VERONA. Un pessimo disegno di legge, il 735 “Pillon”, presentato il 1 agosto 2018 e difeso da Salvini come il punto di partenza della riforma del diritto di famiglia, i cui temi di massima erano nel contratto di governo Lega-Cinque Stelle. Un segmento di un programma di riforma legislativa della separazione, del divorzio e dell’affido condiviso dei minori dichiarata nel “Contratto di Governo” e subito avversata dalla galassia di sigle e associazioni che popola il Movimento delle donne – Non Una di Meno attivissima fra tutte – e dai Centri Antiviolenza laici che affiancano donne che intraprendono divorzi in casi di maltrattamenti e violenze domestiche.
I punti chiave del Ddl Pillon - che reca Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità - evidenziano come anche soltanto sotto il profilo della tecnica giuridica esso sia praticamente inapplicabile. Tortuoso il percorso che obbliga a una burocrazia reiterata e immensa (Piano genitoriale dettagliato dei tempi e delle spese, che non ammette alcuno degli imprevisti o delle defaillance che capitano a due normali genitori nella vita reale come malattie, interventi chirurgici, trasferimenti e licenziamenti). La bigenitorialità impone due case, una presenza costante e orari ferrei, impossibilità di accordo diretto fra i due ex coniugi magari per sostituirsi vicendevolmente al bisogno: in breve tempo i due malcapitati che si dovessero imbarcare in un divorzio alla “Pillon” si ritroverebbero poveri in canna, sul lastrico ed esauriti per l’onere immenso che nessuna persona sana di cervello si sobbarcherebbe. Morale: rinuncia al divorzio!
Grandi critiche sono state portate alla impostazione monetaristica della vicenda divorzile, tutta tesa a garantire dietro il nobile obiettivo della bigenitorialità perfetta, un esborso minimo economico del coniuge più abbiente, che in Italia – guarda caso – è ancor il marito anche grazie al divario salariale fra uomini e donne, al conseguente minor gettito contributivo della donna, alla discontinuità lavorativa imposta dalla pratica delle lettere di dimissione in bianco e dai licenziamenti causa maternità, con conseguente maturazione di pensioni insufficienti e povertà economica della donna, una vergogna strutturale dell’Italia.
L’aspetto rivendicativo e punitivo nei confronti del più povero – tipica delle società protestanti da cui Pillon ha mutuato il suo modello di divorzio – va a sostituire il modello solidaristico proprio del Diritto Civile italiano obbligando il più povero dei due comunque ad arrangiarsi: altro che sostegno dei padri separati! Se da un lato la casa familiare non viene più automaticamente assegnata alla madre dei minori, quando a perdere il lavoro saranno i padri divorziati gli uomini dovranno comunque provvedere una casa ai figli. L’abbiamo visto nei film americani, quanti bambini sono tolti ai genitori impoveriti e messi in istituto a spese dello Stato! Un disastro economico e sociale garantito a tutti, figlio di una proposta dissennata e maldestra che vuole scimmiottare il modello americano.
Altro grave neo del Ddl è l’estrema ambiguità e pericolosità della mediazione familiare come step preventivo alla separazione e al divorzio unito al ricattato di una “accettazione volontaria” da parte dei coniugi che diventa condicio sine qua non al fine dell’assegnazione dei figli. Secondo i Centri Antiviolenza finirà che le donne “non si separeranno se devono poi correre il rischio di non vedere affidati a loro i minori”. Forse l’intento neanche tanto occulto di questo Ddl-gimkana esistenziale era proprio questo: rendere impraticabile separazione e divorzio.
Peraltro la mediazione familiare come metodo alternativo di risoluzione delle controversie divorzili viene di fatto anche nell’attuale ordinamento esperito dagli stessi avvocati dei divorziandi e ciò è successo ancor di più durante il periodo di applicazione della Legge per l’Affido Condiviso dei figli. Di qui la fiera opposizione che gli avvocati italiani hanno mostrato fin da subito al Ddl Pillon, accusato di voler smantellare il diritto di famiglia sorto dalla tradizione giuridica della civil law di matrice latina.
