Controstoria del medioevo VI incontro: La filosofia araba e la ripresa dei commerci

Mercoledì 11 ottobre, dalle ore 18 alle 20,30, sesto incontro del corso di storia e filosofia: Controstoria del medioevo, introdotto da Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci. Nell’incontro (diretta facebook https://www.facebook.com/unigramsci/, in videoconferenza per i membri dell’Unigramsci e gli interessati, in differita su youtube) si tratterà, in un’ottica marxista, della filosofia araba e della ripresa dei commerci.


Controstoria del medioevo VI incontro: La filosofia araba e la ripresa dei commerci

Mercoledì 11 ottobre, alle ore 18, avrà luogo il sesto incontro del corso: Controstoria della filosofia e della storia, introdotto dal prof. Renato Caputo, dedicato all’analisi, in una prospettiva marxista, della filosofia araba e della ripresa dei commerci. Per una introduzione al corso, in cui si chiariscono le motivazioni che hanno portato alla scelta del tema, rinvio all’articolo: Le ragioni di una controstoria del medioevo pubblicato in questo settimanale. Di seguito potete leggere una versione sintetica dei temi che saranno affrontati e discussi nel sesto incontro, al quale si potrà partecipare in diretta facebook https://www.facebook.com/unigramsci/, in videoconferenza per i membri dell’Unigramsci o per chi ne farà richiesta. Il video del corso sarà disponibile nei giorni successivi sul canale youtube dell’Università popolare Antonio Gramsci, sulla pagina facebook e sul sito.

Avicenna

Ibn-Sina nasce in Persia nel 980, è stato famoso come medico oltre che come filosofo. Il suo Canone di medicina fa testo per molto tempo. Muore nel 1037. La sua opera principale è il Libro della guarigione, diviso in logica, fisica, matematica e metafisica.

Il principio della necessità dell’essere

Avicenna ha formulato quello che è divenuto il pensiero classico della filosofia araba: tutto ciò che è o accade, è o accade necessariamente e non potrebbe essere o accadere in modo diverso.

La concezione dell’intelletto e dell’anima

I filosofi arabi identificavano l’intelletto attivo di Aristotele con dio, distinguendo altre forme di intelletto. Avicenna riteneva immortale il solo intelletto attivo, che non ha bisogno del corpo per funzionare, mentre l’intelletto potenziale e acquisito ha bisogno del corpo, perché opera su immagini derivate dalla sensibilità. L’anima dopo la morte ritorna quindi all’intelletto universale ed è immortale, quindi, solo come attività intellettuale.

Averroè

Ibn-Rashid è il più celebre dei filosofi medievali in lingua araba. Nato a Cordova in Spagna nel 1126, è costretto all’esilio per le sue idee filosofiche rivoluzionarie e muore nel 1198. Compone un commento grande, un commento medio e una parafrasi delle opere di Aristotele essenziali per la comprensione, soprattutto in occidente, degli scritti di questo grandissimo filosofo, troppo complesso per i cristiani, anche per la forma esoterica, non destinata alla pubblicazione del corpus aristotelico giunto sino a noi.

La filosofia di Aristotele come espressione della verità

Per Averroè l’opera di Aristotele è la verità stessa, la quale va solamente chiarita. Concezione tipica di un’epoca di crisi sul piano delle sovrastrutture, simile alla nostra per cui riteniamo spesso più importante diffondere la concezione del mondo marxista, piuttosto che ambire a svilupparla ulteriormente. Peraltro la stessa definizione di “marxista” indica come abbiamo difficoltà a credere di poter sviluppare in modo significativo il lascito dei classici del marxismo, come Marx, Lenin e Gramsci. Del resto, nella grande maggioranza dei casi chi ha avuto tale ardire, in realtà più che sviluppare tali grandi teorici rivoluzionari ha semplicemente ripiegato su posizioni più moderate (più in linea con l’ideologia dominante), a partire da quelle del socialismo utopista.

