Il nuovo coronavirus è un’ottima occasione per riorganizzare lo sfruttamento della forza-lavoro tramite lo smart working. E poco importa che la produttività non sembri sempre beneficiarne (alcune indagini segnalano anche una diminuzione fino al 30%), la Pa ha deciso di incrementare il lavoro agile giudicandolo strumento idoneo e alla fine economicamente conveniente. Si tratta solo di riorganizzare i servizi costruendo la mentalità giusta per il lavoro da remoto consapevoli di risparmiare sui costi puntando tutto sui progetti come la Legge sullo smart per altro prevede.
La sindaca di Roma, Virginia Raggi, sta già lavorando per definire le modalità di lavoro smart per 4.000 dipendenti capitolini che diventeranno quindi, a tutti gli effetti, lavoratori a progetto, i moderni cottimisti. Dadone sta contrattando coi sindacati i dettagli, incluse le penali che andranno ad incidere sullo stipendio per chi non dovesse centrare gli obiettivi. Stando al Politecnico di Milano, il 64% dei datori di lavoro dice di voler ricorrere allo smart working giudicando questa nuova (per l'Italia ma non per i paesi del Nord Europa) organizzazione del lavoro più consona al futuro dei servizi pubblici e privati. Prima del Covid-19 in Italia c'erano circa 500 mila smart worker, a inizio Maggio erano circa 8 milioni.
Se analizziamo meglio la situazione si coglie ancora confusione tra smart, lavoro da remoto e telelavoro, e si sta affermando l'idea che un lavoratore da casa, isolato dai colleghi, può lavorare su progetti e produrre di più, all'occorrenza non sciopera e non protesta per i carichi di lavoro, annullando la tradizionale distinzione tra i tempi di vita e quelli necessari a produrre salario.
Le imprese, inoltre, risparmieranno sui costi relativi degli infortuni (ad esempio quelli in itinere) e sui costi relativi alla pulizia e igienizzazione dei locali aziendali, che potranno essere ridimensionati dovendo far posto a meno personale. Lo smart, poi, rende subito molto più evidente chi è veramente necessario in azienda e chi non lo è.
Con l’occasione il Ministero sta pensando a un piano di investimento tecnologico, perché la rete internet in Italia è ancora inadeguata, favorendo l'acquisto di strumenti informatici attraverso incentivi e bonus che poi si tradurrebbe in commesse per le aziende produttrici ed erogatrici di tecnologia informatica. Chiedere poi alle aziende pubbliche e private lo smart vuol dire anche incrementare le attività digitali, i processi innovativi con altri effetti benefici su alcuni settori dell'economia.
Altro aspetto, tutto da capire, è legato alle dotazioni organiche. Non è detto che con lo smart e i lavori a progetto non si vada verso una riduzione in termini numerici della forza-lavoro. E visto che siamo a individuare le criticità, con i lavoratori in smart sarebbe rafforzato il sistema di controllo su ogni singolo dipendente, dilatati i tempi di connessione con gli smartphone aziendali
Lo smart potrebbe diventare una sorta di modello Toyota per i colletti bianchi, processi ri-organizzativi che in apparenza sembrano rosei e favorevoli ma in sostanza incrementano lo sfruttamento della forza-lavoro. Sarà assai difficile farlo capire ai diretti interessati che nelle settimane pandemiche hanno visto solo gli aspetti positivi dello smart (stare al sicuro lavorando da casa, risparmiare sugli spostamenti, sul vestiario, poter gestire meglio alcune incombenze casalinghe) ma non riescono ad andare oltre guardando in profondità ai processi che investono l'organizzazione del lavoro. Con obiettivi di lavoro sempre più ambiziosi, e quindi carichi sempre più pesanti, tutto il tempo di vita si trasformerà in tempo di lavoro, facendoci rimpiangere le ore passate nel traffico per tornare dall’ufficio. I modelli gestionali “agili” favoriscono la resilienza, abituando i lavoratori ad adattarsi a processi decisionali e ai cambiamenti organizzativi e gestionali, necessita però di una forza-lavoro tanto disciplinata quanto obbediente, prona ai dettami aziendali e alle strutture gerarchiche della organizzazione lavorativa che agli occhi dei più sembreranno quasi invisibili.
Gli ultimi mesi e quelli prossimi fungeranno da laboratorio per i cambiamenti futuri delle modalità di lavoro. Non si tratta di governare questi processi attraverso accordi nazionali ma di comprendere innanzitutto le ripercussioni che avranno sulla organizzazione del lavoro. La tecnologia non è mai neutra e dipende a quali fini viene indirizzata la ricerca e l'innovazione e di sicuro, in questo caso, non al benessere dei lavoratori e delle lavoratrici per quanto si voglia far loro credere che lo smart, o remoto che sia, rappresenti una grande occasione da non perdere per migliorare la qualità della vita accrescendo i tempi dedicati alla propria persona e alla cura dei familiari.