L’obiezione sostanziale alla filosofia giuridica aberrante e moralistica sottesa al famigerato Ddl Pillon è che imponendo la mediazione essa dà per scontato che due adulti divorzino per superficialità, senza considerare le conseguenze per i figli, o comunque che essendo incapaci di autodeterminarsi secondo criteri morali giusti nelle scelte esistenziali, debbano essere affiancati da un mediatore che li riporti sulla retta via: quella della rinuncia al divorzio, che dai cattolici integralisti come Pillon è considerato un peccato, infatti vorrebbero per tutte e tutti il “covenant marriage”: il matrimonio indissolubile. Comportando un aumento di stress e spesa economica per i divorziandi, non si vede la ragione di vantaggio del mediatore familiare, proprio a pochi mesi dal varo di una legge per il Divorzio Breve che, disintermediando dagli avvocati il divorzio “non litigioso” ha ridotto spese e costi per il suo ottenimento.
Secondo l’avvocato Girolamo Andrea Coffari, presidente del Movimento per l’Infanzia che da vent’anni “contrasta l’adulto-centrismo e promuove i diritti dei bambini” questo Ddl introduce elementi di ricatto e “alimenta la cultura della sopraffazione e del trauma”. “I diritti dei bambini, abbiamo scoperto, non possono mai essere separati dalla tutela delle mamme”.
Più pregnanti, sotto il profilo della lesione dei diritti delle donne, le critiche rivolte al “Pillon” dai Centri antiviolenza, critiche maturate dalla pratica delle professioniste attive nei Centri (avvocate, psicologhe, ginecologhe) e dalle volontarie che affiancano e prendono in carico le donne maltrattate con i loro figli, accompagnandole in tutte le fasi del difficile percorso di rinascita psicologica, umana e necessariamente anche economica che le attende dopo il divorzio dal coniuge violento. Le esperte di violenza familiare sottolineano per esempio che - stante l’attuale mancanza di comunicazione concreta all’interno del Tribunale fra la sezione penale che tratta il singolo caso di maltrattamento o violenza di una donna e la sezione civile che gestisce la pratica di quello stesso divorzio - donna e minori coinvolti non sarebbero assolutamente garantiti e tutelati dalla nuova impostazione legislativa e anzi il percorso divorzile da un marito violento diventerebbe uno slalom impossibile, costoso, rischiosissimo sotto l’aspetto della incolumità, come già dimostrano gli innumerevoli casi di stalking, violenza, violenza assistita dai figli e femminicidio di cui i media ci danno quotidianamente notizia e che intercorrono durante l’iter di separazione e divorzio delle donne maltrattate da mariti violenti che non accettano la risoluzione del rapporto coniugale.
Forse i legislatori leghisti e 5 stelle – sì perché anche il 5 Stelle Giarrusso figura fra i firmatari della proposta di legge Pillon – varando la figura tecnica del mediatore familiare con tanto di relativo albo professionale di recente importazione dal modello anglosassone/americano – nutrivano la buona intenzione di immettere nel lavoro (al capezzale di matrimoni morenti e già morti) una pletora di giovani laureati con laurea specialistica varia (perfino medici!!!), ma del tutto privi di pratica ed esperienza professionale giuridica o psicologica nel dirimere quelle spinose controversie che solo anni di esperienza e saggezza professionale possono equilibrare. L’imposizione della mediazione familiare nel Ddl è stata anche inquinata dalla traccia di conflitto di interesse diretto da parte del senatore-avvocato Simone Pillon, che ha impostato l’attività economica del suo Studio Legale proprio sul concept e sulla filosofia della mediazione familiare.
Le obiezioni più profonde e le contraddizioni sostanziali del Ddl e dell’intera vicenda ad esso sottesa sono state esplicitate in questi mesi dal movimento delle donne e riassunte in espliciti ed efficaci slogan inalberati a Verona il 30 marzo scorso sulle decine di migliaia di cartelli delle attiviste del movimento Non Una di Meno e dalla miriade di donne e uomini che da tutta Italia sono intervenuti alla marcia a Verona. Obiezioni sostenute da moltissime famiglie e gente comune, presenti in migliaia al corteo, come attestano le gallery fotografiche coloratissime comparse nei giorni scorsi sui social media, che ritraggono cittadine e cittadini, sindacati di base e per una volta tanto anche la CGIL del “nuovo corso Landiniano” (delegazioni da tante province), femministe di tutte le età, gay e soggetti del mondo lgbtq, tutti insieme appassionatamente convinti di partecipare per una giustissima causa al corteo promosso da Non Una di Meno.
