Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista a Salam Alsharif, membro del Consiglio Centrale del Partito della Volontà Popolare, organizzazione marxista-leninista le cui posizioni – da un lato lotta per un cambiamento politico progressista in Siria senza fare sconti al governo e dall'altro di intransigente lotta contro l'aggressione straniera e i gruppi terroristi e di sostegno all'intervento russo – costringono ad abbandonare tutti i dogmi e i tabù presenti in questo dibattito e ad analizzare la realtà siriana da un punto di vista di classe e dialettico.
La prima parte dell'intervista è disponibile a questo indirizzo.
L'intera intervista in PDF è disponibile a questo indirizzo.
D] Come valutate il ruolo dell'intervento russo nel conflitto e come ha contribuito a cambiare la situazione sul terreno?
[R] Comprendere il ruolo russo presuppone la comprensione della portata e del potenziale della crisi siriana. La Siria è il tassello centrale della stabilità geopolitica dello spazio regionale che si estende dal Mediterraneo orientale fino al Caucaso e al Mar Caspio. Il crollo dell'apparato statale siriano o la divisione della Siria genererebbero dei movimenti tettonici della geopolitica regionale che investirebbero la stessa Russia.
Di conseguenza, la Russia interviene per difendere la propria sicurezza nazionale e unità territoriale. La Russia si trova costretta a contenere il terrorismo fascista in Siria adottando una strategia difensiva proattiva, prima di trovarsi obbligata a difendersi passivamente all'interno delle proprie frontiere, sapendo bene che oltre cinquemila militanti del Caucaso (senza parlare di quelli provenienti dall'Asia centrale) combattono in Siria con l'ISIS e Al Nusra (in particolare in posizioni di rilievo nella gerarchia interna di quei gruppi). Proprio come la vittoria del fascismo in Spagna, se il fascismo vincerà e s'insedierà in Siria , la pace mondiale sarà messa in pericolo su larga scala.
Concretamente, il ruolo della Russia è fondato sulla volontà di evitare la ripetizione dello scenario della distruzione della Libia. Sin dall'inizio, la Russia ha insistito perché si desse luogo a una soluzione politica della crisi e perché i siriani, regime e opposizione, si sedessero intorno a un tavolo per trovare un accordo sulle riforme e i cambiamenti necessari nel regime politico. Globalmente, la Russia e la Cina volevano anche mettere fine all'interventismo occidentale, che mobilita il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, mirante al "cambio dei regimi" a immagine degli interessi degli Stati Uniti. Questo spiega i tre veti consecutivi russocinesi, dal 2011 ad oggi, per impedire la ripetizione dello scenario libico.
Contrariamente all'idea promossa dalla propaganda, la Russia non sostiene Assad: semplicemente rifiuta l'interventismo occidentale nella crisi siriana. La Russia mantiene un'apertura e delle buone relazioni con la grande maggioranza dei gruppi dell'opposizione siriana. La parola chiave della visione e delle pratiche russe in Siria è che non esiste che un'uscita politica a questa crisi. Quel paese è stato la potenza promotrice di varie iniziative per uno sbocco politico in Siria: il comunicato Ginevra I nel 2012, la conferenza di pace di Ginevra II nel 2014, le conferenze di Mosca I e II nel 2015 tra opposizione e regime e infine la conferenza di Ginevra III nel 2016.
Alla fine di settembre del 2015, la Russia ha dato inizio alle sue operazioni militari in un momento assai delicato e cupo, con l'obiettivo da un lato di impedire lo sfascio dello Stato siriano respingendo i gruppi terroristi e neofascisti, e dall'altro di ridare fiato alla soluzione politica strangolata dagli USA dai loro satelliti regionali.
