The specials Fuori dal comune di Olivier Nakache e Eric Toledano, commedia, Francia 2019, voto: 7; film riuscito, incentrato sul ruolo positivo che possono svolgere le associazioni non profit nell’occuparsi di quei casi particolarmente complessi di autismo che le strutture pubbliche, per perenne mancanza di finanziamenti, tendono a rifiutare o a trattare solo in modo repressivo. Il caso narrato dal film è evidentemente un’eccezione dal momento che le cooperative sociali funzionano generalmente solo attraverso l’ultra sfruttamento dei lavoratori. Inoltre, questa funzione positiva di sussidiarietà del mondo non profit può essere svolta solo nell’ambito di uno Stato imperialista, neoliberista e burocratico che taglia i servizi sociali e rifiuta i casi di disagio più complessi considerandoli unicamente come un costo. Peccato che il film, in modo assai poco dialettico, mostri tutti gli aspetti positivi di queste strutture non profit e non ne indaghi criticamente anche i limiti strutturali a partire dall’autosfruttamento che costringe ad esempio il protagonista a dover rinunciare a crearsi una famiglia.
Una intima convinzione di Antoine Raimbault, drammatico, Francia 2019, voto 6+; piacevole e ben girato, si tratta di un film interessante e convincente. Anche se non esplicitato, l’assunto della pellicola è l’assurdità della società capitalista che di fronte ad un presunto e complicato caso di omicidio, ha bisogno di sbattere il mostro in prima pagina e a questo scopo si serve della polizia e dei pubblici ministeri che, anziché impegnarsi a scoprire la verità, cercano esclusivamente l’indiziato più debole e facile da condannare. In tal modo non solo si distrugge la vita di un uomo e della sua famiglia, ma non si fa nulla per indagare il vero movente del delitto, a patto che il delitto ci sia stato realmente. Peccato che tutti questi aspetti sostanziali non sono quasi per niente sviluppati nel film, così come non emerge il fatto che in definitiva a scagionare l’indiziato numero uno, è essenzialmente la sua posizione sociale altolocata.
Effetto domino di Alessandro Rossetto, Italia 2019, voto 6+; film che vorrebbe essere realista e mostrare la ferrea spietatezza del modo di produzione capitalistico in cui i pesci grandi finiscono per divorare i pesci piccoli che, per quanto si facciano in quattro per tentare di emergere, sono destinati a soccombere. Non poteva mancare l’ormai classico cattivo di turno, il capitalista cinese senza scrupoli. La tendenza in via di consolidamento di ricorrere ad attori cinesi per impersonare degli spietati capitalisti è alquanto pericolosa, perché ricorda più o meno quanto avveniva negli anni trenta con i capitalisti ebrei in Germania.
Apocalypse now final cut di Francis Ford Coppola, Usa 1979, voto: 6+; come spesso accade i final cut, mitizzati dai cinefili, non aggiungono niente di sostanziale a quanto già si era visto nelle precedenti versioni, anzi spesso tendono ad allungare inutilmente il brodo. Uno dei meriti del film è quello di mostrare – in modo del tutto involontario – quanto l’intellighenzia di sinistra fosse al tempo della sua uscita già ampiamente egemonizzata dalla destra più radicale, tanto da riconoscersi in questo film dal contenuto decisamente fascista. Una intellighenzia che si era già appropriata di Nietzsche e che in seguito si riconoscerà persino in Heidegger e Carl Schmitt, non poteva non sentirsi a casa propria in un film così profondamente filo imperialista, razzista e orientalista. Un film che ha come protagonista un pluriomicida agente della Cia, ingaggiato per le operazioni più sporche, che porta a termine senza discutere senza uno straccio di effetto di straniamento. Tanto più che durante tutta la pellicola si tende a idealizzare il classico militare nietzschiano che porta avanti la guerra nel modo più sporco ed efferato al punto da divenire un problema per lo stesso imperialismo statunitense. Non c’è nessun riconoscimento per il nemico, rappresentato come un barbaro selvaggio privo di ideali da sterminare nei modi più efferati, tanto viene disumanizzato. Al contrario, si tendono a giustificare i deliri di onnipotenza dei criminali di guerra che in mezzo a tanti “selvaggi” arrivano quasi a credersi delle divinità. Restano significative diverse trovate formali, dal montaggio alle notevoli inquadrature, dall’uso creativo del colore, all’utilizzo della musica ma, al contempo, tali qualità formali rischiano di avere effetti particolarmente insidiosi, accrescendo il fascino di questa criminale apologia del cuore di tenebra.
