In piena pandemia, correva il mese di marzo, i partiti comunisti diffusero una dichiarazione per salvaguardare diritti e salute della classe lavoratrice. Sempre in quella nota era stigmatizzata la contrazione degli spazi di libertà e di democrazia e l'utilizzo delle leggi eccezionali a fini repressivi e militaristi.
Riflettiamo su questa nota e sulla lontananza siderale tra le dichiarazioni di intenti e la reale pratica sociale e politica, ad esempio uno dei partiti firmatari dell'appello (non ce ne vogliano i militanti) oggi è impegnato in toto nell'ennesima campagna elettorale, i buoni propositi (ad esempio la difesa della sanità pubblica ed universale e la lotta contro il militarismo imperialista) sono finiti nell'oblio della campagna per le regionali. Dogmatismo, elettoralismo, massimalismo ideologico, subalternità alla cosiddetta sinistra, pratiche sociali inesistenti, i tempi dell'elettoralismo assolutizzanti, ecco alcuni dei mali endemici dei comunisti e causa della loro perdita di credibilità.
Di esempi ne potremmo fornire a migliaia, classica incoerenza tra il dire e il fare, tante roboanti enunciazioni di principio a cui segue una pratica politica e sociale incoerente. E, a scanso di equivoci, il problema ci riguarda tutti\e, non solo i firmatari dell'appello sopra menzionato, un vizio endemico presente nel sindacato e in politica per affidare al libro dei sogni prospettive emancipatrici e di opposizione radicale quando nella vita reale si fa l'esatto contrario.
La scarsa credibilità dei comunisti è legata alla loro incoerenza e alla marginalità nella quale sono stati relegati dopo decenni di fallimenti politici, sociali e sindacali. Qualcuno, parlando dei sindacalisti massimalisti, scrisse che erano disposti a non cedere di un millimetro rispetto alle questioni di principio mentre sotto i loro piedi la realtà franava portandosi via le granitiche certezze ideologiche.
Questa lunga premessa è indispensabile per giungere a una conclusione: o rimettiamo in discussione tutti\e il nostro modo di agire o saremo, come comunisti, condannati alla mera marginalità, a rivestire il ruolo che fu degli afascisti crociani che contribuirono con il loro iniziale silenzio, unito a supponenti superiorità ideologiche, all'avvento del fascismo.
In questi ultimi mesi abbiamo partecipato a tante assemblee in rete, ad autoconvocazioni di lavoratori e delegati, in tempi pandemici una piccola ma significativa parte della classe lavoratrice non ha perso la bussola continuando ad agire in termini conflittuali.
Diverse assemblee autoconvocate nel passato sono finite con un nulla di fatto per i vizi endemici del movimento sindacale ossia il voler piegare la analisi della realtà al proprio agire precostituito, dal canto loro i comunisti non sono andati oltre dichiarazioni di intenti (simili agli aventiniani in epoca fascista), incapaci di costruire una linea condivisa che certo non potrà ridursi al sostegno di questo o quel sindacato. Forse la petizione per la sanità promossa dal coordinamento delle sinistre di opposizione è un primo segnale di inversione della tendenza sopra descritta ma non è sufficiente una raccolta di firme senza calarla nella realtà di tutti i giorni.
E non serve giustificare, magari con le solite tesi massimaliste, i repentini cambi di rotta di qualche piccolo sindacato di base specie se va ad occultare il fine primario di certe giravolte: la sopravvivenza della propria sigla e del solito inamovibile gruppo dirigente di perenni semi\distaccati. Manca sicuramente quella unità nei luoghi di lavoro premessa indispensabile per il tanto auspicato salto di qualità.
E i comunisti? Non basta aprire la classica cellula in qualche posto di lavoro o saltare da una vertenza all'altra quando poi non hai alcun militante al loro interno, giusta è la solidarietà attiva ma allo stesso tempo vogliamo provare a radicarci nei luoghi di lavoro?
