Link al video della lezione dell’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.
Hannah Arendt nasce nel 1906 in Germania da una famiglia di religione ebraica. Studia prima teologia poi si specializza in filosofia con Martin Heidegger, di cui diviene assistente e amante. Nel 1933, dopo la conquista del potere da parte del nazionalsocialismo è costretta all’esilio a Parigi. Qui viene internata con gli altri profughi tedeschi nei campi di concentramento fatti costruire dai liberaldemocratici francesi all’inizio della Seconda guerra mondiale. Quando la classe dirigente francese preferisce alla guerra, l’alleanza in funzione subordinata alla Germania hitleriana e si prepara a consegnare gli internati fuggiti dalla Germania ai nazisti, Arendt coraggiosamente fugge e raggiunge rocambolescamente gli Stati Uniti, dove è costretta a sopravvivere come apolide, in quanto non riesce, come molti emigrati ebrei o antifascisti, ad avere la cittadinanza. Arendt mira a riprendere la carriera accademica cercando di diffondere il pensiero di Heidegger che, per la sua adesione al nazionalsocialismo, è pochissimo conosciuto negli Stati Uniti. Nel 1951 pubblica l’opera che la ha resa famosa, le ha consentito di avere la cittadinanza e di insegnare all’Università: Le origini del totalitarismo.
Le origini del male e della violenza nella storia
La riflessione della Arendt muove dall’esigenza di dar conto dell’origine del male e della violenza nella storia, che ha portato fino ai lager, che non considera un orrore irrappresentabile – come farà per esempio Adorno – un’anomalia, un accidente quasi insignificante nel corso della storia, come farà il suo maestro Heidegger. Ciò la porta a occuparsi dei totalitarismi, che avrebbero mirato a ridurre gli uomini nella loro diversità a un unico e identico uomo. Tale progetto sarebbe stato possibile soffocando la libertà e trasformando l’uomo in un oggetto. Il concetto di totalitarismo proviene dal liberalismo e occulta le pesanti responsabilità dei liberali nella resistibile ascesa al potere del nazismo. Inoltre la critica di eliminare la differenza fra gli individui, cara alla tradizione antidemocratica liberale, perde di vista che tale critica è ben presente nel pensiero antiuniversalista nazista, che proprio accentuando la differenza mira a realizzare una società fortemente gerarchizzata. Dunque, il concetto di totalitarismo sembra meglio adattarsi alla critica liberale alle società socialiste che, in nome dell’eguaglianza, cancellerebbero la differenza e la libertà degli uomini, insieme alla loro proprietà privata.
Le origini del totalitarismo
L’omonima opera di Arendt si propone di analizzare le cause e il funzionamento dei regimi totalitari. Si tratta di un testo importante dal punto di vista storico-politico perché analizza la storia europea dalla fine dell’Ottocento fino alla Seconda guerra mondiale e dal punto di vista filosofico-politico perché contribuisce a sviluppare il concetto di totalitarismo, anche se lo fa essenzialmente in riferimento al nazismo e allo stalinismo, mentre il regime fascista, dalla critica del quale è nato il concetto di totalitarismo, non è preso in questione da Arendt.
Il totalitarismo come ideologia di Stato
Apparse in piena guerra fredda, le tesi di Arendt, che univano nella stessa condanna il regime hitleriano e il regime staliniano, trovarono il favore del dipartimento di Stato americano e sono in seguito rielaborate da un importante esponente di tale dipartimento: Brzezinsky, sino a divenire l’ideologia dominante nel campo occidentale nella guerra fredda e nella sua attuale appendice. In effetti, in questa strumentalizzazione in chiave ideologico-politica del concetto di totalitarismo, il colonialismo, l’imperialismo e, spesso, persino i fascismi scompaiono, per concentrarsi sull’identificazione nel totalitarismo di nazismo e non solo dello stalinismo, ma del comunismo tout court.
