Esistono numerosi casi di cronaca nera che vengono colpevolmente narrati con una sorta di contemplazione estatica e morbosa, tale da portare, spesso, a gravi risvolti emulativi; altri casi, non meno numerosi, importanti e strategici perché 'incidentalmente' collocati in un crocevia di interessi economici, bellici e geopolitici, passano invece, paradossalmente, sotto silenzio. Uno di questi è raccontato in maniera esemplare nel documentario 'Il Grano e la Volpe' (Italia, 2015) scritto e diretto da Vincenzo Guerrizio e Raffaele Manco, produttori insieme a Raquel García Álvarez e Francesco Deplano: secondo quanto narrato nell'incipit dell'opera, ''in una storia è possibile che non ci sia una sola verità. Talvolta le verità si scoprono, si costruiscono e si alimentano nel corso del tempo. (…) Diventano un unico, grande quadro, una sola immagine, ma piena di crepe. Come un mosaico i cui solchi sono attraversati da misteri, coincidenze, paure, e tra le quali cerca di farsi largo la verità''. Il puntuale e preciso documentario, proiettato nella serata del 7 luglio presso la sede della Biblioteca Autogestita Zarmu a Cagliari davanti ad un pubblico curioso ed attento sembra avere, apparentemente, un titolo alquanto criptico. In realtà, come sottolineato anche da Francesco Deplano nel corso della sua introduzione, ''sono gli stessi sardi a non conoscere questa drammatica vicenda, tanto complessa quanto circondata da un alone di colpevoli silenzi, misteri e depistaggi. Ciò che è trapelato in questi anni, e che è stato ripreso e analizzato nel nostro documentario, lo si deve prevalentemente all'enorme lavoro di inchiesta portato avanti da Piero Mannironi e Pier Giorgio Pinna, giornalisti de ''La Nuova Sardegna''.
La vicenda narrata è quella relativa alla sparizione, avvenuta la sera del 2 marzo 1994, dell'elicottero della Guardia di Finanza A-109, nome in codice 'Volpe 132': partito dalla base di Cagliari Elmas, svanisce nel nulla durante una missione di pattugliamento lungo la costa sud-orientale della Sardegna, più precisamente nelle zone di Cagliari, Capo Carbonara e Capo Spartivento. A bordo del velivolo il maresciallo Gianfranco Deriu, 42enne veterano del volo, una moglie e due figli piccoli, ed il brigadiere Fabrizio Sedda, 28 anni e già 8 anni di volo alle spalle: quella sera, è lui a pilotare l'elicottero. In appoggio via mare era altresì presente una motovedetta, anch'essa della Guardia di Finanza, il Colombina G63, nome in codice 'Daino': a bordo un equipaggio di dodici uomini, capitanati dal maresciallo Luigi Atzori. Il responsabile dell'operazione di perlustrazione era il colonnello Antonio Bolacchi, comandante della sezione aerea.
Alle ore 18 del 2 marzo 1994, la motovedetta mollò gli ormeggi, dirigendosi verso Capo Carbonara; l'elicottero Volpe 132, invece, decollò dalla base di Elmas alle ore 18.44 tenendosi in comunicazione con la Stazione di Cagliari Avvicinamento, sita a Decimomannu, la stessa che gestisce il traffico aereo militare e civile nell'area di Cagliari e dell'aeroporto di Elmas. 'Volpe', nel corso delle prime fasi del volo, comunica via radio anche con la sala operativa della Guardia di Finanza: ogni contatto e messaggio sono infatti riportati a mano sul registro di stazione. Alle 19.07, 'Volpe' è su Capo Carbonara: questo è ciò che i piloti comunicano alla base, aggiungendo ''ci dirigiamo a sud e verso i bersagli''. Alle 19.15, la base operativa registra che 'Volpe' e la motovedetta Colombina sono in collegamento: dalle ore 19.18, appena tre minuti dopo quest'ultima comunicazione, la traccia del Volpe 132 sparisce dai radar della base militare di Decimomannu. Quando la base operativa richiama l'elicottero, alle 19.40, non riceve alcuna risposta. Si tenterà di rintracciarlo per diversi minuti, su tutti i canali radio, sperando che si trovi in una zona d'ombra e che riceva almeno le chiamate da parte degli altri velivoli, anche civili, allertati nel frattempo. Ma dall'elicottero A-109 non giunse mai più alcuna risposta. Intanto, seppur temporaneamente, si persero anche le tracce della motovedetta Colombina. Alle 20.45, ora prevista per il ritorno alla base, l'elicottero è dato ufficialmente per disperso. Due giorni dopo l'avvio delle ricerche vengono ripescati alcuni frammenti del velivolo nel mare di Capo Ferrato. Nel corso di ventitré lunghissimi anni, mai più nulla: manca il relitto ma, soprattutto, mancano i corpi dei due piloti.
