Nonostante che il “governo del cambiamento”, del “sovranismo” e dei “mene frego” ai diktat dell’Unione europea abbia fatto una figura barbina, capitolando vergognosamente dinanzi alle minacciate sanzioni, purtroppo quasi certamente le forze della sinistra non se ne avvantaggeranno più di tanto.
In primo luogo perché da troppi anni il collaborazionismo della sinistra radicale con la sinistra neoliberista ha portato i proletari – privi di coscienza di classe e di una visione del mondo autonoma da quella dominante, ossia la netta maggioranza – a non distinguere in modo chiaro la sinistra reale, ossia quella schierata con i ceti subalterni contro le classi dominanti, da quella che da diversi anni si è posta al servizio di queste ultime.
In tal modo, alla componente del proletariato più vittima dell’egemonia dell’ideologia dominante continuano ad apparire come reali forze alternative ai governi apertamente antipopolari dei Monti, Letta, Renzi e Gentiloni le forze populiste grilline o, addirittura, leghiste. Mentre la componente del proletariato che, per quanto priva di coscienza di classe, non cede completamente all’ideologia delle classi dominanti – ma mantiene un sano scetticismo, espressione di buon senso – continua a ritenere che fra i precedenti governi apertamente antipopolari e l’attuale governo, che lo è in modo solo meno sfacciato, non ci sia poi una differenza tale per cui valga la pena schierarsi da una parte piuttosto che l’altra. Tanto più che la stessa maggioranza della sinistra radicale si è così sovente alleata in funzione subalterna alla sinistra neoliberista che le differenze appaiono persino alla componente proletaria ancora dotata di sano buon senso delle differenze indifferenti.
La seconda componente minoritaria della sinistra radicale non può che apparire, anche al proletariato che ha conservato un minimo di istinto di classe, velleitaria e sostanzialmente infantile con il suo populismo estremista, utile al più quale mera testimonianza di una opposizione di sinistra, incapace di andare al di là dei buoni propositi di un dover essere destinati a infrangersi dinanzi al cinico corso del mondo. Infine, la terza componente della sinistra radicale, smembrata in un pulviscolo di sette, non può che apparire del tutto referenziale alla classe di cui dovrebbe costituire l’avanguardia.
Proprio perché abbiamo raggiunto un nuovo anno zero per la sinistra del nostro paese, presumibilmente mai stata così debole e incapace di incidere, potrebbe essere l’occasione buona per ripartire, il che richiede necessariamente un deciso cambio di marcia e di direzione. Ora dopo lo scontro, per quanto più simulato che reale, fra il governo populista e sovranista e i rappresentanti del grande capitale finanziario europeo, le prossime elezioni per il Parlamento europeo – per quanto esso resti indubbiamente un costosissimo specchietto per le allodole, che tenta di occultare l’altrimenti evidente dittatura del grande capitale trans-europeo – non potranno che catalizzare lo scarso interesse politico che ancora sopravvive fra le classi sociali subalterne. Se le forze realmente di sinistra intendono davvero contendere l’egemonia culturale alle forze populiste di centro-destra al governo debbono necessariamente rendersi credibili offrendo una reale alternativa a quanto offerto prima dai governi del Pd e poi dal governo giallo-verde. Per divenire credibili agli occhi di masse popolari sempre più deluse, disincantate e facili preda dell’ideologia dominante, debbono unirsi sulla base di un programma di aperta rottura con l’Unione europea, dimostrando la sua irriformabilità e denunciando quanto tale alleanza fra paesi imperialisti e capitalisti europei abbia condotto politiche sempre più apertamente anti-popolari.
