una politica di neutralità dinamica. Tuttavia il passaggio di potere concordato e il governo democratico del partito del Congresso non trasformano in profondità le strutture sociali del colonialismo e il paese rimane per anni in una situazione di povertà e arretratezza devastanti.
Le lotte per l’indipendenza dell’Indocina
In Indocina i comunisti di Ho Chi Minh, che hanno diretto la resistenza antigiapponese, alla capitolazione di quest’ultimi dichiarano l’indipendenza. La Francia si oppone e inizia la guerra, fra il nord del Vietnam sotto controllo dei comunisti e il sud in cui i francesi hanno creato un governo fantoccio di destra, sostenuto dagli Stati Uniti. La terribile guerra dura 30 anni e si concluderà con la completa sconfitta delle potenze imperialiste.