Le stesse inchieste, sia quella militare, conclusasi ormai da tempo, sia quella civile, non hanno saputo dare risposta ai numerosi interrogativi sorti attorno alla sciagura. Può un elicottero militare sparire, inabissandosi nel mare della Sardegna, senza mai lanciare un SOS? Quale fu il ruolo della motovedetta mandata in perlustrazione insieme al velivolo? Perché i nastri radar registrano un assordante silenzio della durata di quasi un'ora, in un lasso di tempo che sarebbe cruciale per ricostruire l'andamento dei fatti? Quale fu il reale tragitto di perlustrazione seguito dall'elicottero - e, conseguentemente, dal Colombina G63 - e cosa determinò la sua sparizione?
Il primissimo interrogativo, come sottolineato nello stesso documentario, ruota attorno alla presenza dei due militari durante il fatale volo: infatti, secondo alcune ricostruzioni, non sarebbero dovute essere loro le vittime se, forse, non avessero assistito a qualcosa di misterioso, scomodo, indicibile. In base alle testimonianze raccolte, su tutte quelle dei fratelli delle vittime, entrambi i militari si dicevano sicuri in volo (Deriu era un esperto, avendo accumulato un'esperienza ultraventennale) ed orgogliosi del loro ambiente di lavoro, tanto da considerarlo alla stegua di una seconda famiglia.
Successivamente, sorsero altri interrogativi relativi al ruolo della motovedetta Colombina: nelle ore successive all'improvvisa sparizione del Volpe 132 dai tracciati radar, mentre cresceva l'angoscia tra gli addetti ai lavori, sembrano perdersi anche le tracce dell'imbarcazione uscita in pattugliamento con l'elicottero. Luigi Atzori, comandante del guardiacoste in questione, intervistato nel documentario 'Il Grano e la Volpe', nega qualsiasi coinvolgimento nella misteriosa sparizione del velivolo sottolineando, però, la presunta avaria dell'apparato radio che i due piloti avrebbero denunciato al radiotelegrafista della motovedetta da lui capitanata. Nonostante la Colombina e l'elicottero fossero dotati di due apparecchi radio, la sera del 2 marzo 1994, tra zone d'ombra e, forse, una radio in avaria, la comunicazione appariva problematica; nelle concitate ore successive, mentre la base di Cagliari continuava a chiamare la Colombina, i messaggi furono intercettati da una nave della Tirrenia, la Torres, la quale provò a sua volta a chiamare la motovedetta. Quest'ultima rispose solo alle ore 21.00; nonostante ciò possa sembrare quantomeno dubbio, secondo le parole di Antonio Bolacchi, allora responsabile dell'operazione ed oggi intervistato nel documentario sul 'Volpe', ''nelle coste sarde esistono dei punti totalmente isolati, nei quali è impossibile qualsiasi tipo di comunicazione radio''.