Una pacifica e colorata giornata di lotta nel cuore di Verona – città pilota degli esperimenti fascisti della giunta becera del sindaco Sboarina – che è stata vissuta per ridare parola e autodeterminazione alle donne minacciate dai patriarchi maschi del governo a traino leghista e da tutti quelli (per fortuna assai meno numerosi e financo sconfessati a parole dal Papa) riuniti nel concomitante tredicesimo Congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families - WCF) alla Gran Guardia in piazza Bra. Tra i congressisti WCF il vicepremier Matteo Salvini e il ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana che ritiene che non esistano le famiglie arcobaleno e che ha addirittura concesso il patrocinio del suo ministero, mentre il logo della Presidenza del Consiglio è stato ritirato su mediazione dei Cinque Stelle solo in seguito a una veemente campagna pubblica sui media e sui social.
Dunque, i nostri politici più votati alle ultime elezioni seduti fra gli estremisti religiosi delle varie fedi cristiane, gli anti-femministi, anti-abortisti e omofobi del pianeta, emissari dei suprematisti americani di fede Trumpiana e dei neo-Putiniani. Fanatici come l’ugandese Lucy Akello che ha proposto la pena di morte per i gay, Brian Brown, presidente dell’Organizzazione Internazionale per la Famiglia USA che avalla teorie pseudo-scientifiche secondo cui l’omosessualità si può curare; l’Arciprete della Russia Dmitri Smirnov che considera gli omosessuali alla stregua di una “peste contagiosa”; il giurista e docente americano John C. Eastman, accanito sostenitore dell’ergastolo per gli omosessuali; Ignacio Arsuaga, Presidente CitizenGo Spagna che si batte per la cancellazione totale dell’aborto in Spagna; Igor Dodon, Presidente della Moldavia che ha dichiarato di essere il Presidente di tutti, tranne che degli omosessuali; Silvana de Mari, medico e scrittrice italiana che considera la penetrazione anale un “atto satanico”.
WCF, un “congresso internazionale sulla Famiglia tradizionale” blindatissimo dalla Polizia con i soldi degli italiani e sbarrato ai giornalisti non allineati. Un congresso di parata, un escamotage fittizio popolato da relatori sconfessati dalla scienza ufficiale nelle loro tesi sulla PAS (la sindrome da alienazione genitoriale), sull’omosessualità, fatto di scafati personaggi fintamente moralisti che sono in asse e opacamente eterodiretti dalle lobby tradizionaliste e che annovera anche parecchi ipocriti nemmeno titolati a parlare di famiglia tradizionale perché pluridivorziati, omicidi o con procedimenti a carico anche per pedofilia.
Come ha scritto Luisa Betty Dakli: “Il neocatecumenale senatore Pillon, contrario all’aborto e alle unioni gay, è naturalmente per la famiglia tradizionale, ma attraversa il mondo cattolico di destra - dal Wcf al Family Day - per posizionarsi anche come elemento organico e strategico nelle associazioni dei padri separati, strenui sostenitori del suo ddl, per diventare uno degli uomini di punta negli incontri ai convegni organizzati dallo psicologo Marco Casonato, ex ricercatore della Bicocca a favore dell’alienazione parentale e ora in carcere per omicidio”.
