1. L’India nel dopoguerra
L’India è un subcontinente ed è oggi il secondo paese più popolato del mondo, subito dopo la Cina, con oltre un miliardo e trecentottanta milioni di abitanti. Dopo aver conquistato l’indipendenza nel 1947, dopo oltre un secolo di sfruttamento coloniale, il paese subisce ancora il peso contraddittorio dell’eredità inglese. I colonizzatori hanno lasciato un sistema amministrativo centralizzato abbastanza efficiente e hanno favorito il formarsi nelle grandi città di una borghesia imprenditoriale e intellettuale avanzata che punta a modernizzare la nazione governandola secondo princìpi liberaldemocratici. Tuttavia, gli aspetti negativi lasciati dalla dominazione inglese sono decisamente prevalenti. Nelle campagne dominano signori feudali, che compongono con la borghesia urbana il blocco sociale dominante, sfruttando e affamando milioni di contadini poveri. Le divisioni di classe sono spaventose: il 2% più ricco possiede metà delle ricchezze del paese. Il 90% delle popolazione è analfabeta, otto indiani su dieci sono contadini poverissimi sempre esposti a carestie ed epidemie.
Il conflitto con il Pakistan
Dopo la divisione del paese in due con la nascita del Pakistan, ci sono terribile disordini e scontri nel trasferimento delle popolazioni con oltre un milione di morti e uno Stato di costante conflitto fra i due paesi in particolare per il controllo del Kashmir, che ha portato a diversi sanguinosi conflitti.
Il terzomondismo di Nehru
Nehru, al potere in India fino al 1964, avvia il paese verso una lenta modernizzazione su un modello misto, favorendo lo sviluppo dell’industria. I tentativi di modernizzare le campagne hanno scarsi effetti, come le riforme agrarie, per le resistenze ostinate dei grandi proprietari. Le spaventose disparità sociali sono favorite dal sistema castale, che Nehru si sforza progressivamente di superare, al contempo cercando di sottomettere i proprietari terrieri locali, discendenti dei Rajah, alle leggi dello Stato. Sul piano internazionale Nehru segue la linea dell’indipendenza e del non allineamento, ponendosi fra i leader dei paesi del terzo mondo.
2. Il compimento della liberazione coloniale dell’Africa
Con la Rivoluzione socialista dei garofani in Portogallo, che rovescia il più longevo regime fascista, nel 1974 Angola, Mozambico, Guinea Bissau e Capo Verde ottengono l’indipendenza dopo aver a lungo combattuto, con il sostegno anche militare cubano, e indebolito il regime fascista portoghese. In questi paesi si realizzano alcuni dei più interessanti esperimenti socialisti africani e queste nazioni saranno in prima fila con l’appoggio di Cuba nella lotta agli Stati razzisti di Rhodesia e Sudafrica. Quest’ultimo, a sua volta, finanzierà le forze tribali reazionarie di Angola e Mozambico in una devastante guerra civile.
La sconfitta degli stati razzisti dell’Africa meridionale
In questi paesi dell’Africa meridionale, una esigua minoranza bianca teneva – e dal punto di vista economico tiene ancora – sottomessa la grande maggioranza dei nativi africani. Lo sfruttamento selvaggio degli africani e le grandi risorse minerarie hanno fatto in particolare del Sudafrica un paese ricchissimo con un potente esercito, creato con la complicità di Israele e delle potenze imperialiste, che gli consente di reprimere nel sangue le ripetute rivolte africane. Nel 1980 la Rhodesia razzista è stata sconfitta da un movimento guerrigliero africano che ha dato vita allo Zimbabwe. Nel 1989, con il supporto cubano e angolano, la guerriglia porterà all’indipendenza della Namibia. Per la fine del regime di apartheid in Sudafrica bisognerà attendere il crollo dell’Urss, quando le potenze occidentali, non temendo più un Sudafrica nero filosovietico, costringeranno il regime razzista bianco alla liberazione dal carcere di Nelson Mandela leader comunista dell’Anc, che da allora governa politicamente il paese con il Partito comunista, senza però aver intaccato in profondità lo strapotere economico dei discendenti dei colonizzatori.
