di Alessia Montuori
Tre sono i fattori che hanno cambiato il corso degli avvenimenti nella battaglia a difesa della città di Kobanê, fino a due mesi fa sconosciuta ai più, e già condannata ad essere espugnata e martirizzata dall'esercito del cosiddetto “Stato Islamico”: l'eroica resistenza delle YPG e YPJ (le Unità di difesa del Popolo, e le Unità femminili); la catena umana al confine fra Siria e Turchia che ha documentato in più occasioni il supporto e l'appoggio di quest'ultima ai gruppi di combattenti dell'ISIS, infine la mobilitazione del movimento e della diaspora curda in Turchia, Iraq, Iran e nel resto del mondo (specialmente in Europa). Tre fattori che hanno avuto la capacità di rimettere in discussione equilibri e posizioni consolidate della politica in Medio Oriente.
Per questo dobbiamo essere tutti grati a Kobanê e al Rojava: il confederalismo democratico indicato dal Presidente Öcalan come soluzione alla questione curda e ai conflitti “etnici” del Medio Oriente non è più un tabù, e dovrebbe bastare a convincere dell'opportunità di togliere il PKK (Partito dei Lavoratori
del Kurdistan) dalla lista delle organizzazioni terroristiche. La battaglia per Kobanê e per il Rojava non si esaurirà in tempi hollywoodiani, due ore di azione con
qualche episodio cruento ma poi lieto fine e via. Durerà a lungo. E l'attenzione internazionale calerà.
Ma le cose non saranno più come prima. I curdi siriani hanno mostrato che la loro scelta di una “terza via” nel conflitto è stata una scelta limpida e coerente. Una scelta che ha però comportato un elevato prezzo da pagare, ossia il fatto di essere attaccati da tutti. Questi tutti che ora si sentono in diritto e in dovere di dire loro da che parte stare, contro chi combattere, con chi allearsi. I curdi sanno bene che il limitato intervento della coalizione nasconde altri interessi, ma per evitare che si compia un crimine contro l'umanità come a Srebrenica nell'inazione della “comunità internazionale”, servono armi, e pubblicamente le hanno chieste. Le bugie su altre armi che sarebbero arrivate dal governo siriano sono state smentite dalle YPG/YPJ, e il “diktat” di Erdogan che imponeva alle YPG di combattere Assad insieme a ciò che rimane dell'Esercito Siriano Libero è stato rispedito al mittente da Salih Muslim, co-presidente del PYD. Le YPG hanno confermato che da tempo alcune brigate dell'esercito Siriano libero combattono già al loro fianco per la difesa di Kobanê, e hanno accolto calorosamente l'arrivo dei pochi peshmerga curdo-iracheni inviati da Barzani che la Turchia ha dovuto far passare dal suo territorio.
Riconoscere il Rojava, togliere il PKK dalla lista “nera”, proseguire il negoziato con Öcalan: Kobanê ci mostra come questa “utopia” sia praticabile, e come sia anche l'unica possibilità di pace e di stabilità per tutta l'area; un'utopia che può fungere da esempio anche per la nostra Europa, che a volte sembra ormai
rassegnata alla sconfitta di fronte agli interessi del capitale.