La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, documentario, Italia 2019, voto: 5; film senza capo né coda, tutto giocato sulla sola corda del grottesco, resta un mistero come possa essere stato presentato al festival di Venezia e molto elogiato dal solo quotidiano comunista italiano. Per quanto a tratti esilarante, alle lunghe la pellicola decisamente annoia. D’altro canto, l’attitudine dichiaratamente scettica del regista e la cattiva generalizzazione che si fa degli aspetti peggiori della società palermitana, che finiscono con l’essere naturalizzati, ne fanno un film decisamente pericoloso. Inoltre, la pretesa di contrapporre dinanzi al sottoproletariato palermitano, la legalità dello Stato imperialista alla mafia, risulta piuttosto patetica. Naturalmente non si intuisce nemmeno che si tratti di due facce della stessa medaglia. Il film dimentica infatti di denunciare come lo stato di abbandono in cui è costretto a sopravvivere il sottoproletariato palermitano, rappresenti l’habitat naturale per lo sviluppo della mafia e del ruolo sussidiario che essa svolge dinanzi al vuoto dello Stato imperialista. Anche perché si tratta comunque di una parte essenziale del blocco sociale che da sempre domina l’Italia, ovvero di quell’alleanza tra gli imprenditori del nord e i rentiers del sud. Non a caso il discorso filo legalitario ha presa esclusivamente nel liceo dei figli di papà di Palermo, in quanto solo lì è possibile riconoscersi nell’apparato giuridico e repressivo dello Stato imperialista.
Bar Giuseppe di Giulio Base, drammatico, Italia 2020, voto: 5-; film che parte con uno spunto significativo, ossia una critica ai pregiudizi razzisti, si sviluppa in modo discutibile con un matrimonio d’amore piuttosto inverosimile e si conclude con una riproposizione spiazzante, ma in fin dei conti poco significativa, della storia della vergine Maria.
Herzog incontra Gorbaciov di Werner Herzog e Andre Singer, documentario, Gran Bretagna, Usa, Germania 2018, voto: 4,5; apologia del tutto acritica di uno dei personaggi più discutibili del XX secolo. Naturalmente i registi non si chiedono mai perché Gorbaciov sia tanto apprezzato in Germania e tra i peggiori politici apologeti del capitalismo e sia, invece, non solo assolutamente impopolare nel proprio paese, ma di certo pochissimo apprezzato fra i comunisti. Per un personaggio che ha fatto carriera e la storia come massimo dirigente russo e comunista al mondo è piuttosto bizzarro che sia tanto apprezzato negli storici nemici del proprio paese e fra i politici maggiormente anticomunisti. Se è surreale che Gorbaciov dinanzi agli enormi fallimenti prodotti dal proprio operare – a partire dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, fino all’aver permesso agli USA, il principale nemico del suo paese nonché lo Stato più ferocemente guerrafondaio e imperialista diventare l’unica potenza mondiale – non si domanda in cosa abbia mai sbagliato, è decisamente vergognoso che gli autori del film non pongano mai delle domande critiche in grado di far emergere almeno alcune delle contraddizioni reali prodotte da chi, per riformare il socialismo nel suo paese e nell’est europeo, lo ha letteralmente affossato. Il risultato è che persino le azioni più apertamente criminali di Gorbaciov, come il pieno appoggio all’aggressione imperialistica all’Iraq, durante la cosiddetta Prima guerra del Golfo, vengano presentate come delle grandi imprese. La cosa che fa più rabbia è che l’attuale generazione di comunisti non riuscirà nemmeno, nonostante gli sforzi di un’intera vita, a rimediare ai terribili danni prodotti da Gorbaciov. Senza contare quanto il suo operare abbia giovato ai profitti degli sfruttatori, contribuendo ad aumentare lo sfruttamento dei lavoratori salariati, favorito in maniera sostanziale i paesi e le forze filo-imperialiste – che non a caso lo lodano – e allo stesso tempo indebolito le forze antimperialiste, fra le quali non c’è sostanzialmente nessuno che abbia un buon ricordo di lui.