Questi obiettivi sono stati realizzati. ISIS, Al Nusra e gli altri gruppi neofascisti sono stati respinti. A livello politico, la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU è stata conclusa dopo che gli USA e l'UE hanno annunciato per la prima volta che il ritiro immediato di Assad non era più una condizione pregiudiziale per una soluzione politica in Siria. Era una contraddizione di termini desiderare una soluzione politica rivendicando contemporaneamente il ritiro immediato di Assad. La soluzione politica è per definizione un compromesso e non la vittoria di una parte o dell'altra, non imporre politicamente quello che non si è riusciti a imporre militarmente. Ma fino ad ora alle parole non sono seguiti i fatti.
In sintesi, la Russia cerca di unificare gli sforzi e stabilire un'alleanza internazionale che cooperi con le forze locali per combattere i gruppi neofascisti, a immagine dell'alleanza tra l'URSS e gli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo gli USA continuano ad ostacolare questa linea, come dimostrano gli avvenimenti più recenti.
Questo può essere spiegato da: (i) la crisi economica che ha ridotto le risorse destinate agli affari esteri e alle forze armate, (ii) l'incapacità degli USA di realizzare i loro obiettivi in Siria e nella regione con mezzi politici ed economici, (iii) il rafforzamento e il ritorno sulla scena internazionale di potenze internazionali - la Russia e la Cina - e regionali - soprattutto l'Iran - (iv) la ridefinizione delle priorità geopolitiche per gli USA. In un simile contesto, il centro imperialista preferisce, per il momento, una guerra indiretta prolungata con i suoi avversari. Ma il PVP ritiene che ciò non durerà a lungo e che i rapporti di forza internazionali e regionali s'imporranno.
[D] Come hai accennato, gli Usa hanno chiesto più volte come precondizione la rimozione del presidente Assad. Qual è la vostra posizione in proposito?
[R] Il PVP fa appello a una soluzione politica senza alcuna condizione pregiudiziale. Né il ritiro di Assad né la sua permanenza al potere devono essere poste come condizioni pregiudiziali. Tutte le parti siriane devono sedersi a un tavolo e discutere di tutti i temi senza tabù né pregiudiziali. In ogni caso gli USA hanno cambiato posizione su questo punto in seguito alle operazioni militari russe in Siria.
[D] La questione curda è uno degli elementi più spinosi del conflitto e fa molto discutere anche nella sinistra occidentale. Come valutate la posizione dei combattenti curdi nel conflitto?
[R] Purtroppo il dibattito è spesso dominato da posizioni sempliciste e riduzioniste. A un estremo ci sono quelli che negano l'esistenza stessa del popolo curdo e di una questione curda. All'altro estremo ci sono quelli che non elaborano questa questione se non a livello etnico, strumentalizzando l'ingiustizia che subiscono i curdi in certe regioni contro gli interessi stessi di quel popolo e di tutti i popoli della regione.
Innanzitutto occorre sottolineate che i nostri compagni partecipano all'esperienza dell'autogestione nel nord della Siria. In più, alcuni gruppi militari che combattono gomito a gomito con l'YPG partecipano all'alleanza promossa dal PVP, il Fronte Popolare per il Cambiamento e la Liberazione. Il PVP considera quell'esperienza come un esempio da seguire di auto-organizzazione del popolo nella lotta contro il fascismo terrorista.
Il PVP difende il diritto dei popoli a disporre di se stessi, insistendo però su due punti. Il primo è di comprendere che ciò che è in gioco oggi è il futuro di tutti i popoli della regione e non di un popolo solo. Dunque, il diritto all'autodeterminazione deve essere concepito in una maniera comprensiva, includente tutti i popoli interessati della regione. Ciò comprende il diritto del popolo siriano a una scelta libera e sovrana circa la forma del suo regime politico, indipendentemente da ogni influenza straniera.