Arendt prende le distanze dall’uso ideologico della categoria di totalitarismo
Occorre dire che, per quanto liberale e certamente anticomunista, Arendt non ha mai approvato tali semplificazioni, a suo avviso, in effetti, l’incubatrice del nazismo andava ricercata nell’imperialismo e nel razzismo delle conquiste coloniali. Del resto gli stessi campi di concentramento apparvero per la prima volta nella guerra anglo-boera all’inizio del novecento in Sudafrica, in India e per quanto riguarda l’Italia in seguito all’occupazione della Libia, ovvero in tutti e tre i casi in epoca liberale.
Dunque, al contrario delle successive semplificazioni ideologiche, Arendt ha delineato lo sviluppo del totalitarismo dal colonialismo, all’imperialismo, ai fascismi, fino al nazismo e allo stalinismo, che ha distinto dal comunismo, anche sovietico, in riferimento per esempio alla destalinizzazione di Kruscev o allo stesso Lenin.
Analogie fra nazismo e stalinismo secondo la Arendt
Considerato l’enorme successo che la teoria del totalitarismo, nella sua versione ideologica, ha avuto nel mondo occidentale, conviene analizzarla nello specifico. L’identificazione fra nazismo e stalinismo, già tracciata da Arendt, si fonda essenzialmente su tre elementi: 1) si tratta di regimi che tendono al dominio totale sulle persone e al dominio globale a livello planetario; 2) detti regimi esercitano il proprio dominio mediante l’ideologia e il terrore (che colpisce gli oppositori, ma anche gli innocenti); 3) si tratta di regimi a partito unico (Arendt non cita il potere personale assoluto del capo, che aveva portato gli avversari politici di Roosvelt a definirlo un dittatore).
Le Cause del totalitarismo
Il male radicale che si realizza nell’universo concentrazionario si fonderebbe, secondo Arendt, sul motto “tutto è possibile” ponendosi al di là della misura umana e, dunque, di ogni criterio o giudizio morale. Qui riecheggiano le tradizionali critiche liberali all’astrattezza della rivoluzione che rompe con la tradizione. Inoltre definire il totalitarismo o anche il nazismo male radicale, assoluto, mistero, follia ecc. significa, in qualche modo, rinunciare a una comprensione razionale delle cause che lo hanno prodotto. A parere di Arendt i regimi totalitari sono una conseguenza tragica della società di massa, dove gli uomini sono resi atomi, sradicati da qualsiasi relazione interumana e privati dello stesso spazio pubblico in cui hanno senso l’azione e il discorso, e sono una conseguenza dell’imperialismo con tutto il suo tragico corredo di antisemitismo e razzismo (in realtà questo vale per il nazismo, non certo per lo stalinismo e, tantomeno, per il comunismo).
Il funzionamento dei regimi totalitari
I regimi totalitari si basano su un perverso intreccio di ideologia (razzista il nazismo, classista lo stalinismo) e terrore verso gli oppositori esercitato attraverso la polizia segreta, i campi di concentramento e la dittatura del partito unico controllato dal capo supremo, questi modelli tendono alla distruzione della vita politica democratica e della vita privata.
I limiti del concetto di totalitarismo
Per quanto suggestive alcune analogie evidenziate dalla Arendt tra nazismo e stalinismo, nella sua opera fornisce una documentazione ricca sulla Germania nazista, ma scarna sull’Urss staliniana. L’archetipo del concetto di totalitarismo è, in effetti, la Germania hitleriana cui Arendt tenta poi di assimilare l’Urss dell’età di Stalin.
In tal modo le tesi della Arendt corrono il rischio di perder di vista le specificità dei fenomeni storici analizzati e anche di relativizzare le pesantissime responsabilità storiche del nazismo. Favorendo il rovescismo storico di un Nolte che, sulla scia del suo maestro Schmidt, ha fatto del totalitarismo comunista il responsabile del sorgere del totalitarismo nazista, in quanto reazione fisiologica alle barbarie del primo.