L'allarme per l'assenza di un SOS e per la sparizione dell'elicottero portarono alle prime ricerche, che furono avviate nella zona di Capo Carbonara. Nel frattempo, alle 23.00, fu proprio Bolacchi a recarsi presso l'abitazione del maresciallo Deriu per informare la moglie della scomparsa del marito e, con lui, del giovane collega; il fratello di quest'ultimo fu invece avvisato dell'accaduto nel cuore della notte da una telefonata dei carabinieri. Tuttavia, secondo le parole di Antonio Frusciante, pilota elicotterista della Guardia di Finanza ed amico delle vittime intervistato nel corso della video-inchiesta, la certezza della morte dei due piloti giunse solo il 4 marzo quando, dopo aver perlustrato a vuoto la zona di Capo Carbonara, le ricerche vennero dirottate lungo la zona orientale. I primi presunti rottami del Volpe non furono però rintracciati nello specchio di mare antistante Capo Carbonara, laddove i piloti avevano indicato la loro ultima posizione nota, bensì nella zona tra la baia di Feraxi e Capo Ferrato, ovvero, come sottolineato nel documentario da Carmelino Fenudi, avvocato difensore dei familiari dei piloti scomparsi, ''molto più a nord rispetto alla zona indicata dalle autorità militari, incompatibile con la presenza dell'elicottero a Capo Carbonara''.
Nel corso di quelle ore di ricerche, spasmodiche attese e dolore da parte delle famiglie, cominciarono ad emergere le prime incongruenze ed i primi di una lunga serie di depistaggi in una vicenda che, come narrato nell'incipit del documentario, appare simile ad ''un grande quadro pieno di crepe''. Dalla telefonata a casa Deriu che annunciava il ritrovamento dell'elicottero senza però i corpi al suo interno, passando per gli atteggiamenti quantomeno scorretti tenuti dagli stessi colleghi delle vittime nei confronti dei familiari - compreso il tentativo di dissuaderli dall'incontrarsi -, fino ad arrivare alla vera e propria ferocia emersa nel corso degli anni, comprendente anche intimidazioni e vessazioni ai danni dei potenziali testimoni.
Le ricerche non diedero mai un esito sperato: neanche il ritrovamento di pochi rottami, presumibilmente riconducibili al 'Volpe', può ancor oggi considerarsi fonte di certezze o, tutt'al più, di ipotesi plausibili sull'accaduto. Venne successivamente avviata un'inchiesta civile, coordinata dal sostituto procuratore di Cagliari Guido Pani e, come da prassi, il 3 marzo 1994 fu istituita una commissione militare coordinata dal tenente colonnello Enrico Moraccini. L'unica conclusione alla quale giunse quest'ultima fu la formulazione del capo d'imputazione di ''perdita colposa del velivolo'', con tanto di beffardo procedimento penale a carico dei piloti Deriu e Sedda.
Quando anche i dubbi dei familiari, poco tempo dopo, si tradussero in una vera e propria controinchiesta, due giornalisti de ''La Nuova Sardegna'', Pier Giorgio Pinna e Piero Mannironi, intuirono la portata del caso. La relazione tecnica prodotta dalla commissione militare che seguiva l'inchiesta apparì da subito ''ricca di contraddizioni'', tanto da far sorgere nei due una domanda, ribadita nel documentario 'Il Grano e la Volpe': ''per quale motivo questo documento - che, in fondo, non dice niente - dev'essere tutelato dal segreto di Stato?''.