Il neocolonialismo e lo scambio ineguale
L’indipendenza formale della quasi totalità del continente africano – al di là del Sahara occidentale, dove dal dominio spagnolo si è passati al dominio marocchino, e di alcune isole sotto controllo principalmente francese come Reunion – non significa certo un’indipendenza reale dei paesi africani. In diversi casi il dominio da coloniale, militare e politico, è divenuto indiretto, neocoloniale ed economico, alla base dello scambio ineguale per cui i paesi africani forniscono materie prime, prodotti agricoli e forza lavoro a basso prezzo ai paesi imperialisti, in cambio di prodotti industriale e investimenti di capitali ad alto prezzo. Tale dominio passa spesso attraverso il meccanismo del debito, che consente di arricchire generalmente solo la corrotta classe dirigente locale e gli investitori speculativi occidentali, mentre le risorse dei paesi ex-coloniali sono svendute per pagare gli interessi.
3. Le dittature anti-socialiste in America meridionale
Sul modello del colpo di Stato militare del Brasile, contro un governo populista di sinistra, e i movimenti rivoluzionari comunisti, con l’appoggio decisivo degli Usa, si affermano governi di estrema destra ancora più reazionari, sul modello del Paraguay, in Argentina nel 1976, in Uruguay e in Cile nel 1973. Tali dittature, per affermare il loro potere e regimi economici ultra-liberisti, ricorreranno ad arresti di massa, fucilazioni e torture dei militanti di sinistra e sindacali.
Il Cile di Pinochet
Dinanzi al governo di sinistra di Allende, che aveva portato avanti importanti processi di nazionalizzazione delle risorse naturali e minerarie, di riforma agraria, di riforme sociali, nel pieno rispetto delle libertà democratiche borghesi, si forma una possente opposizione di grandi compagnie minerarie, latifondisti e la parte più retrive della borghesia sostenuta dagli Stati Uniti. Al blocco economico del paese, sostenuto dagli Usa, si aggiunge un terrorismo di destra, aprendo la strada al successivo colpo di stato militare.
Allende, per non cadere nelle mani dei golpisti – che con l’aviazione avevano bombardato il palazzo presidenziale – si suicida, senza spingere le masse e i lavoratori a insorgere, per il suo legalismo. Privi di direzione, decine di migliaia dei suoi sostenitori sono incarcerati negli stadi, poi torturati, fucilati o deportati nei campi di concentramento. Il regime ultraliberista del generale Pinochet sarà messo da parte, solo dopo aver perduto il sostegno degli Stati uniti dopo la fine del blocco sovietico nel 1989, e il montare di un’opposizione di massa. La transizione pacifica avverrà al prezzo di una pressoché totale impunità per i militari e a patto di non mettere in discussione il sistema economico ultraliberista e lo Stato bonapartista di Pinochet.
4. Il centroamerica: Guatemala e Nicaragua
Nell’agricolo e povero Guatemala la metà migliore delle terre sono proprietà della compagnia americana United Fruit, produttrice delle banane Chiquita, e di una ventina di latifondisti locali, che producono per l’esportazione con braccianti in condizioni semi-servili, mentre 300.000 piccoli contadini si dividono la metà delle terre più povere. Quando nel 1952 un movimento contadino guidato da intellettuali urbani, dopo aver vinto le elezioni, prova ad attuare la riforma agraria, il paese è aggredito da una spedizione militare di mercenari armati dagli Usa, che ristabiliscono una dittatura militare a difesa delle grandi proprietà.