Tornando ad Averroè, egli fa notare, con una posizione radicalmente rivoluzionaria verso l’ideologia mitologico-religiosa dominante, che la filosofia (aristotelica) espone in una forma adeguata, superiore e scientifica la verità che la religione insegna nella forma semplice e primitiva adatta a degli uomini ancora incolti, poco avvezzi al livello di astrazione richiesto dalla scienza. Averroè anticipa così di diversi secoli la concezione hegeliana per cui la religione, ormai, ha un carattere di “passatezza”, per cui sarebbe solo utile per far comprendere ai bambini o agli adulti poco istruiti quelle concezioni fondamentali che la filosofia consente di apprendere in modo concettuale, scientifico. Ecco perché nella nostra epoca l’insegnamento della religione è ridotto a un’ora a settimana, peraltro opzionale, mentre le scuole ancora oggi, nei paesi meno evoluti, sono sotto il controllo del clero e mediano una visione mitologico-religiosa del mondo.

L’ordine necessario del mondo

L’insegnamento chiave di Aristotele è la necessità di tutto ciò che esiste, di contro all’onnipotenza divina dei teologi, concezione indispensabile per affermare una visione scientifica del mondo, di contro alla mitologico-religiosa. Il mondo è necessario perché creato necessariamente da dio. Dio è perfetto e ciò che fa deve procedere dalla sua perfezione. Il mondo perciò non ha un inizio, ma è eterno come dio. L’ordine del mondo non può esser modificato, o infranto, ma dirige la stessa azione dell’uomo, uomo che, perciò, non ha libertà di iniziativa. La necessità dell’ordine del mondo favorisce la ricerca scientifica in quanto lo scienziato è spinto a dare ordine ai fenomeni apparentemente caotici della natura.

La doppia verità

Le concezioni averroiste dell’eternità del mondo e della mortalità dell’anima separata dall’intelletto, sono contrarie alle credenze cristiane, ma anche maomettane. D’altra parte per Averroè è l’attività razionale la fede del filosofo, mentre le credenze religiose sono un sostituto di tale attività. In realtà verità filosofica e religiosa pur differendo nella forma, (l’una rimanda a una dimostrazione l’altra al testo sacro), non sono per Averroè in contrasto. Tale concezione ha avuto successo tra i cristiani secondo l’interpretazione erronea della doppia verità, per cui vi sarebbe una verità di ragione e una verità di fede.

Il muovo mondo dei mercanti 

Il mondo più dinamico del basso medioevo favorisce la circolazione degli individui, ci si muoveva con più facilità (migliora la viabilità). I più attivi in tal senso sono i mercanti, tanto che tornano a svilupparsi i commerci. Grazie alla ripresa economica era aumentata la domanda anche di merci pregiate, si sviluppa lo scambio e ciò è all’origine dell’ascesa sociale dei mercanti. In questo settore l’Italia medievale era all’avanguardia.

Questi mercanti erano gli uomini nuovi, che avevano le ricchezze, ma verso i quali c’era ancora il pregiudizio da parte della classe dominante, l’aristocrazia, che i mercanti tendevano a imitare nello stile di vita per essere ammessi al rango sociale superiore, facendo sposare le figlie con i nobili decaduti.

Nascono nuove forme di associazione nell’ambito del commercio: le Commenda o societas maris; il detentore del capitale finanziava l’impresa e si accollava il rischio delle perdite, ma otteneva un’alta percentuale, il mercante rischiava la vita nel viaggio e otteneva i restanti utili, così chi aveva capitali investiva e i senza scrupoli privi di mezzi avevano la possibilità di accumulare una piccola fortuna.

La ripresa dei traffici stimolò anche la produzione di nuova moneta, si ripresero a coniare le monete d’oro; l’augustale per volontà di Federico II, il fiorino aureo, il ducato d’oro veneziano costituiranno per molto tempo le valute internazionalmente più accreditate. Si sviluppano anche le attività bancarie per lo scambio delle valute e per i depositi utilizzati per prestiti e investimenti. Questo settore sarà dominato dai banchieri italiani che presteranno soldi ai sovrani di mezza Europa.

Le principali vie commerciali marittime

Il Mediterraneo orientale è dominato da Venezia, in funzione dei traffici con il medio e l’estremo oriente, Pisa e Genova, e in un primo tempo Amalfi, sviluppano gli scambi con gli arabi; Baltico e Mare del Nord sono dominati dalle città fiamminghe e poi tedesche, si intensificano i commerci tra Russia, Scandinavia, Inghilterra e Fiandre. Si intensificarono anche gli scambi via terra che mettevano in contatto il nord e il sud Europa.

