Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.
1. Il rischio di colpo di Stato riporta al governo De Gaulle
In Francia si contrappongono la sinistra, guidata da intellettuali impegnati come Jean Paul Sartre e il Partito comunista, che chiedono la fine della guerra di Algeria, e la destra sciovinista, militarista e colonialista. In particolare i fascisti, i coloni, settori dell’esercito e gollisti organizzano ad Algeri un Comitato di salute pubblica, che ricorda la sollevazione di Francisco Franco in Marocco in funzione golpista. La forzatura e la minaccia di guerra civile sortisce gli effetti sperati, tanto che il moderato presidente della repubblica chiama al governo proprio il generale Charles De Gaulle, ovvero l’esponente meno estremista della destra anti-democratica.
De Gaulle è costretto a trattare l’indipendenza
Il presidente generale cerca di risolvere la situazione concedendo un’ampia autonomia agli algerini, che rifiutano tale opzione per i motivi opposti per cui la rifiutano i coloni che, con fascisti e settori militari, nel 1960 provocano scontri con molti morti ad Algeri. A questo punto De Gaulle con un referendum si fa dare i pieni poteri di condurre da solo le trattative. I coloni, contrari a ogni trattativa, tentano nell’aprile del 1961 un colpo di Stato per prendere il potere in Algeria che, però, fallisce venendo meno il necessario appoggio dell’esercito. L’ala oltranzista dei coloni crea un’organizzazione clandestina, l’Oas (Organisation de l’Armée secrète), dedita al terrorismo. Tutto ciò non fa che spingere il governo francese a trattare con il governo provvisorio rivoluzionario, fino al referendum in cui la popolazione dell’Algeria si esprime a larga maggioranza per l’indipendenza del paese.
2. La linea soft della decolonizzazione inglese
La Gran Bretagna che, al contrario della Francia, non aveva mai cercato di assimilare i paesi colonizzati, perde le proprie colonie in modo meno traumatico. Dal dominio assoluto si passa con il capo del governo laburista Clement Attlee a un’autonomia, che i popoli coloniali utilizzano per rafforzare la lotta per l’indipendenza.
I regimi di apartheid nell’Africa meridionale
Molto più complessa la situazione dell’Africa meridionale, influenzata dal regime bianco razzista dominante il Sudafrica, baluardo del dominio caucasico, che aveva provocato la rottura con il Commonwealth per aver progressivamente radicalizzato l’apartheid. Anche i 500.000 caucasici che dominano un milione e mezzo di autoctoni nella Rhodesia del sud proclamano nel 1965 l’indipendenza, per istaurare un sistema radicale di razzismo sul modello sudafricano, reprimendo in modo violentissimo ogni opposizione degli africani.
Il Congo e la tragica fine di Lumumba
Il terribile colonialismo belga era volto unicamente allo sfruttamento delle risorse delle sue colonie africane: il Congo, il Ruanda e il Burundi. Il movimento indipendentista e anticolonialista in Congo, sorto per la durissima oppressione dei colonizzatori piuttosto tardi, costringe il Belgio a concedere un’autonomia, che diviene indipendenza dopo la grande affermazione nelle elezioni del 1960 degli indipendentisti, guidati da Patrice Lumumba. Il paese è, però, privo di quadri e i diversi gruppi etnici e tribali, fomentati dai belgi, sono in uno stato di costante conflitto, tenuto alto dall’Union Minière che sfrutta le ricchissime risorse del Katanga, sino all’indipendenza di quest’ultimo, grazie a tirapiedi locali sostenuti da mercenari europei, e successivamente del Kasai. La reazione dell’anti-imperialista Lumumba è stroncata dal colpo di Stato del generale Mobutu, fomentato, coperto e finanziato dalle potenze occidentali, che fa assassinare Lumumba, i cui sostenitori occupano il Congo orientale, che è in seguito riconquistato da Mobutu con l’aiuto dei belgi. Su Lumumba si veda l’omonimo film (2000) di Raoul Peck.
Il Portogallo fascista, nonostante lo sviluppo di una resistenza armata in Angola, Mozambico e Guinea Bissau, non intende cedere il proprio dominio coloniale. Creando così le basi per la rivoluzione che lo rovescerà nel 1974.
3. Il conflitto arabo-israeliano
Anche dopo la conclusione della Seconda guerra arabo-israeliana del 1956, la tensione nell’area non era diminuita e precipita nuovamente nel 1967. Si crea un comando unificato arabo cui aderisce, oltre a Egitto e Siria, anche la Giordania. Il leader egiziano anti-imperialista Gamal Abdel al-Nasser fa ritirare le truppe dell’Onu in quanto non in grado di tutelare i confini dalle minacce israeliane e cerca di impedire il transito delle navi israeliane nel mar Rosso. Forte del sostegno dell’imperialismo francese e statunitense, Israele bombarda di sorpresa gli aeroporti di Giordania, Egitto, Siria e Iraq e occupa Gaza e Sharm el Sheik; quindi la Cisgiordania, Gerusalemme, l’Alta Galilea, le Alture del Golan (che dominano Damasco capitale della Siria) e la penisola Sinai. In soli sei giorni i sionisti hanno riportato una vittoria totale. Nasser si dimette, ma il popolo egiziano lo costringe a tornare al potere.