Il Nicaragua sandinista
In Nicaragua la dittatura militare di destra di Somoza è rovesciata da un movimento guerrigliero detto sandinista. Al governo di sinistra sorto nel 1979, dopo la fuga del tiranno Somoza, gli Stati Uniti reagiscono con il blocco economico e finanziando movimenti armati contro-rivoluzionari composti da mercenari ed ex seguaci di Somoza, i contras. Strozzato dall’embargo economico e dalla guerra contro il terrorismo dei contras, il governo rivoluzionario, isolato dalla caduta dell’Urss, deve cedere il potere ai rappresentanti dell’opposizione filo-oligarchica, che restaura i privilegi dei latifondisti. Solo negli ultimi anni, con un programma riformista, i sandinisti sono tornati al governo vincendo le elezioni, con l’appoggio dei governi anti-imperialisti di Cuba, Venezuela e Bolivia.
5. Cuba
Cuba è stato dalla seconda metà degli anni Sessanta sino alla fine degli anni Ottanta il principale punto di riferimento dei movimenti di liberazione e di guerriglia in America Latina e nell’Africa meridionale. Tale impegno, che porterà Cuba a schierare battaglioni di volontari per l’indipendenza dei paesi dell’Africa australe di contro al Sudafrica razzista, si attenuerà dapprima su pressioni sovietiche – per paura di una recrudescenza della guerra fredda – per venire meno ed essere sostituiti da aiuti umanitari dopo la caduta dell’Urss. Tutto ciò ha dato grande prestigio nel terzo mondo alla Cuba socialista, tanto che nel 1980 Fidel Castro è stato eletto presidente del movimento dei non allineati. D’altra parte il blocco economico ha reso il paese sempre più dipendente dagli aiuti sovietici, che hanno da una parte riportato il paese alla monocultura dello zucchero, da destinare al mercato dei paesi socialisti, abbandonando il progetto guevarista di uno sviluppo industriale per modernizzare e autonomizzare il paese.
Cuba dopo il crollo dell’Urss.
Dopo la caduta dell’Unione sovietica, il paese ha resistito pur in condizioni difficilissime da solo al blocco economico statunitense, sino a che lo sviluppo di governi di sinistra in Venezuela e Bolivia, ha consentito al paese di uscire dall’isolamento. Più recentemente Fidel Castro, ammalatosi, ha ceduto il potere all’altro grande dirigente della rivoluzione cubana ancora in vita: Raul Castro, che ha cercato di far uscire il paese dalla difficile situazione economica mediante un programma di riforme in parte ispirato all’evoluzione di paesi socialisti come il Vietnam. Ciò ha favorito la distensione dei rapporti con gli Stati Uniti sotto la presidenza Obama. Dopo la morte di Fidel Castro, il presidente Trump ha ripreso la guerra fredda contro Cuba, mentre Raul Castro ha lasciato il posto alla nuova generazione di dirigenti cubani, in difficoltà a causa della crisi politica in Venezuela.
6. L’Indocina
Dopo che nel 1968 gli Stati Uniti hanno deciso il progressivo ritiro dal Vietnam, iniziano anni di lunghe e complesse trattative, che si concludono solo nel 1973 con il completo ritiro degli Usa. Il dispotico regime militare del sud Vietnam resiste con l’appoggio degli Stati uniti sino al 1975, quando un’offensiva generale dei guerriglieri e l’insurrezione delle città del sud abbatte la dittatura militare e mette in fuga gli ultimi consiglieri Usa. L’Ambasciatore statunitense fugge in elicottero quando l’ambasciata viene circondata, portando con sé i vertici del regime. È così terminata una delle più sanguinose guerre coloniali, costata la vita a milioni di vietnamiti, che ha distrutto le città del paese e la natura con i micidiali defolianti lanciati dagli statunitensi. Nei mesi successivi anche in Laos e Cambogia i regimi alleati degli Usa vengono rovesciati e si affermano le forze popolari guidate dai comunisti. La liberazione del Vietnam segna un’epoca, perché sembra dimostrare che anche la più grande potenza militare mondiale non può nulla contro un popolo in armi che rivendica il diritto all’autodeterminazione.