I grandi traffici europei e le città marinare italiane

I primi centri che beneficiarono della progressiva ripresa delle attività commerciali furono: Amalfi, Genova, Pisa e Venezia. Amalfi già dal IX secolo vantava di una marineria attivissima, aveva relazioni con gli arabi in Spagna, Sicilia e africa settentrionale, e fondò numerose stazioni commerciali. Famose le Tavole amalfitane, primo esempio di codificazione del diritto di navigazione. La città perse la sua autonomia alla fine dell’XI secolo quando venne annessa al regno normanno dell’Italia meridionale nel 1131.

Genova e Pisa iniziano la loro attività nell’anno mille e si alleano contro le incursioni saracene nel mediterraneo, dopo aver soppiantato Amalfi, si fanno la guerra per la Sardegna, la Corsica e il monopolio degli scambi con la Sicilia, fino a che nel 1284 Genova distrugge la flotta di Pisa nella battaglia della Meloria.

Venezia come centro urbano nasce dall’occupazione delle isole della laguna veneta cui si era ridotto il ducato bizantino dopo l’invasione longobarda. La città si rese autonoma e nell’anno mille riuscì a stabilire il controllo sulla costa dalmata acquistando il primato nell’alto adriatico, inoltre grazie alle sue relazioni con Bisanzio, si assicurò l’esclusiva dei rapporti commerciali con l’oriente, stabilì numerose colonie commerciali e godette di privilegi e esenzioni fiscali. Si specializzò nello scambio di merci orientali (spezie, seta, cotone), e di merci occidentali (schiavi slavi, ferro, legname), sfruttò la produzione delle saline del Comacchio e si specializzò nella produzione dei vetri a Murano. Si scontrò con i genovesi, il conflitto si protrasse lungo tutto il XIII e il XIV secolo.

Oltre alle città marinare ci fu un risveglio urbano anche nel resto del centro-nord a partire dall’XI secolo, ad esempio Milano, Firenze, Verona, Padova, Bologna Parma, Piacenza e Ferrara etc. In Europa i centri urbani si trovavano essenzialmente nelle Fiandre e nella valle del reno. Solo nel XII e nel XIII si urbanizzarono le coste del Baltico (Lubecca, Danzica, Riga, Amburgo che capeggerà nel XIII secolo un’importante lega commerciale: l’Hansa.

Il declino dell’impero bizantino

La ripresa dell’occidente coincide con il declino di Bisanzio, uno degli imperi più vitali della storia, con un’evoluta economia e cultura, dislocato in una posizione chiave tra Europa e Asia, che aveva resistito bene alle invasioni grazie alla posizione geografica privilegiata di Costantinopoli (ben difendibile), grazie a una potente flotta, anche se aveva dovuto cedere agli arabi ampi territori ed era minacciata a oriente dai turchi selgiuchidi che avevano occupato parte dell’Anatolia.

L’impero bizantino era cristiano ma profondamente diviso dall’occidente, e il divario si era progressivamente accresciuto durante il medioevo; in primis in quanto non riconosceva il vescovo di Roma come capo della chiesa, dal momento che la chiesa bizantina dipendeva dall’imperatore. Inoltre concepiva diversamente lo spirito santo e, per questo, in occidente i bizantini saranno considerati eretici. Fu proprio questa controversia a determinare lo scisma del 1054 che comportò il definitivo distacco dal punto di vista religioso e culturale tra oriente e occidente, da esso nacque la chiesa ortodossa, ancora oggi presente nelle regioni dell’Europa orientale.

L’impero bizantino comincia il suo declino già dal X secolo a partire dal piano economico sociale: il fiscalismo eccessivo soffocava la piccola proprietà e dava enormi privilegi ai latifondisti. I contadini erano sfruttati e tassati, tant’è che la tensione sociale era alle stelle. Quindi, mentre l’occidente si riprende, Bisanzio, faro di civiltà, inizia il suo declino. Il distacco con il mondo occidentale avviene anche a causa della perdita dei territori dell’Italia meridionale – conquistati da arabi e normanni – anzi quando questi ultimi tentarono di conquistare Bisanzio, i bizantini chiesero l’aiuto di Venezia che in cambio ottenne numerosi privilegi dal punto di vista commerciale e fiscale, provvedimenti che dissestarono ulteriormente le finanze imperiali.

Quando la religione divide: cristiani e musulmani

Durante la presenza araba in Sicilia e Spagna i rapporti sia economici che culturali erano stati intensi. Gli arabi avevano trasmesso all’occidente le tecniche e la scienza, il gusto estetico, l’arte. Molte di queste acquisizioni gli arabi le avevano ereditate dalla tradizione greco-romana (in occidente perduta, almeno sino alla nascita delle università).

