L'agricoltura biologica costa meno rispetto a quella convenzionale, aiuta l'ambiente e limita l'assunzione di agenti cancerogeni nel consumatore. La solita obiezione è che l'agricoltura biologica non conviene e fa produrre meno. Oggi le statistiche ci dicono che non è poi così vero, e soprattutto che l'occidente spreca ogni giorno il 40 % del cibo che produce mentre un sesto della popolazione mondiale lotta contro la fame. È dunque necessario salvaguardare l’ambiente e la salute come aspetti centrali del bene comune.
di Claudio Lalla
"Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria sulla natura; la natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha, infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell'Asia minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l'attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e di deposito dell'umidità. Gli italiani della regione alpina, nell'utilizzare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord, non ... immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell'anno, quell'acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l'epoca delle piogge ..."
Carl Marx Terzo libro del Capitale
Premesso che la cornice di questo articolo è quella di una situazione internazionale in cui da un lato un miliardo di persone soffre la fame e dall’altro l’attuale sistema agricolo produce più cibo di quanto sia necessario per sfamare ogni persona del pianeta, mentre il 30%-40% del cibo prodotto in Occidente viene semplicemente sprecato e trasformato in rifiuti urbani, passiamo alla questione, seria, da affrontare.
Su questo giornale è stato sollevato il problema della produttività dell’agricoltura biologica. Credo sia opportuno riprendere il discorso per chiarire alcuni aspetti di tale problema. Si tratta di una questione che mette in gioco l’economia e lo sviluppo del paese, la preservazione e il miglioramento del nostro territorio, la salvaguardia della salute della popolazione. La prima cosa da fare è dunque quella di abbandonare il piano delle mere opinioni soggettive e passare a quello della riflessione basata sui dati scientifici che sono attualmente a nostra disposizione.
Veniamo subito al dunque. Abbiamo la fortuna di poter leggere oggi il più avanzato studio condotto sul confronto fra produttività dell’agricoltura biologica e di quella convenzionale. È una ricerca [1] portata avanti dai ricercatori della University of California e pubblicata su «Proceedings of the Royal Society B.» nel numero di dicembre 2014, dunque appena due mesi fa. Si tratta di una meta-analisi, cioè un’analisi statistica dei risultati ottenuti da studi già effettuati, che mira così a raggiungere un grado di attendibilità che, basato su un campione di casi superiore, sia più elevato di quello attribuibile a ciascuno dei singoli studi considerati. Il numero degli studi esaminati è stato di 115, ovvero un numero indubbiamente elevato.
Prima di conoscere i risultati della ricerca di cui vi sto parlando, vi devo chiedere però di pazientare un attimo, perché non vi ho ancora presentato i due protagonisti del confronto produttivo: l’agricoltura biologica e l’agricoltura convenzionale. È importante sapere in modo minimamente definito di cosa stiamo parlando.
Ebbene, l’agricoltura convenzionale è intensiva, a regime monocolturale (per diverse stagioni si coltiva sullo stesso terreno la stessa pianta) e per tale motivo è un’agricoltura che fa impoverire il terreno dei suoi elementi nutritivi naturali. Ciò comporta la necessità di ricorrere, in modo progressivamente maggiore, alla prassi di riversare sul terreno elementi nutritivi di sintesi, fra i quali principalmente quelli a base di fosfato, di potassio e di azoto. Va rilevato che nel corso del tempo la capacità dei fertilizzanti sintetici di aumentare la resa dei raccolti è andata significativamente diminuendo.
L’agricoltura convenzionale utilizza inoltre i pesticidi, al fine di combattere i vari organismi potenzialmente dannosi per le piante. I diserbanti chimici verranno poi impiegati per liberarsi delle piante infestanti.
Va tenuto presente che pesticidi e diserbanti uccidono anche gli organismi che vivono nel suolo e vi producono l’humus. Da questo punto di vista essi agiscono di concerto con il regime monocolturale nel determinare l’impoverimento del terreno.