La controindagine avviata dai familiari, dopo i primi momenti di smarrimento ed immenso dolore, nonostante i silenzi, le inerzie, i puntuali depistaggi, acquisì sempre più forza anche grazie alle testimonianze di persone coraggiose, semplici civili che decisero di schierarsi e combattere per la giustizia nonostante il palese ostracismo esercitato nei loro confronti da numerose figure istituzionali. Tra i testimoni menzionati nel corso della proiezione, un ruolo cruciale è da attribuire a Giovanni Utzeri. Fu proprio il suo verbale a contraddire l'intera inchiesta militare controfirmata da Moraccini: Utzeri sentì e vide l'elicottero della Finanza a Capo Ferrato, la sera del 2 marzo 1994, assistendo poco dopo ad una forte esplosione ed alla comparsa di un intenso bagliore, simile ad una ''palla di fuoco''. Giovanni Utzeri informò subito i carabinieri e la Guardia di Finanza, rilasciò le sue dichiarazioni e firmò verbali nei quali non era stato riportato tutto ciò che aveva effettivamente detto alle forze dell'ordine. Ad Utzeri, nonostante la malattia e la morte, purtroppo sopraggiunta quest'anno, non venne mai meno il coraggio di denunciare ciò che vide, di farsi interrogare, persino di andare a cercare i resti del Volpe 132 e di tenere un diario testimoniale nel quale annotare pedissequamente ogni evento parte di una vicenda che, in un coacervo di interessi e traffici internazionali, ha cambiato per sempre anche la sua vita.
Esistenze, quelle dei testimoni oculari, inevitabilmente segnate: come evidenziato nel documentario, ''Utzeri venne tacciato, ma non fu solo lui a vedere qualcosa. Ci sono altri tre testimoni che, da posti diversi, raccontano la stessa o quantomeno simile versione riguardo alla posizione dell'elicottero''. Uno di loro, Luigi Marini, vide il Volpe 132 dirigersi verso Capo Ferrato, luogo nel quale vennero rinvenuti alcuni resti del relitto; Marini dapprima udì il rumore delle eliche, poi vide anch'egli un fascio di luce che, dal basso, si diresse verso l'alto. Ciò che il testimone vide, esattamente come Utzeri, può essere compatibile con l'abbattimento dell'elicottero da parte di un missile terra-aria? Altri due testimoni, Giuseppe Zuncheddu ed Antonio Cuccu, videro l'aereo volare lentamente ed a bassa quota a ridosso di una zona impervia, quella del Parco dei Sette Fratelli. Zuncheddu dichiarò inoltre di avere udito un boato: secondo quanto riportato in un verbale da lui sottoscritto e ripreso nell'inchiesta di Guerrizio e Manco, ''lo stesso tipo di boato che sentivo quando esplodevano i missili durante le esercitazioni militari''.
Nonostante i tentativi di far tacere questi testimoni, persone tanto semplici nella loro quotidianità quanto eccezionalmente valorose nel loro contributo alla ricerca della verità, molti altri abitanti della zona hanno dato loro credito raccontando ciò che avveniva da tempo nel territorio e che, secondo numerose testimonianze oculari, potrebbe essere correlato all'abbattimento del Volpe 132. La seconda parte del documentario 'Il grano e la Volpe' è quasi interamente dedicata all'approfondimento di una possibile pista in grado di spiegare la sparizione dell'elicottero, dei due sfortunati piloti ed i successivi, precisi ed incessanti depistaggi: trattasi della presenza di una nave mercantile ormeggiata a circa 50 metri dalla spiaggia di Feraxi che, secondo la testimonianza di Utzeri e di molti altri residenti, trafficava droga ed armi. Basandosi su queste ricostruzioni, l'elicottero sarebbe stato abbattuto proprio dopo aver sorvolato per qualche minuto la nave in questione che, per una bizzarra casualità, salpò poco dopo la sparizione del velivolo per non fare più ritorno nella costa.