Differenze fra il nazismo e lo stalinismo
Per esempio il mirare al dominio globale è proprio della Germania, mentre l’Urss sotto Stalin è costantemente aggredita e minacciata. Anche dal punto di vista ideologico siamo molto distanti, anzi agli antipodi. L’ideologia nazista è reazionaria e tradizionalista, quella dell’Urss è rivoluzionaria ed erede dell’illuminismo e della rivoluzione francese. Irrazionalista, razzista e antisemita il nazismo, razionalista, egualitario e internazionalista lo stalinismo e il comunismo. Antidemocratico il primo, assertore di una democrazia reale, di contro alla formale borghese il secondo.
Il rapporto fra teoria e prassi nella definizione di totalitarismo
Si dirà un conto è l’ideologia, un’altra la traduzione pratica, ma è proprio questo il punto: nel nazismo la corrispondenza tra ideologia e prassi è perfetta. Tra l’altro il nazismo, come il fascismo, esalta lo spirito totalitario e lo mette scientificamente in pratica. Nel caso del comunismo, che mira addirittura all’estinzione dello Stato, si può al massimo parlare di uno iato fra teoria e prassi. Per dirla con Primo Levi “è possibile, persino facile raffigurarsi un socialismo senza campi di prigionia. Un nazismo senza campi di concentramento è invece inimmaginabile”.
Si perde la differenza fra campi di concentramento e di sterminio
A parere di Arendt la pretesa di ogni regime totalitario di dominare in modo assoluto sull’uomo (posizione liberale) è rappresentato dai campi di concentramento, istituzione centrale del potere totalitario. L’esigenza ideologica di identificare nazismo e stalinismo, porta Arendt a perdere di vista sia le differenze fra campo di concentramento e di sterminio, sia il fatto che i lager nazisti e soprattutto i campi di concentramento, come quelli del colonialismo, nascevano dal presupposto che chi vi veniva rinchiuso non era considerato un uomo per motivi razziali.
Colonialismo e fascismi
Secondo Arendt, la forma estrema del dominio totalitario sarebbe preparata dall’isolamento degli individui nella sfera politica, così ridotti a uno stato di impotenza, di frustrazione della loro capacità di operare insieme agli altri nel perseguimento di un interesse comune. Ad Arendt si potrebbe obiettare che questo stato di alienazione e di estraniazione pare molto più simile a quello dei regimi liberali, che alla mobilitazione di massa che caratterizzano stalinismo e nazismo. In effetti, i teorici del totalitarismo stabiliscono la loro identificazione su basi solo politiche, senza tener in nessun conto la struttura economico-sociale. In tal modo, si perde di vista il fatto che mentre nazismo e stalinismo hanno strutture economiche per molti versi antitetiche, le strutture economiche del nazismo hanno diversi elementi simili a quelle del liberalismo, ovvero si dimentica che si tratta di due forme politiche di un medesimo sistema economico: il capitalismo, tanto che le classi dirigenti economiche della repubblica democratica di Weimar, del nazismo e della liberaldemocrazia della Germanica Federale restano sostanzialmente le stesse. Allo stesso modo sarebbe opportuno ricordare che nei campi di concentramento i prigionieri lavoravano spesso sino alla morte, come mostra persino il film Schlinder List, per le multinazionali che hanno sempre dominato e dominano l’economica tedesca: Farben, Krupp, Siemens, Bmw ecc.
Il fascismo, nonostante si autodefinisca totalitario, non viene fatto rientrare nella categoria
Infine c’è la tendenza, soprattutto dopo la Arendt, a distinguere il fascismo dal nazismo e, più in generale, dal totalitarismo. Si tratta di una singolare ironia della storia perché non solo i liberali italiani hanno coniato il termine proprio per criticare il fascismo, ma perché tanto Mussolini quanto il più importante teorico del fascismo, Gentile, hanno rivendicato, per esempio nella voce “fascismo” della Enciclopedia Treccani, la definizione di Stato totalitario e individuavano la novità storica del fascismo proprio nella “capacità di guidare totalitariamente la nazione”. Inoltre c’è stata certamente continuità fra tale teoria e la pratica del fascismo in Africa o nei Balcani, il tribunale speciale, l’indottrinamento delle masse, le leggi razziali ecc.