In secondo luogo, il principio del diritto dei popoli a disporre di se stessi è emerso nel contesto della lotta contro il colonialismo dei movimenti di liberazione nazionale nei paesi del Sud. Ciò ha assunto la forma della lotta contro le potenze coloniali e della loro espulsione per instaurare indipendenza e sovranità. Oggi, e prima nell'epoca unipolare, gli Stati Uniti utilizzano quello stesso principio come una giustificazione ideologica per le loro strategie miranti alla divisione degli Stati della regione su basi comunitarie per meglio dominarli. Certe forze politiche curde pensano di poter trarre profitto da questa strategia degli USA, permettendo all'imperialismo statunitense ed europeo d'insediare proprie basi militari nel nord della Siria. Una simile applicazione del principio del diritto dei popoli all'autodeterminazione ne contraddice lo spirito e la funzione storica.
La questione curda è una questione regionale e non unicamente siriana: essa esiste anche in Turchia, Iraq e Iran, ma con differenti configurazioni. Dunque, da una parte ciò che funziona per trattare la questione curda in Turchia non funziona per la Siria, l'Iran o l'Iraq (e viceversa), e d'altra parte non esiste nessuna soluzione parziale percorribile per questa questione soprattutto in Siria (ne è una dimostrazione l'intervento militare turco per spezzare il Rojava). Il PVP ritiene il progetto di federalismo nel nord della Siria irrealistico. La questione curda può condurre a una guerra di prossimità nella quale saranno coinvolte forze internazionali e regionali. Una guerra ancora più ampia e intensa che la guerra in Siria, capace d'includere conflitti turco-curdi, arabo-curdi, persiano-curdi e infine curdo-curdi.
Sul piano nazionale, il PVP difende l'unità e l'integrità territoriale della Siria con un decentramento amministrativo includente, ma quest'ultimo non deve assolutamente essere operato su basi etniche o comunitarie. Il PVP difende un modello democratico che garantisca l'unità del popolo e dei territori siriani e che permetta che il "sociale" sia il fulcro del dibattito politico. Un modello fondato sulla democrazia degli attori politici nazionali trans-comunitari, e non una democrazia intercomunitaria (che si tratti di comunità religiose, settarie o etniche). Quest'ultima significherebbe una ripartizione della ricchezza su criteri settari e/o etnici, una ripartizione tra differenti gruppi a detrimento dei poveri che sarebbero usati come pedine nella rapina delle loro stesse ricchezze (sull'esempio del Libano e dell'Iraq dopo l'occupazione statunitense).
Il federalismo su basi etniche condurrebbe alla divisione dei popoli di regioni la cui storia e il destino sono gli stessi. Il PVP ritiene che questo sia un obiettivo non rivoluzionario.
D'altro canto, il PVP chiede che vengano riconosciuti e sviluppati tutti i diritti culturali dei curdi siriani.
A livello regionale, il PVP avanza un progetto d'integrazione sociale, politica ed economica che si estenda dal Mediterraneo orientale al Mar Caspio, che noi chiamiamo del Grande Oriente. Un progetto d'integrazione che favorisca gli interessi sociali dei popoli della regione e non quelli delle loro classi dirigenti corrotte. Un progetto che allarghi l'orizzonte delle lotte sociali comuni dei popoli della regione e non la guerra dei poveri contro i poveri tra i movimenti nazionalisti della regione, siano essi arabi, turchi o curdi. Un progetto che recuperi e rafforzi l'indipendenza e la sovranità e non un progetto di dipendenza che produca Stati comunitari che si massacrino a vicenda in guerre di prossimità per conto delle potenze mondiali e regionali.
La questione curda è una delle questioni più complesse nell'area. La regione che si estende dal Mediterraneo al Mar Caspio costituisce una sfera economica, politica e militare comune da più di mille anni. Le caratteristiche principali delle relazioni dei popoli della nostra regione sono la fratellanza, la storia comune e l'integrazione, mentre l'eccezione è rappresentata dalla situazione di separazione e disintegrazione imposta dalle potenze coloniali e dalle loro estensioni locali.
Note:
Alessio Arena è Segretario di Fronte Popolare Francesco Delledonne è il Responsabile Relazioni Internazionali di Fronte Popolare