Erano soprattutto i mercanti europei a visitare il mondo musulmano, soprattutto con il risveglio economico dell’occidente numerosi mercanti in primis italiani cominciarono a frequentare i porti, ma anche le città interne musulmane. Mercante “franco”, così li chiamavano i musulmani. Qui i mercanti cristiani si procuravano i manufatti artigianali, le merci orientali (seta, pietre preziose, spezie, legname, ceramiche) e dall’africa schiavi e oro. I mercanti musulmani in Europa erano rarissimi perché l’Europa allora povera aveva poco da offrire, in genere esportava: schiavi, armi e lana inglese. Anche la civiltà musulmana, come le altre, si reggeva sul lavoro degli schiavi, ma la religione impediva di schiavizzare i musulmani, così li prendevano all’estero o attraverso le incursioni (dal X al XII secolo) o più facilmente li compravano dagli stessi mercanti europei, veneziani in prima fila, che vendevano schiavi provenienti dall’Europa orientale (popolazioni slave, da cui il termine schiavo che si sostituisce al latino servus). La chiesa cercò di fermare questo commercio di cristiani, ma i mercanti europei (cristiani) erano più interessati al profitto che a questioni etico-religiose. I musulmani inoltre compravano armi, era apprezzata la metallurgia germanica e la lana inglese, considerata morbidissima, tanto che, anche in questo caso, gli appelli del papa non ebbero effetti.

Nonostante i contatti, numerose erano le barriere mentali e culturali tra musulmani e cristiani, entrambi definivano gli altri “infedeli”. Per l’Islam l’umanità si divideva nella casa dell’islam, che comprendeva i paesi che seguivano la legge islamica, e la casa della guerra, ovvero il resto del mondo. Ogni musulmano doveva lottare per estendere la prima (visone schematica, non vi era spazio per altri paesi e popoli). Questa visione aveva dominato nel periodo della loro espansione (l’VIII secolo). In seguito, con la successiva divisione dell’impero, tale concezione divenne meno rigida. La conquista del mondo era rinviata e si cominciarono a introdurre regole di convivenza con gli infedeli. Se da una parte atei e politeisti se non si convertivano all’islam venivano uccisi, diversamente avveniva per ebrei e cristiani, che comunque erano monoteisti, le loro religioni erano considerate superiori, comunque erano rivelate, anche se poi non avevano riconosciuto la volontà divina ultima e perfetta cioè quella rivelata da Maometto, quindi a costoro era permesso di praticare la loro religione e di svolgere le loro attività, bastava che pagassero una tassa speciale. I musulmani erano quindi tolleranti, diversamente dai cristiani che viceversa non garantirono libertà di culto ai paesi riconquistati all’islam, dove il cristianesimo veniva imposto con durezza e ferocia.

Il mito della Terrasanta: tra religione ed economia

I musulmani non rimasero a lungo indisturbati nei loro possedimenti in Sicilia e Spagna. Tra il 1061 e il 1091 i normanni conquistarono la Sicilia; parallelamente le città marinare si fecero più aggressive, aprirono nuove vie di traffico alle proprie navi, effettuando incursioni nel Mediterraneo e strappando piazze commerciali agli arabi.

Nella penisola iberica dal IX-X secolo era partita la riconquista dei territori occupati dai musulmani, lenta ma inarrestabile, dopo la conquista di Toledo (1085) ci fu un breve arresto. La riconquista ripresa alla fine del XII secolo e via via furono riconquistate: Saragozza, Cordova, Valenza, Siviglia e, in ultimo, Granada nel 1492. I nuovi padroni cristiani procedettero immediatamente alle conversioni forzate e chi non si convertiva era costretto a emigrare.

Questa Europa in ripresa e aggressiva si contrapponeva a un islam sempre più spento e sulla difensiva. Ciò era dovuto alla grave crisi che attraversava l’islam in questo periodo: era diviso dal punto di vista religioso, vi erano numerose sette che si contendevano l’egemonia anche con le armi. Le diverse interpretazioni del corano e la sua applicazione avevano alla base antagonismi sociali, a ciò si aggiungeva anche la rivalità religiosa tra est e ovest: i musulmani dell’est si ritenevano più puri e osservanti e culturalmente superiori. Tali divisioni contribuirono al declino del mondo islamico.

06/10/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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