I suoi trattati fondativi, nei fatti immodificabili, in quanto richiederebbero un’impossibile unanimità dei governi europei, hanno una natura non solo capitalista, ma decisamente liberista, tale da rendere impossibile a ogni paese membro non solo di portare avanti una politica alternativa, di tipo socialista, ma neanche di tipo socialdemocratico o keynesiano. Persino le politiche economiche populiste di centro-destra dell’attuale governo, in cui l’egemonia è sempre più nelle mani della destra radicale leghista, sono apparse all’Unione europea troppo di sinistra. In altri termini i poteri forti dell’Unione europea, con il pesante ricatto di sanzioni pronte a colpire il paese, favorendo così l’attacco dei grandi speculatori finanziari, hanno voluto dimostrare di non essere disponibili a tollerare nemmeno un governo che porta avanti una forma, per quanto soft e superficiale, di rivoluzione passiva, pretendendo la continuità con le precedenti politiche economiche apertamente anti-popolari.
Così, da una parte le istituzioni dell’Unione europea hanno dimostrato di essere pronte allo scontro aperto pur di spostare ulteriormente a destra la politica economica di un governo ormai quasi completamente egemonizzato dalle forze della destra radicale. La resa praticamente senza condizioni dei giallo-verdi ai diktat dell’Unione europea ha ulteriormente dimostrato la natura tartufesca e demagogica dei due partiti di governo e, più in generale, delle forze sovraniste sempre spietate con i deboli – a partire dai proletari costretti a emigrare – e deboli con i forti, dal grande capitale nazionale a quello europeo.
Da questo punto di vista quella parte della sinistra che vorrebbe sfruttare il grande successo che ha avuto nei suoi primi mesi il governo, presentandosi come una variante di sinistra del populismo e del sovranismo rischia di essere travolta dallo stesso, sempre più palese, fallimento dell’attuale governo. Al contrario la sinistra, se davvero vuole contendere l’egemonia alle forze di governo sulle classi subalterne e i ceti medi, deve presentarsi come una reale alternativa a esse e non inseguirle accettando sostanzialmente le sue prospettive, anche se declinate a sinistra.
Altrettanto essenziale è marcare nettamente le distanze con le forze della sinistra riformista che da una parte è ormai compromessa per il suo costante ricercare un accordo di governo con la sinistra liberista, dall’altra anche sulla questione dell’Unione europea ha da sempre una posizione che la pone, oggettivamente, come ala sinistra del blocco sociale dominante e non più come ala destra dei gruppi sociali subalterni.
In effetti, nella sinistra riformista si colloca in primo luogo chi sostiene la posizione più o meno inconsapevolmente filo-imperialista degli Stati uniti d’Europa, che darebbe vita a un polo imperialista compiutamente unificato che sarebbe ancora più aggressivo verso i ceti subalterni in politica interna, verso i popoli che si oppongono al dominio imperialista in politica estera, senza contare che tale unione di paesi imperialisti e filo-imperialisti avrà l’opportunità di intervenire, senza violare la legalità internazionale, per reprimere ogni tentativo nei singoli Stati di affermare un’alternativa socialista.
Inoltre gli Stati uniti d’Europa, divenendo più aggressivi a livello internazionale, acuirebbero i contrasti con gli altri paesi imperialisti per la spartizione del mondo in aree di influenza, accentuando così i conflitti e le guerre inter-imperialistiche oltre che le aggressioni dei diversi poli imperialisti uniti contro i paesi che ancora resistono alle ingerenze del capitale finanziario transnazionale.
Infine, gli Stati uniti d’Europa accentuerebbero il sostegno in tutti i paesi del mondo alle forze conservatrici e reazionarie che si oppongono alle forze anti-imperialiste, aumentando i finanziamenti ai cambi di regime violenti e non violenti nei paesi in cui prevalgono le forze progressiste e anticapitaliste.