Risultano qui profetiche la parole di Marx: “Ogni progresso dell’agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell’arte di rapinare l’operaio, ma anche nell’arte di rapinare il suolo; ogni progresso nell’accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso della rovina delle fonti durevoli di questa fertilità” [2]. Del contemporaneo Justus Liebig, che aveva spiegato i motivi per cui la fertilità di un terreno diminuisce se esso è sfruttato eccessivamente, Marx parla precisando che "la spiegazione del lato negativo dell'agricoltura moderna è uno dei meriti immortali" [2] del chimico tedesco. Chissà cosa direbbe oggi di fronte allo stato dell’attuale agricoltura convenzionale…
Ed ecco cosa ancora ci dice ancora l’ecologista Marx: “Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un'intera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive.” [3]
L’agricoltura biologica non ricorre a fertilizzanti e pesticidi. La fertilizzazione è perseguita con concime naturale di origine naturale o comunque con materia biologica. Per combattere i parassiti il biologico fa uso di animali, nonché di preparati vegetali e minerali. L’agricoltura biologica più avanzata fa leva anche sulla rotazione annuale delle culture, che permette non solo di non impoverire il terreno, ma anche di arricchirlo nel corso del tempo. La rotazione riduce la necessità di ricorrere a fertilizzanti e impedisce inoltre ai parassiti di specializzarsi, così riducendo la necessità dell’intervento antiparassitario. Oltre alla rotazione annuale l’agricoltura biologica migliora la propria produttività anche con la coltivazione multipla, ovvero la conduzione di colture diverse sullo stesso terreno. Questo tipo di agricoltura comprende anche la piantumazione di semi e alberi per creare barriere naturali contro gli agenti inquinanti esterni.
Bene, tornando ora agli esiti della meta-analisi di cui stavamo parlando, da essa è risultato che in generale l’agricoltura biologica ha attualmente una produttività inferiore a quella dell’agricoltura convenzionale. Ma la news della ricerca non era propriamente questa. Infatti, il divario complessivo si è rivelato molto più modesto di quanto non fosse apparso dalle stime precedenti. La produttività complessiva dell’agricoltura biologica è infatti del 19,2% inferiore. Questa valutazione, affermano i ricercatori, è probabilmente sovrastimata, perché diversi fra gli studi considerati erano stati condotti a favore dell’agricoltura convenzionale. Ma a rendere ancora più interessante questa meta-analisi sono altri dati. Anzitutto, per quanto riguarda determinate colture non ci sono differenze di produttività fra i due tipi di agricoltura. Un esempio è quello della coltivazione dei legumi (la fonte proteica vegetale), come i fagioli, i piselli e le lenticchie. L’altra scoperta è questa: quando l’agricoltura biologica ricorre a determinate tecniche la differenza di produttività si assottiglia. In particolare, quando utilizza la coltivazione multipla il divario di produttività si riduce al 9%, mentre con la rotazione delle colture il divario passa all’8%.
La produttività andrebbe d’altra parte considerata anche in termini qualitativi oltre che quantitativi. Un altro studio [4], questa volta condotto all’Università di Davis, sempre in California, ha confrontato la qualità dei prodotti biologici con quelli provenienti da un’agricoltura convenzionale attraverso una meta-analisi basata su 343 studi. Ne sono emerse differenze statisticamente significative: la concentrazione di polifenoli era più alta nei prodotti bio, in particolare gli acidi fenolici più elevati del 19%, i flavononi del 69%, gli stilbeni del 28%, i flavoni del 26%, i flavonoli del 50% e le antocianine del 51%. Senza entrare nel dettaglio, possiamo dire, insieme agli autori, che molti di questi composti sono stati legati, grazie a studi epidemiologici, a un rischio ridotto di malattie croniche, incluse le malattie cardiovascolari, le malattie neurodegenerative e certi tipi di cancro. Per capire meglio l’importanza del discorso che stiamo facendo, consideriamo per esempio la quercetina, che è un flavonolo. Si tratta di una sostanza, presente in elevate quantità soprattutto nelle mele e nelle cipolle, che esercita un’attività antitumorale, bloccando la divisione cellulare delle cellule tumorali e inducendovi l’apoptosi, cioè la morte cellulare programmata. Tale capacità viene espressa con un’ampia varietà di tumori. Nei prodotti dell’agricoltura convenzionale sono state riscontrate invece, non solo residui di pesticidi 4 volte più elevati, ma anche concentrazioni significativamente più alte di cadmio. Il compianto compagno Lorenzo Tomatis, direttore per anni dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) richiamava la nostra attenzione proprio sul cadmio, che a concentrazioni normalmente presenti nell’ambiente inibisce il sistema di riparazione del DNA e pertanto interferisce con le risposte che le cellule possono mettere in atto nei confronti di altri agenti nocivi. Ciò è un esempio dell’effetto additivo dei cancerogeni che vengono riversati nell’ambiente e nel cibo. Va notato che l’IARC classifica il cadmio come cancerogeno accertato.
In generale le industrie chimiche si difendono affermando che per ciascuna delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura le persone sono esposte a dosi inferiori a quella tossica. Il fatto è però che il carico complessivo di tutte le sostanze cancerogene che assumiamo con l’alimentazione può essere decine di volte superiore a quello risultato tossico per le cavie. In conclusione l’agricoltura convenzionale mette sul mercato cibi che sono impoveriti delle sostanze che agiscono come fattori di protezione dalle malattie, mentre risultano arricchiti di sostanze che, al contrario, fungono da fattori di rischio.
