TRIPOLI. La storia ci racconta anche dettagliatamente cosa è stata e cos’è la Libia degli ultimi anni. Un agglomerato di città, deserto, giacimenti petroliferi, interessi internazionali, lotte tribali, centri per rifugiati in arrivo dal centro e sud Africa, violenze e disumanità. Adesso, in quella che ogni giorno si può definire una guerra, le forze governative di unità nazionale (GNA), riconosciute dall’ONU, annunciano controffensive contro l’esercito delle forze ribelli guidato dal settantacinquenne Khalifa Haftar, militare libico fuggito nel 1987 e divenuto cittadino statunitense. Il governo ha affidato la difesa al colonnello Mohamed Gnounou. Lui ha dichiarato ad Al-Jazeera Tv che vuole “eliminare la presenza di aggressori e forze illegittime da tutte le città della Libia”. L’operazione ha un nome: si chiama “Vulcano di rabbia”. Intanto il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo insiste sullo stop immediato alle operazioni militari, la presidenza Trump ha già in programma altri interventi armati: il sud America è più facilmente raggiungibile.
Gli scontri che sono alle porte della capitale hanno già lasciato decine di morti, secondo le fonti del governo di Al-Serraj. La controffensiva del GNA ha consentito di riprendere l’aeroporto di Tripoli, mentre il capo dei ribelli, lo statunitense Haftar, ha lanciato razzi sulla città. Il generale “traditore” non ha comunque trovato l’appoggio delle città militari di Misurata e Zintan. È stato proprio da Misurata che è partito un attacco alle forze di Haftar da Est, a 50 km da Tripoli.
Nel frattempo The Libya Observer ha evidenziato come l’Eni abbia deciso di evacuare il proprio personale italiano dal Paese. Oltre a Eni, tutte le imprese italiane associate a FederPetroli hanno già fatto evacuare tutto il personale per motivi di sicurezza. C’è da dire che numerose aziende di dimensioni medie e piccole avevano chiuso gli uffici già da giorni. Qui si respirava già un clima di escalation della violenza. Qualcuno si domanda da giorni: e a Roma che cosa si sta facendo?
Il consiglio presidenziale del GNA ha convocato l’ambasciatrice francese in Libia Béatrice du Hellen per protestare contro il collegamento tra Haftar e la Francia. Secondo fonti di The Libya Observer il governo sospetta che dalla Francia sia partito il via libera all’operazione di Haftar.
Il presidente del consiglio italiano Conte è tornato a parlare del conflitto, ha auspicato che si possa evitare la lotta armata, che in realtà è già in atto da mesi. Conte e, quindi, l’Italia continua a sperare in una “soluzione politica.”. Impossibile: quello che sta avvenendo in Libia non è un’esplosione circoscritta di violenza, ma una vera e propria operazione militare pianificata e sostenuta internazionalmente sia dalla Francia sia dall’Egitto.
E l’Unione Europea? E la rappresentante europea per la politica estera che non c’è, Federica Mogherini? Tutti, nel vecchio continente, dovrebbero avere interesse per i fatti libici, qualcuno indirettamente per la questione migranti che arrivano dai campi di concentramento libici e dovrebbero essere distribuiti un po’ qua e un po’ là, altri per interessi particolari legati agli affari petroliferi (vedi Italia e Francia, in disaccordo). Si sta pensando alle imminenti elezioni e il tema Libia non è ai primi posti dell’Agenda.
Un mese fa la Libia era tornata al Tavolo del Consiglio di Sicurezza ONU, presieduto dalla Francia. In quella riunione Ghassan Salame aveva annunciato una nuova Conferenza nazionale, a cui avrebbero preso parte tutte le tribù. Era stata annunciata la data: dal 13 al 16 aprile nella città occidentale di Gadames. Un annuncio risultato positivo per l’ONU e rispetto al quale il rappresentante del Segretario Generale ONU nel Paese si era dimostrato piuttosto ottimista. Era stata sottolineata l’occasione per un accordo sulla data delle elezioni che sia Fayez al-Serraj, leader del Governo di Unità Nazionale riconosciuto dall’ONU, da una parte e Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica e suo principale rivale, dall’altra, avevano convenuto fossero indette per “preservare l’unità del Paese”.
Al rappresentante permanente di Parigi all’ONU, Francois Delattre, fu domandato lo stato delle relazioni tra il suo Paese e l’Italia, considerate le non poche incomprensioni sulla roadmap del Paese verso le elezioni. L’ambasciatore francese era stato, ci mancava non lo fosse, diplomatico: “Quello che posso dire come rappresentante del mio Paese è che la partnership tra Francia e Italia sulla Libia, come anche su altre questioni, è esemplare. La partnership è sempre più forte, la mia relazione con la collega italiana è all’insegna dell’amicizia”. Insomma due Paesi UE allineati, in piena sintonia e con gli stessi obiettivi. La “conferenza di Parigi” e la successiva “conferenza di Palermo” sarebbero la prova, da parte francese, dell’unità con l’Italia sulla questione libica.
Gli avvenimenti delle ultime ore, però, offrono una lettura diversa: il generale Haftar, da sempre sostenuto, oltre che dall’Egitto e dalla Russia, proprio dalla Francia, dopo aver preso il controllo di Gharian a 100 chilometri da Tripoli, punta sulla capitale. Il Consiglio presidenziale presieduto da Fayez Al Sarraj ha emanato una dichiarazione che definisce gli ordini impartiti da Haftar alle sue truppe “annunci provocatori” e ha proclamato lo stato d’emergenza nel Paese. Secondo il The Libya Observer, l’azione del comandante della Cirenaica non riuscirebbe per l’assenza di alleanze nella regione e per la lontananza dalle rotte di rifornimento. Allora, perché la provocazione militare di Haftar pochi giorni dopo l’ultimo incontro con Al-Sarraj? L’obiettivo è il naufragio della roadmap delineata dalle Nazioni Unite? Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres proprio dalla Libia si è definito “profondamente preoccupato, non c’è spazio per alcuna soluzione militare. Solo un dialogo intra-libico può risolvere i problemi della Libia”. La soluzione, ha ribadito Guterres, “deve essere politica, perseguita attraverso il dialogo”.
Parole che suonano come una beffa. Senza l’assenso delle grandi potenze, infatti, Haftar non potrebbe muovere un dito.