The Head serie tv spagnola 2020, giallo, thriller, in 6 puntate, creata da David Pastor e Àlex Pastorn, voto: 4-; tipico prodotto dell’industria culturale che riesce a catturarti, a narcotizzarti e a costringerti aalla sua visione sino alla fine, sebbene sia una serie del tutto irrealistica e priva di contenuti sostanziali. In altri termini la serie non ha nulla di significativo da comunicare e anche i temi sostanziali che sfiora, come la distruzione dell’habitat necessario alla vita umana o la violenza sulle donne, divengono semplici ingredienti di una merce meramente culinaria. Peraltro, si lascia credere che i problemi ambientali sarebbero risolvibili con un semplice sviluppo della ricerca scientifica, senza mettere in questione il modo di produzione capitalistico.
Tornare di Cristina Comencini, thriller, Italia 2019, voto 4-; film sostanzialmente irrisolto che ruota attorno a una donna che deve riappacificarsi con il proprio difficile passato, dal quale emergono due traumi con cui dovrà fare i conti: un atto di violenza sessuale – che la costringe a chiudere bruscamente con la propria giovinezza – e il difficile rapporto del padre, militare statunitense della Nato, che non accettando la tragedia della violenza subita dalla figlia, preferisce attribuirla a un incidente e pur di preservare l’“onore”, la allontana da casa. Il percorso di riappropriazione del proprio passato e il fare i conti con se stessa e con gli anni della sua adolescenza e giovinezza, finisce per risolversi in una complicità poco significativa e ancor meno verosimile fra le tre donne che incarnano i tre momenti della vita della protagonista posti a confronto.
La Vita Davanti a sé di Edoardo Ponti, drammatico, Italia, Usa 2020, voto: 3,5; film senza capo né coda, sebbene cerchi, anche meritoriamente, di toccare temi sostanziali, finisce tuttavia con l’assemblarli in maniera confusa e disordinata senza riuscire a svilupparne nessuno in modo adeguato. Peraltro il messaggio che lascia, quello di educare un bambino non inserendolo nella scuola pubblica, ma dandogli dei maestri di vita è decisamente da censurare.
Gli indesiderati d'Europa di Fabrizio Ferraro, drammatico, Italia 2018, voto 2+; una grande occasione sprecata nel peggiore dei modi. Alla base del film vi sono due grandi tragedie storiche, la fuga dei sostenitori della Repubblica spagnola dinanzi alle spaventose persecuzioni del regime franchista, rinchiusi in Francia in campi di concentramento, e la fuga dei tanti rifugiati in Francia, antifascisti ed ebrei, dopo la capitolazione e l’alleanza della classe dominante e dirigente del paese con la Germania nazista, che cercano la salvezza marciando in direzione opposta. Sullo sfondo vi sono i nuovi indesiderati d’Europa, gli emigrati che cercano di varcarne i confini sempre più militarizzati muovendo da quello che era stato il terzo mondo. Nello specifico vi è anche il tragico destino dell’intellettuale marxista Walter Benjamin. Tutta questa ricchezza di potenziale contenuto è ridotta al nulla da una completa incapacità mascherata dietro il conformismo al postmodernismo imperante. Ne vien fuori un film che sembra fatto apposta per essere trasmesso da “Fuori orario”, fra le cose, a ragione, mai viste.