Ma il discorso sulla produttività può esaurire la questione che stiamo affrontando? Assolutamente no. Infatti il discorso economico (e non solo) continua con l’entrata in scena di un convitato di pietra: la valutazione delle esternalità. A questo riguardo abbiamo due tipi di strumenti che vengono utilizzati. Il primo è il Life Cycle Assessment, cioè la valutazione dell’intero ciclo di vita di un prodotto, come, nel nostro caso, uno agricolo. Si tratta di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sull’impatto ambientale e sanitario associato agli input e agli output di uno specifico settore produttivo. Considerando l’agricoltura convenzionale ricadono ad esempio nel Life Cycle Assessment l’inquinamento da nitrati delle falde acquifere oppure il verificarsi di alluvioni cui ha concorso un suolo impoverito che non riesce più ad assorbire e a trattenere l’acqua, o ancora il fatto, per esempio, che nel Mar Baltico vengano scaricati ogni anno 1 milione di tonnellate di azoto e 35.000 tonnellate di fosfati, o i danni prodotti alla salute della collettività..
Complementare al Life Cycle Assessment è il Life Cycle Costing che analizza, alla luce dei dati emersi dal primo Life Cycle Assessment i costi economici complessivi di produzione. Questi sono di tre tipi: costi convenzionali, costi ambientali e costi societari. Per quanto riguarda i costi convenzionali è da tener presente il forte risparmio economico di cui possono giovarsi i contadini allorché non debbono più comprare fertilizzanti, diserbanti e pesticidi. Gli ultimi due tipi di costi economici complessivi di produzione includono invece diversi tipi di esternalità. Tornando a uno degli esempi di prima, in Germania la purificazione delle falde inquinate dai nitrati viene a costare a tutta la società 8 miliardi di euro all’anno. Un ulteriore costo che va considerato riguarda la qualità paesaggistica del territorio, necessariamente compromessa dall’agricoltura convenzionale. Da questo punto di vista occorre considerare l’importanza che ha dimostrato la scelta dell’agri-turismo per le piccole aziende contadine, così economicamente efficace da essersi rapidamente diffusa dalla Toscana, dove venne per la prima volta elaborata, in tutta Europa. Infatti è un’attività che, integrando con i proventi del turismo e della vendita al dettaglio quelli della produzione agricola, aiuta economicamente l’azienda contadina. In Europa abbiamo oggi 600.000 alloggi agrituristici. In alcuni paesi la proporzione supera il 10% (Austria) o raggiunge addirittura il 20% (Svezia e Svizzera). La percentuale di aziende agricole che offrono servizi di accoglienza turistica è poi dell'8% in Germania e nei Paesi Bassi, del 4% in Francia e del 2% in Italia. Naturalmente agriturismo e agricoltura biologica sono complementari, sia perché chi fa questa scelta ricreativa desidera trovare un paesaggio vario e sano, sia in quanto è incline a consumare in loco cibi che siano biologici e a comprare direttamente dai contadini prodotti di questo genere.
Una componente importante del Life Cycle Assessment e del Life Cycle Costing riferiti all’agricoltura biologica e a quella convenzionale è rappresentata dall’inquinamento dei prodotti alimentari causato dai mezzi chimici utilizzati dall’agricoltura convenzionale. Se parliamo di cancro, sappiamo dalle stime scientifiche più attendibili che circa il 30% di tutte le forme di cancro è causata da quello che mangiamo [5]. Ciò comprende ovviamente anche la carne, le uova e i prodotti lattiero-caseari, di cui parlerò in un prossimo articolo dedicato al confronto tra allevamenti biologici e convenzionali. D’altra parte, i decessi dovuti al cancro potrebbero raggiungere il 90%, prendendo in considerazione i tipi di cancro che insorgono nel sistema gastro-intestinale (esofago, stomaco e colon). Dal 1940 l’incidenza del cancro è aumentata in tutti paesi industrializzati e dal 1975 ha subito un’impennata. Questo dato non dipende dall’allungamento della durata della vita, come si potrebbe in un primo momento pensare. Come dimostrato nel 2004 dall’OMS con un articolo su «The Lancet», la fascia d’età in cui si è registrato il maggior aumento del numero di tumori è quella dei bambini e degli adolescenti. Anche la maggior possibilità odierna di diagnosi precoci non spiega il dato, in quanto l’aumento dei tumori si registra anche nei casi in cui la diagnosi precoce non è possibile (salvo casi fortuiti) come con il cancro del pancreas, del testicolo o con il linfoma.