Il sospetto andirivieni del mercantile, ricordato dai testimoni oculari per il suo colore rosso, venne denunciato in quanto colpì la sua permanenza - anche durante la notte, a luci spente - a ridosso del poligono militare di Capo San Lorenzo; infatti, come sottolineato anche nel documentario, ''qui le esercitazioni militari impongono rigide restrizioni al traffico aereo e marittimo'', fino all'interdizione dei suddetti spazi. Le indagini sulla nave portacontainer permisero di scoprirne il nome, ossia Pepito (nel 1994, la nave cambiò nome in Lucina), la società proprietaria, ossia la compagnia navale campana Sagittario e la natura del suo carico: ufficialmente, il mercantile faceva la spola tra la Sardegna e l'Algeria per trasportare il grano prodotto dalla società S.E.M., di proprietà della famiglia Cellino. Come riportato nell'inchiesta di Guerrizio e Manco, ''proprio nel porto militare algerino di Djen Djen, sette membri dell'equipaggio della Lucina vennero sgozzati il 7 luglio 1994''. Nonostante le immediate versioni ufficiali fornite per spiegare l'accaduto, come dichiarato dai giornalisti Mannironi e Pinna nel documentario, ''si stava ormai inserendo la vicenda dell'elicottero sparito in uno scenario molto più vasto''. Furono proprio loro a presentarsi al cospetto del testimone oculare Cuccu con la foto della nave teatro della strage nel porto militare algerino: egli la riconobbe immediatamente come la stessa che, per mesi, aveva fatto la spola nella zona di Feraxi e Capo San Lorenzo.
Un'altra dichiarazione testimoniale raccolta in relazione a quanto avvenuto a bordo della nave del grano indica che, il giorno della strage, si sarebbe dovuto imbarcare anche Tano Giacomina, un agente dei servizi segreti inserito nella divisione Gladio, tristemente nota per il suo nebuloso coinvolgimento in quasi tutte le pagine oscure della storia italiana. Questo aspetto, sul quale pone l'accento la video-inchiesta, svela un possibile retroscena in base al quale ''se era previsto che si imbarcasse un agente Gladio molto probabilmente, oltre alla semola di grano, doveva esserci altro''; come confermato dalle dichiarazioni di Antonino Arconte, il quale raccolse anche le confidenze di Giacomina, ''noi eravamo il braccio armato dei servizi segreti italiani che non potevano compiere missioni armate all'estero''. Grazie ad alte coperture, ufficialmente imbarcati come personale di bordo, scortavano ''carichi da milioni di dollari che dovevano arrivare a destinazione in tutta sicurezza'', tra i quali container di droga ed armi. Oltretutto, secondo quanto dichiarato da Arconte, ''conoscedo il porto di Djen Djen, che ci faceva una nave che caricava grano nella parte militare del porto mercantile di un Paese non democratico?''.
Ovviamente anche gli armatori di allora negano qualsiasi collegamento tra la tragica fine dell'equipaggio della Lucina e la sparizione del Volpe 132, così come la presenza stessa della nave nelle coste sud-orientali della Sardegna, luogo in cui si inabissò, con molta probabilità, l'elicottero della Finanza. Con il passare degli anni, la Lucina ha cambiato svariate volte armatore, rotte e destinazione commerciale. La lunga scia costellata di traffici, misteri e sangue ha però lasciato le sue tracce anche in Sardegna, scolpite sotto una cappa di silenzio e dimenticanze nell'anno dei mondiali di calcio e dell'omicidio Alpi- Hrovatin, avvenuto anch'esso al crocevia di loschi interessi, stragi e strategie geopolitiche di destabilizzazione di determinate aree del mondo protette, ancora oggi, da un muro di omertà. ''Da una parte le persone comuni parlano, aiutano, riferiscono dati, dall'altra abbiamo enti istituzionali che chiudono le porte: allora sembra quasi che la ricerca della verità sia un'esigenza del cittadino e non dello Stato'', dichiara l'avvocato Fenudi davanti alle telecamere.