L’occupazione della Palestina, l’Olp guida la lotta di liberazione
Nonostante le proteste sovietiche e il diritto internazionale, Israele mantiene il controllo militare dei territori occupati, che comprendono ormai l’intera Palestina, più territori egiziani, siriani e libanesi. La resistenza contro gli occupanti è condotta, da allora, direttamente dai partigiani palestinesi, riuniti nell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, inizialmente diretta da Yasser Arafat, duramente repressa dai sionisti.
4. Decolonizzazione e Terzo mondo
Nonostante quest’ultima battuta di arresto, il processo di decolonizzazione è in buona parte compiuto e ha contribuito ad allargare il numero dei paesi non allineati nella guerra fredda e in massima parte non ancora sviluppati dal punto di vista economico. Questi ultimi si suddividono in paesi poveri, in cui non è ancora avvenuta la rivoluzione industriale, e in paesi in via di sviluppo. I paesi del cosiddetto terzo mondo si trovano generalmente in uno stato di dipendenza dai paesi già economicamente sviluppati dal punto di vista degli investimenti necessari a innescare la produzione industriale e della tecnologia indispensabile a uno sviluppo della produzione industriale.
D’altra parte i paesi imperialisti hanno generalmente cercato di subordinare i paesi liberatisi dal colonialismo ai propri interessi economici rendendoli fornitori a basso prezzo di materie prime, di forza-lavoro e acquirenti ad alto prezzo dei prodotti di consumo dei paesi industrializzati. Oppure ne hanno favorito parzialmente lo sviluppo, in cambio di una subordinazione sul piano politico e militare.
Sistemi a partiti unici
In diversi di questi paesi, dovendosi ancora formare un apparato statale unitario, hanno dominato partiti unici che, talvolta, si sono mantenuti al potere oltre il tempo necessario a causa del perdurare di conflitti esterni o interni.
Fra i paesi che conquistano l’indipendenza dominano posizioni anti-imperialiste
L’indipendenza negli anni Sessanta di un gran numero di paesi ha parzialmente mutato gli equilibri a livello internazionale, in primo luogo in sede Onu, in quanto solo una minoranza dei nuovi paesi del terzo mondo è rimasta subordinata dal punto di vista economico, politico e militare alle vecchie potenze colonialiste, mentre nella maggior parte ha prevalso l’esigenza di autonomia e, in diversi casi, l’assunzione di posizioni decisamente anti-imperialiste e anticolonialiste, che hanno ulteriormente contribuito a indebolire l’egemonia del mondo occidentale a livello planetario.
La Conferenza di Bandung
A questo proposito, particolarmente importante è stata la Conferenza di Bandung che ha avuto luogo in Indonesia nel 1955, che vede nascere il movimento dei paesi non allineati, sulla base dell’antimperialismo, dell’anticolonialismo, del rifiuto della guerra e dell’esigenza di uno sviluppo dei paesi arretrati, anche grazie al ruolo importante svolto in questo senso da Chou En-lai, rappresentante della Repubblica popolare cinese.
5. La politica estera della Repubblica popolare cinese
Nel 1950 la Cina sigla il trattato d’alleanza e amicizia con l’Urss, la quale restituisce alla Repubblica popolare cinese tutti i territori che sono stati suoi e che l’Unione sovietica aveva conquistato nella guerra contro l’imperialismo giapponese, oltre che prestiti e tecnici indispensabili per favorire lo sviluppo in senso socialista del paese. Segue la vittoria nella guerra di Corea che dimostra che è finita l’epoca di sottomissione della Cina alle potenze imperialiste. In seguito, bisognosa di ricevere il consenso internazionale, la Cina – pur mantenendo una politica anti-imperialista – punta a una distensione internazionale, favorendo anche il movimento dei non-allineati. Fino alla metà degli anni Cinquanta la Cina mantiene ottimi rapporti oltre che con l’Unione Sovietica, con l’India, risolvendo insieme la questione tibetana, cui è riconosciuta un’ampia autonomia all’interno della Repubblica popolare cinese.
Dall’amicizia con l’Urss alla crisi dei rapporti sino-sovietici
I rapporti con l’Urss si iniziano a incrinare nel 1956, quando la Cina sostiene, dopo i fatti di Polonia e Ungheria e la critica a Stalin di Kruscev, che era ormai da considerarsi concluso il ruolo guida dell’Unione sovietica e occorreva stabilire rapporti paritari fra i paesi socialisti.
La critica cinese alla coesistenza pacifica e il rovesciamento delle alleanze
I cinesi si sentono tagliati fuori dalla distensione dei rapporti di Kruscev con l’imperialismo statunitense che si ostinava a non riconoscere la Repubblica popolare cinese. Tanto più che nel 1958 i sovietici non li appoggiano nell’acutizzarsi del conflitto con gli Stati Uniti su Formosa e con l’India sul Tibet e, soprattutto, non danno seguito alla promessa di sostenere la Cina nella costruzione della bomba atomica. Nel 1960 si arriva così alla rottura, quando alle critiche cinesi alla coesistenza pacifica, Kruscev risponde ritirando i tecnici sovietici e annullando i contratti di cooperazione economica. Infine, la Cina finisce per sostenere l’Albania, che arriva alla rottura con Mosca cin quanto quest’ultima si era riavvicinata alla Jugoslavia. L’unità dei paesi socialisti è infranta e, sfruttando tale situazione e ampliando tale rottura, gli Stati Uniti riusciranno ad avere un clamoroso successo nella guerra fredda.