Un congresso fittizio, dunque, sulla famiglia usato come arma politica da personaggi spregiudicati che a uno sguardo superficiale potrebbero essere derubricati come folkloristici ritualisti di una obsoleta e triste liturgia, nostalgici di una famiglia d’antan che purtroppo per loro (e per fortuna per noi) non c’è più e non ritornerà. Ma si sbaglierebbe a giudicarli tali, perché questi figuri sono l’emanazione delle rampanti lobby sovraniste e conservatrici del pianeta, che inondano e drogano le politiche dei Paesi europei di dollari e rubli fatti affluire su fondazioni ammantate di fini nobili pro-life, pro-family e anti-aborto, come è stato dimostrato recentemente da processi in corso, uno su tutti quello raccontato dall’Espresso del faccendiere ed ex deputato UDC Luca Volontè, eclissatosi dalla politica per diventare terminale di ridistribuzione di soldi anche di dubbia provenienza. Sempre secondo Luisa Betti Dakli sono i finanziatori di “campagne contro aborto e gay: soldi che dalla Russia sono stati ridistribuiti in Italia, Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti, Polonia, Ungheria, per finanziare organizzazioni religiose di destra che solo dal 2012 al 2014 hanno smistato 3 miliardi e 104 milioni di dollari, 519 milioni di euro, 1 miliardo e 220 milioni di rubli, 3 milioni di sterline”.
Sicuramente allo specchietto per le allodole degli integralisti difensori della famiglia tradizionale non hanno abboccato le attiviste italiane di Non Una di Meno, che hanno un discreto fiuto politico e lavorano quotidianamente sporcandosi le mani nei problemi e nelle contraddizioni che vivono le donne. Con l’orgoglio di chi in solo due anni, unendo le lotte in una prospettiva intersezionale, ha saputo aprirsi uno spazio di visibilità planetario stando capillarmente sul campo fra le donne, il rinnovato femminismo veicolato da “Nudm” è riuscito a calamitare a Verona diverse decine di migliaia di persone in un assalto pacifico di straordinario livello politico e simbolico a una città trasformata in fortezza degli intransigenti. Con la freschezza e la creatività dei loro cartelli inalberati ricchi di slogan incisivi e strafottenti, con il fuxia dei loro innocui fumi profumati sparsi nell’aria a evocare fumi di battaglia, e i canti di lotta femminista hanno sfilato con un serpentone chilometrico di nuovo in difesa delle leggi per i diritti guadagnati dalle lotte del Femminismo Storico degli anni Settanta: la legge che ha introdotto il Divorzio in Italia, già una volta riconfermata dal fallimento del referendum democristiano di Fanfani e la Legge 194 per la tutela sociale della maternità e l'interruzione volontaria della gravidanza.
Il giorno dopo la manifestazione di Verona, il sottosegretario 5Stelle alla presidenza del Consiglio Spadafora si è affrettato a “impallinare politicamente” il Ddl Pillon definendolo “archiviato” e ha annunciato che dopo le oltre cento audizioni svoltesi in Commissione Giustizia, il testo non sarà mai votato nelle aule Parlamentari. Ha aggiunto che “adesso c'è un nuovo tavolo Lega-M5S a cui sono invitate anche le opposizioni per scrivere un testo diverso”.
Per andare incontro ai temi del diritto di famiglia il ddl Pillon è infatti all'esame insieme con altri due disegni di legge e quindi in commissione Giustizia a partire dalla settimana prossima si lavorerà a un testo base unico. Le opposizioni intanto promettono di dare seguito nelle aule Parlamentari al vasto fronte anti Pillon, ma invitano a vigilare sottolineando che un disegno di legge per essere archiviato politicamente deve essere formalmente ritirato da chi lo ha presentato. Intanto Salvini per rimediare alla débâcle si è affrettato a promettere che la Legge 194 non si toccherà. Sull’onda della manifestazione di Verona l’opposizione politica di PD e FI al governo gialloverde - che pure in Commissione Giustizia aveva fatto la sua parte per fronteggiare opportunisticamente il Ddl - è stata presa in contropiede dall’ottimo risultato partorito dalla manifestazione di Verona organizzata da Non Una di Meno. In precedenza Forza Italia aveva trovato solo poche parole di alcune sue parlamentari per attaccare il disegno di legge: "Non è stato bocciato dal sottosegretario Spadafora, ma dalla realtà che vivono le famiglie, le mamme e i papà e i loro figli, che è completamente diversa da quella immaginata dal collega Pillon".