La scure del segreto che si è abbattuta troppe volte, sovente in maniera dubbia ed irregolare, su questa ed altre vicende italiane, ha portato le famiglie di Deriu e Sedda a considerare sbagliata sin dal principio l'indagine sulla sparizione dei loro cari. Secondo i familiari, le inchieste civili e militari non avrebbero attribuito la giusta rilevanza ad alcuni elementi fondamentali, tra i quali le testimonianze in grado di scardinare completamente la relazione militare controfirmata dal colonnello Moraccini, lo strano silenzio nelle comunicazioni, il ruolo della motovedetta appoggio, in particolare nelle due ore di silenzio radio prima del contatto con la nave Tirrenia Torres, la presenza di altre navi nell'area e, soprattutto, il reale tragitto e gli obiettivi del volo del Volpe 132. Quali erano gli ''obiettivi a sud'' verso i quali l'elicottero diceva di dirigersi poco prima di sparire? Perché, due settimane dopo la scomparsa del 'Volpe' e dei piloti, un altro elicottero identico sparì dall'hangar di Fenosu per poi ricomparire quaranta giorni dopo vicino Cagliari, privo però di buona parte della strumentazione di bordo? E per quale motivo il velivolo gemello risultava essere di proprietà della Wind Air, società con sede in uno stabile di proprietà del Ministero dell'Interno? Quale effettiva rilevanza possono avere le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Zirottu riguardo l'abbattimento dell'elicottero da parte di trafficanti d'armi e quale ruolo ha avuto Aldo Anghessa, collaboratore di Sismi e Sisde già noto alle cronache, nella confessione del pentito? Perché la vicenda dell'A-109, come sottolineato nel documentario 'Il Grano e la Volpe', sembra inabissarsi continuamente ''nel sottobosco frequentato dai servizi segreti''? Per quale ragione gli stessi colleghi dei due piloti deceduti, vittime collaterali di misteriosi traffici, non hanno colmato le distanze createsi nel corso di ventitré anni tra gli apparati dello Stato e le famiglie che attendono ancora giustizia?
D'altronde, come detto in conclusione dell'inchiesta proiettata a Cagliari, ''ogni tentativo di ricostruire i fatti ha evidenziato vuoti, superficialità e negligenze (…) a partire dalla motovedetta Colombina G63 fino ad arrivare alla base aerea di Decimomannu''. Nel dettaglio, la perizia militare archivia il caso come un incidente e soltanto nel maggio del 2000, in una relazione della polizia giudiziaria, si attesta che il 2 marzo 1994 erano in corso delle esercitazioni militari con lancio di missili. Grazie alla lotta per la giustizia delle famiglie Deriu e Sedda il procuratore Pani, dopo aver affidato l'inchiesta tecnica ai carabinieri del Ris e ad un docente del Politecnico di Torino, ha consentito una svolta giudiziaria rilevante: l'ipotesi di reato è così passata da ''disastro aviatorio'' ad omicidio volontario plurimo con ipotesi di abbattimento.
Nelle battute finali del documentario, i giornalisti Pinna e Mannironi si domandano mestamente ''perché ci dovremmo stupire, siamo un Paese che incassa tutto, incasseremo anche questo (…), il tempo sarà passato, i responsabili saranno morti, forse non si potrà nemmeno ricostruire l'accaduto con esattezza (…)''; non è dello stesso parere il colonnello Bolacchi, allora responsabile della missione di pattugliamento conclusasi tragicamente, secondo il quale ''dopo vent'anni sarebbe già venuto fuori qualcosa perché, vivaddio, siamo in uno Stato democratico...''.
'Il Grano e la Volpe', presentato da Francesco Deplano come ''un'inchiesta che vuole ancora cercare'', ricorda al pubblico quanto la storia parli da sé. Seguendo attentamente il suo filo logico e temporale, la grande mole di interviste, testimonianze, articoli di giornale e dossier sui quali poggia saldamente la sua opera di indagine, è possibile evidenziare alcuni parallelismi tra quello del Volpe 132 ed altri oscuri fatti di cronaca italiana, e denunciare come questi avvenimenti continueranno a mietere vittime se non si intraprenderà un'opera di svelamento e riscoperta all'interno di una memoria collettiva che sia finalmente in grado di generare degli 'allievi della storia' all'altezza, persone con lo stesso coraggio e la medesima tenacia delle famiglie delle vittime e dei testimoni di questa drammatica vicenda.