Lo diciamo con estrema chiarezza: i comunisti sono sovente marginali rispetto al mondo del lavoro e alle problematiche sociali, quando sono protagonisti partecipano come delegati sindacali o realtà di movimento ma sempre in maniera scoordinata, confusa e sovente con elevati tassi di conflittualità interna tra sindacati e gruppi politici.
Da anni manca una lettura aggiornata della contraddizione tra capitale e lavoro, anzi con il tempo ci siamo spostati o verso le istanze del reddito di base, nelle sue molteplici accezioni, o verso quell'agire sindacale e movimentista incapace di unificare istanze e percorsi a partire dai luoghi di lavoro.
Il prossimo autunno sarà lacrime e sangue per la classe lavoratrice e i ceti sociali subalterni, per capirlo è sufficiente leggere le interviste di esponenti confindustriali sulla stampa, di questo e di molto altro stanno prendendo consapevolezza numerosi percorsi avviati negli ultimi mesi, ciascuno con il suo approccio ma tutti accomunati dal rifiuto della cosiddetta normalità costruita sulla precarizzazione del lavoro, sulla incertezza salariale, sulla supina accettazione delle regole imposte dai dettami di Maastricht o dalle regole imposte da Governi e sindacati complici (dal patto di fabbrica al depotenziamento dei contratti nazionali a favore del secondo livello di contrattazione che poi si riduce nello scambio diseguale tra salario monetario e benefit favorendo sanità e previdenza integrativa e con la inevitabile perdita del potere di acquisto e di contrattazione)
Prima del prossimo autunno vorremmo, il condizionale è d'obbligo oggi più che mai, lanciare una assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici comunisti\e non per costruire doppioni rispetto ai percorsi sindacali e sociali esistenti, molti dei quali avviati verso uno sciopero generale da sostenere attivamente favorendone la riuscita, piuttosto dovremmo fare attenzione a non sostituirci al sindacato e ai movimenti sociali (da non enfatizzare come accade in qualche area politica che ha smarrito la prospettiva antisistemica) o pensare di dettare la linea alle realtà esistenti, ben altri sono, o dovrebbero essere, invece i nostri compiti:
- analizzare la situazione a partire dai processi in atto. Senza comprendere la realtà è impossibile operare al suo interno per modificare i rapporti di forza e rilanciare una alternativa sistemica,
- individuare alcune campagne e iniziative dirimenti come la difesa e il rilancio di una sanità pubblica, gratuita e universale scongiurando la impunità per i responsabili della strage pandemica,
- contribuire alla costruzione di piattaforme rivendicative avanzate per non subire i rinnovi al ribasso dei contratti nazionali,
- rimettere al centro la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per opporre allo sfruttamento e alla sorveglianza la riduzione dell'orario di lavoro, difendere delegati\e lavoratori\trici colpiti dalla repressione attraverso l'obbligo di fedeltà aziendale e il rispetto dei codici etici e comportamentali.
Molti altri potrebbero essere i punti salienti della discussione ma non vogliamo mettere il carro davanti ai buoi e pianificare il confronto dettando argomenti e linee sindacali e politiche e, peggio ancora, convocare un incontro solo per riproporre logiche consolatorie o letture ideologiche della realtà. Non c'è niente di più deleterio di qualche dichiarazione astratta per occultare la estraneità all'agire conflittuale.
Sono quindi maturi i tempi per lanciare una assemblea dei comunisti nei luoghi di lavoro perché se vogliamo cambiare la realtà bisogna prima capirla bene per operarvi all'interno senza doppiezze e contraddizioni tra l'azione sindacale e quella politica.
Urge non solo una visione di insieme della realtà italiana ed europea ma dotarci di obiettivi e strumenti comuni perché i comunisti, nelle loro molteplici militanze, abbiano parole d'ordine e finalità condivise, un percorso di evidente rottura ai processi di frammentazione costruiti negli anni e alimentati dal ceto politico e sindacale, un contributo attivo e concreto ai processi di rottura e di cambiamento della società.