Su Enrico Berlinguer si assiste recentemente ad un ritorno di fiamma nell'ambiente storico- culturale italiano. La vastità dell'argomento e la complessità delle sue vicende non permette in questa sede di penetrare a fondo tutte le contraddizioni e le sfumature. Si può però provare a porre una domanda generale: qual è il contributo di Berlinguer all'evoluzione del movimento operaio contemporaneo in Italia?
di Alberto Pantaloni
Su Enrico Berlinguer (segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 al 1984, anno della sua morte) si assiste recentemente ad un ritorno di fiamma nell'ambiente storico-culturale italiano. Il documentario il volume (edito da Rizzoli) di Walter Veltroni “Quando c'era Berlinguer” (2014) e la raccolta di scritti a cura di Miguel Gotor, “La passione non è finita” (Einaudi, 2013) sono solo gli esempi più conosciuti a livello di massa di una serie di lavori sul tema (1). D'altronde, la vastità dell'argomento e la complessità delle sue vicende non permette in questa sede di penetrare a fondo tutte le contraddizioni e le sfumature. Si può però provare a porre una domanda generale: qual è il contributo (o le responsabilità) di Berlinguer all'evoluzione (o involuzione) del movimento operaio contemporaneo in Italia?
L'opera di Berlinguer non può essere trascurata non solo perché si sta parlando del segretario del partito comunista più grande d'Occidente nella seconda metà del secolo scorso, ma anche perché quel quindicennio scarso in cui il dirigente sardo è stato alla guida del PCI furono anni di enorme importanza per la storia politica e sociale del nostro Paese e non solo. Un periodo di crisi economica e di instabilità internazionale che non solo non si è ancora esaurito, ma che anzi oggi sembra pericolosamente fuori controllo. Furono gli anni in cui si infranse il “sogno” del boom degli anni Sessanta e in cui si annunciarono le profonde trasformazioni produttive e organizzative che si sarebbero affermate negli ultimi 15 anni del XX secolo. A partire dagli anni '70 si assistette a un nuovo aumento delle diseguaglianze, della disoccupazione, dell'instabilità economica e della povertà. A differenza della situazione odierna, gli effetti venivano calmierati dal fatto che le persone erano ancora protette da sistemi di sicurezza sociale e assistenziale (sussidi di disoccupazione, assistenza sanitaria, istruzione, ecc.). Un periodo, inoltre, che in Italia fu caratterizzato da fortissimi conflitti sociali e da un sistema politico bloccato sempre in bilico fra tentazioni autoritarie e vecchi e nuovi trasformismi. Proprio di fronte a queste profonde trasformazioni del capitalismo - e alla luce della crisi economica e della rottura della coesione sociale - la classe operaia organizzata avrebbe dovuto essere in grado di fornire una chiara alternativa. Al contrario, mai come in questo periodo si assistette prima ad un arretramento e poi ad una vera e propria crisi del movimento operaio, le cui cause economiche e sociali di questa crisi sono molteplici. Crisi testimoniata anche dal passaggio dagli anni dell'avanzata antimperialista nel “Terzo Mondo” al declino del socialismo “ufficiale”, con l'intero blocco del socialismo reale europeo che collassò con una rapidità sconvolgente, fino a scomparire nel giro di un decennio, all'inizio degli anni '90.
Proprio i grandi temi della crisi economica, dello stragismo e dei tentativi golpisti, così come della crisi del socialismo a livello europeo, furono quelli sui quali Berlinguer (e tutto il gruppo dirigente del PCI) incentrò la sua azione politica. La politica dell'austerità, il compromesso storico e l'eurocomunismo furono quindi le tre proposte sulle quali, a mio avviso, dovrebbe incentrarsi un lavoro di analisi e un confronto storico-politico che rifugga da facili (e quindi sospette) semplificazioni, siano esse nel senso dell'agiografia, sia in quello della demonizzazione. Se non è possibile dare un giudizio politico del tutto positivo sull'opera di Berlinguer, al tempo stesso non ci si può limitare a fornire un giudizio negativo; men che meno, per le motivazioni sopra esposte, si può accantonare l'argomento. Si tratta invece di: 1) calare le “tre proposte” berlingueriane nel contesto economico, sociale e politico (nazionale e internazionale) di quel periodo; 2) definire gli obiettivi che il PCI e il suo segretario intendevano perseguire attraverso di esse; 3) valutare i risultati che si sono prodotti e le eredità lasciate.
Attraverso una serie di articoli, si cercherà quindi di proporre criticamente alcune chiavi interpretative delle scelte di Berlinguer su crisi economica e austerità, conflitto sociale, violenza e compromesso storico, conflitto Est-Ovest ed eurocomunismo. Il tentativo è di stimolare il confronto e la discussione che permetta di rispondere nel modo meno approssimativo possibile alla domanda posta all'inizio di questo articolo.
Note
1) A questi vanno sicuramente aggiunti: G. Liguori, P. Ciofi (a cura di), Enrico Berlinguer. Un'altra idea del mondo. Antologia (1969-1984), Roma, Editori Riuniti University Press, 2014; M. Addis Saba, Berlinguer non era triste. Così ricordo Enrico Berlinguer, Roma, Aliberti, 2013; G. Liguori, Berlinguer rivoluzionario. Il pensiero politico di un comunista democratico, Roma, Carocci, 2014; C. Mancina, Berlinguer in questione, Roma-Bari, Laterza, 2014; G. Marcon, Enrico Berlinguer. L'austerità giusta, Milano, Jaca Book, 2014.