Ora, uno dei grandi fenomeni avvenuto dopo l’ultima guerra mondiale è la grande trasformazione chimica dell’agricoltura, ben più di quanto non avvenisse ai tempi di Marx. Si cominciò con il DDT e non ci si fermò più. L’atrazina, altro pesticida, è stata vietata dall’Unione Europea nel 2006, ma è stata utilizzata per 40 anni. Pesticidi e diserbanti hanno spesso una struttura chimica che ricorda quella degli estrogeni e pertanto sono ritenuti potenziali responsabili di tumori ormono-dipendenti. Siccome si accumulano nel grasso, ogni volta che mangiamo il grasso della carne facciamo scorta di questi veleni. Oltre al costo in termini di salute c’è poi il costo economico della cura. La spesa sanitaria oncologica ammonta attualmente in Italia a 7,5 miliardi di euro ogni anno. Inoltre il costo della chemioterapia è in aumento, seppur con scarsi risultati in termini di efficacia. Naturalmente non tutta questa spesa è indirizzata a curare tumori insorti a causa di un’alimentazione che veicola nei nostri corpi agenti cancerogeni, ma almeno quella che corrisponde al 30% dei tumori, che non è certo irrilevante.
Il capitale attinge profitto dall’agricoltura convenzionale in due modi. Anzitutto attraverso gli enormi introiti delle multinazionali del fitofarmaco come (cito le prime sei in ordine di grandezza) Pfizer, Bristol-Myers Squibb, GlaxoSmithKline, SanofiAventis, Novartis, Hoffmann-La Roche. In secondo luogo, come chiarito da Marx, grazie al tendenziale aumento del plusvalore relativo da parte del capitale nella sua generalità. Infatti, quello alimentare è naturalmente uno dei rami d’industria che riguarda i mezzi di sussistenza abituali. In questi anni l’immissione sul mercato di alimenti a basso costo ha pertanto ridotto il tempo di lavoro necessario per la riproduzione della stessa forza-lavoro. In sostanza, potendo sfamarsi con minor spesa, il lavoratore salariato ha potuto permettersi di accettare accordi o contratti di lavoro in cui la parte della giornata lavorativa che produce soltanto un equivalente del valore della forza-lavoro pagato dal capitale si è ridotta a vantaggio della parte della giornata lavorativa in cui si produce per il profitto. Detto in modo più diretto: ha potuto accettare salari più bassi, perché decurtati della maggior spesa che altrimenti sarebbe stata necessaria per alimentarsi. Ma ciò, oltre a comportare un aumento dello sfruttamento, ha determinato l’avvelenamento costante del lavoratore e della sua famiglia. Ma che importa di ciò al profitto? La logica capitalista non si fa carico di questo genere di problemi. Se l’operaio dovesse ammalarsi e morire, sarebbe semplicemente sostituito da un altro.
Naturalmente entra comunque in gioco la questione della redistribuzione a favore dei lavoratori del plusvalore da essi generato, così da poter scegliere nel caso della propria alimentazione il tipo di prodotti cui fare riferimento, senza essere costretti a raccoglierli nei triscount.
Altro argomento correlato è quello della coscienza alimentare. Nella misura in cui non si conosce la differenza fra un prodotto e l’altro, la scelta andrà, per necessità di bilancio, su quello più economico, ma senza che ciò divenga motivo di pensiero critico, di rivendicazione salariale e di coscienza politica.
In conclusione, l’agricoltura biologica risulta come il sistema su cui puntare e da promuovere, sia in sede nazionale, sia in quella europea. Se condotta secondo le più efficaci linee guida e alla luce dei costi sommersi di quella convenzionale, essa non risulta meno economicamente efficiente di quest’ultima. Ci consente però di salvaguardare l’ambiente e la salute, due aspetti centrali del bene comune. Infine, uno politica di sostegno e incremento dell’agricoltura biologica può essere un promettente terreno di incontro fra lavoratori salariati e piccoli contadini: due classi che hanno tutto l’interesse ad allearsi.
Bibliografia
1 Ponisio L C et al. (2014) “Diversification practices reduces organic to conventional yeld gap”, Proceedings of the Royal Society B, DOI: 10.1098/rspb.2014.1396.
2 Marx C (1867), Il Capitale, Libro I, sezione IV, Capitolo 13, Editori Riuniti, Roma.
3 Marx C (1984) , Il Capitale, Libro, III, sezione VI. Capitolo 46, Editori Riuniti, Roma.
4 Barański M. et al. ( 2014), “Higher antioxidant and lower cadmium concentrations and lower incidence of pesticide residues in organically grown crops: a systematic literature review and meta-analyses”, Br J Nutr.; 112(5): 794–811.
5 Key T J (2002), “The effect of diet on risk of cancer” Lancet ; 360; 861-868.