Abbiamo poi le forze della sinistra riformista che continuano a illudere le classi sociali subalterne sulla possibilità di riformare dall’interno l’Unione europea, come se fosse possibile riformare dall’interno un’unione fra potenze imperialiste e filo imperialiste. Con tali posizioni la sinistra radicale deve rompere qualsiasi forma di alleanza in primo luogo perché costituiscono ormai da tempo e in modo, al momento, irreversibile l’ala sinistra della schieramento nemico. Tale censura è indispensabile per tornare a riconquistare una qualche credibilità fra le classi subalterne dotate di un barlume di coscienza di classe, non implementando la confusione e il conseguente sconforto provocato dalla passata collusione con tali forze, per la disastrosa convinzione di poter governare le istituzioni di Stati imperialisti. Da questo punto di vista è necessario rompere in modo netto ogni forma di collusione con chi pratica la tattica suicida di presentarsi alle elezioni europee in nome di una sedicente altra Europa per Tsipras, ossia per quel rappresentante della sinistra riformista che ha vinto le elezioni facendo credere di opporsi alle politiche neoliberiste dell’Unione europea, per poi – tradendo non solo le promesse elettorali, ma lo stesso referendum vinto in modo netto dai contrari alla sottomissione alle ricette lacrime e sangue della Troika – divenirne uno dei più efficaci esecutori, coprendole da sinistra e sparigliando completamente il più significativo blocco sociale che si era formato nell’Ue nella lotta alle sue misure neoliberiste e antipopolari.
Al contrario, debbono unificarsi le forze che sono per sfruttare la campagna elettorale delle europee come tribuna per denunciare come il parlamento europeo, ancora più sfacciatamente dei parlamenti nazionali, sia essenzialmente uno strumento per nascondere la dittatura di classe esercitata dai ceti dominanti europei – pronti a soccorrere le classi dominanti dei singoli paesi quando incontrano qualche forma di resistenza da parte delle classi dominante alla lotta di classe condotta, altrimenti, unilateralmente dell’alto. Tali forze devono unirsi per denunciare con maggiore forza e credibilità l’irriformabilità dell’Unione europea fra potenze imperialiste o filo imperialiste. Solo così sarà possibile far emergere la necessità per ogni antimperialista di rompere tale unione a cominciare dal proprio paese e poi, unitariamente, al livello comunitario per non continuare a lasciare campo libero alle politiche predatorie portate avanti dalle classi dominanti europee sul piano internazionale, politiche che sono fra le principali cause dei fenomeni migratori di massa. Del resto, solo rompendo con l’Unione europea diverrà possibile portare avanti una politica a livello internazionale di alleanze e di cooperazione con i paesi che si battono contro le potenze imperialiste.
Certo, dovendo ripartire in Italia da un grado zero e anche negli altri paesi dell’Unione europea da un livello piuttosto basso non è da escludere, anzi in molti casi sarà certamente necessaria, una politica di alleanze con quelle forze della sinistra socialista che, pur non rinunciando alla prospettiva utopistica e illusoria di una riformabilità dell’Ue dall’interno, prevedono quanto meno la possibilità di un piano B, ovvero di una rottura anche unilaterale nel caso in cui tale progetto dovesse fallire. L’interlocuzione e la possibilità di giungere a un compromesso avanzato con tali forze dipenderà dai rapporti di forza che si metteranno in campo. Perciò è essenziale arrivare prima a un’unità di tutte le forze che sono convinte dell’irriformabilità dell’Ue. Altrimenti si finirà, come avvenuto troppo spesso negli ultimi anni, per accodarsi alle forze socialiste, che a loro volta tendono ad accodarsi a forze socialdemocratiche che escludono a priori la stessa possibilità di un piano B.
Infine, tale possibile alleanza elettorale, al di là del compromesso più o meno avanzato che si riuscirà a realizzare, non può mettere in discussione la necessità, nel corso della campagna elettorale, da parte delle forze convinte della necessità della rottura dell’Ue di portare avanti tale prospettiva, mostrando chiaramente alle classi subalterne l’irriformabilità di tale unione di potenze imperialiste e filo-imperialiste e le illusioni che spacciano, in buona o cattiva fede, coloro che sostengono il contrario.