Il Pd sui media nazionali è apparso distratto, (troppe beghe di potere fra maschi nel partito) con prese di posizione troppo caute e tardive, forse dovute al suo innervamento cattolico: sui temi religiosi e della famiglia finisce sempre per “camminare sulle uova”, aspettando l’imbeccata delle gerarchie Vaticane. “Left” e “il Fatto Quotidiano” hanno coperto bene l’evento, mentre Repubblica “bucava” clamorosamente e forse deliberatamente – ma quanti se ne sono accorti? – la gallery fotografica a tinte solo pastello arcobaleno, a corredo di articoli pubblicati domenica 31 marzo che non rendevano merito alla mobilitazione di piazza tutta a tinte rosa e nera guidata da Non Una di Meno né alla forte partecipazione del sindacato CGIL con le sue bandiere rosse a trazione Landini.
Salvini & C dovrebbero capire che al netto della diminuzione dell’investimento personale che le donne fanno oggi sulla maternità, che non è e non tornerà più a essere percepita come un obbligo sociale - stante il sempre più diffuso sviluppo culturale e sociale delle donne - sul fronte economico, se non si dà lavoro alle donne, non c’è possibilità di miglioramento demografico della situazione in Europa. La scelta di avere il primo figlio rappresenta di fatto una “iscrizione al ruolo della povertà” per una coppia in Italia, e come tale oggi viene percepita dalle giovani coppie che rimandano nel tempo sempre più quel momento, con evidenti conseguenze per la demografia di un paese che insieme con la Grecia ha un tasso di crescita naturale della popolazione abissale, più basso di Germania e Spagna e fra più bassi d’Europa, mentre la Francia, pure in calo, nel 2017 ha mantenuto un tasso positivo grazie a politiche del lavoro e sociali favorevoli alle donne. Dal 2008, con la crisi economica imposta al mondo dal capitalismo finanziarizzato e in conseguenza della tardiva reazione politico-economica dell’Europa, anche in Italia è iniziata una vertiginosa fase demografica discendente che ha portato il tasso di incremento della popolazione su valori negativi che non si erano mai visti prima e nel 2017 è stato raggiunto un nuovo minimo storico. Il correttivo apportato dalle socialdemocrazie europee a questo problema generale demografico delle società sviluppate, ma in crisi è stata “l’importazione” di migranti dove hanno fatto scuola le politiche di Angela Merkel nel caso Germania, secondo Paese al mondo per residenti nativi stranieri, che oggi fanno ancora più figli dei tedeschi ma non abbastanza per invertire la tendenza, perché presto, sottoposti al costo della vita in Germania, si attestano sul tasso di fecondità totale dei residenti nativi tedeschi.
A questo punto, mentre i migranti in Italia vengono tacciati dalle popolazioni autoctone affascinate dalla demagogia Salviniana di essere il novello esercito industriale di riserva di marxiana memoria, il governo a trazione Lega rispolvera le donne in qualità di “fattrici” di figli e le iscrive al ruolo di responsabili della rinascita demografica della nazione. Ma Salvini omette di dire che se negli anni della crisi le donne hanno subito pesantemente la perdita di posti di lavoro e sono state costrette a rimanere a casa, attualmente secondo l’Istat l’aumento dell’occupazione è più forte per le donne che per gli uomini, sia su base annua sia sul trimestre precedente. Se ne deduce che, tendenzialmente, le donne in Italia cercano e ottengono il lavoro e possono rappresentare la vera risorsa per le famiglie. Per ora il ritardo della “ripresa” economica tanto auspicata coniugato alla volontà dei familisti tradizionali in salsa Salviniana di riportare le donne in casa e tenercele, magari all’ombra di mariti protettivi che magari le maltrattano – unita all’assenza assoluta di politiche lungimiranti di welfare sociale per le donne e di conciliazione famiglia-lavoro – consolida la crisi demografica che si manifesta come epifenomeno obbligatorio intrinseco al capitalismo.
Note
Le frasi di Luisa Betti Dakli sono tratte dalla sua postfazione Sovranismo all’attacco: prima ledonne e i bambini all’interessante libro I nostri corpi come anticorpi – La risposta delle donne alla reazione della destra di Beatrice Brignone e Francesca Druetti, con contributi di Giulia Siviero e Claudia Torrisi (ed. People 2019), libro che è stato presentato a Verona presso la libreria Libre il 30 marzo alle ore 18.00 nell’ambito delle proteste contro il Congresso mondiale delle famiglie. Il libro è in vendita nelle librerie e online ed è scaricabile a questo link.