Guerra contro la Siria, resistenza, soluzione politica: il punto di vista del Partito della Volontà Popolare (prima parte)

Prima parte dell’intervista a Salam Alsharif, membro del Consiglio Centrale del Partito della Volontà Popolare.


Guerra contro la Siria, resistenza, soluzione politica: il punto di vista del Partito della Volontà Popolare (prima parte) Credits: Logo del Partito della Volontà Popolare (kassioun.org)

Da oltre sei anni la Siria è bersaglio di una vera e propria aggressione da parte delle principali potenze imperialiste occidentali e delle monarchie arabe che, utilizzando come manovalanza migliaia di terroristi islamici, mirano alla distruzione, smembramento e sottomissione della Siria, un Paese che da decenni – pur tra alterne vicende – rappresenta un ostacolo alle mire imperialiste e sioniste nella regione.

Con questa intervista vogliamo far conoscere in Italia l'originale e interessante posizione politica di un'organizzazione siriana poco conosciuta con cui Fronte Popolare ha da poco iniziato un legame, il Partito della Volontà Popolare. Organizzazione marxista-leninista le cui posizioni - da un lato di lotta per un cambiamento politico progressista in Siria senza fare sconti al governo e dall'altro di intransigente lotta contro l'aggressione straniera e i gruppi terroristi e di sostegno all'intervento russo - costringono ad abbandonare tutti i dogmi e i tabù presenti in questo dibattito e ad analizzare la realtà siriana da un punto di vista di classe e dialettico.

L’intervista completa è disponibile in formato pdf qui   INTERVISTA COMPLETA

[D] Il vostro partito è una forza relativamente recente nella politica siriana. Salam Alsharif, potresti spiegare quali sono le origini dell'organizzazione e i suoi obiettivi?

[R] Il Partito della Volontà Popolare (PVP) nasce dal movimento comunista siriano, che è il più antico del paese essendo stato fondato nel 1924. È erede delle tradizioni rivoluzionarie dei comunisti e di tutte le forze progressiste siriane. La presenza del PVP si estende, storicamente e attualmente, in tutta la Siria e si va approfondendo.

Il PVP basa la sua lotta sul postulato secondo il quale la restaurazione del ruolo funzionale del partito necessita di un "ritorno del partito alle masse popolari", la cui condizione è nel "ritorno di quelle masse nelle piazze". Questo ritorno si realizza nel quadro delle ondate dei movimenti popolari nella regione a partire dal 2010. Il PVP colloca queste ondate nel contesto dell'attuale fase storica di sviluppo del capitalismo, una fase marcata da una crisi senza precedenti e da un innalzamento accelerato dell'attivismo politico delle masse a livello mondiale non solo nella nostra regione. Il percorso del PVP è fondato su un'analisi della crisi del capitalismo che prevede una fase d'esplosione che potrebbe essere finale e globale, se le condizioni soggettive dovessero maturare.

L'attuale crisi del capitalismo sta superando la sua fase economica, per entrare in uno stadio di crisi politiche, tanto nella nostra regione come in Europa e in tutto il mondo. Ciò si traduce in un cambiamento radicale con il sopraggiungere di nuovi attori politici e/o il tramonto delle sfere politiche preesistenti e dei loro attori tradizionali. Questi ultimi incontrano crescenti difficoltà, anche a "sinistra", ad adattarsi alla nuova dinamica sociale, soprattutto per quanto concerne lo sviluppo di una relazione sana con le differenti componenti delle forze potenziali del cambiamento, alla testa dei movimenti sociali emergenti. La crisi attuale del capitalismo afferma l'inizio dell'aprirsi di un orizzonte storico per il polo antagonista, il polo dei popoli e dei lavoratori.

Lo sviluppo della crisi siriana conferma questa lettura. Malgrado le drammatiche conseguenze che fanno di questa crisi la peggiore tragedia dalla Seconda Guerra Mondiale, essa ha reso manifesto il declino accelerato degli USA e dell'UE come centri politici ed economici del capitalismo e la loro debolezza per quanto concerne la capacità di agire per difendere i loro interessi imperialisti.

[D] Qual è la situazione nel Paese, dopo sei anni di guerra civile e intervento straniero?

[R] Quella vissuta dalla Siria può essere qualificata come una guerra internazionale e regionale, piuttosto che come una guerra civile. Certamente dei siriani fanno parte del conflitto armato, ma essi non superano l'1% della popolazione siriana (mentre operano in territori siriano combattenti provenienti da oltre 80 paesi), ed essi dipendono da forze regionali e internazionali.

In Siria si scontrano due mondi. In effetti, in Siria è in gioco la pace a livello mondiale su larga scala, quella in cui si scontrano le forze della guerra e quelle della pace a livello internazionale. Le prime sono rappresentate dal mondo unipolare statunitense, che si trova nella sua fase di decadenza perché le sue basi materiali sono erose. Le seconde sono rappresentate dal mondo multipolare in fase ascendente, in cui la sovranità dei paesi e dei popoli è affermata e l'intervento esterno, soprattutto quando unilaterale, è condannato. Malgrado i disastri provocati dalle forze internazionali della guerra, le forze della pace sono riuscite a scongiurare in Siria lo scenario peggiore, rappresentato dal ripetersi della tragedia libica o irachena.

Il cammino verso la pace non è privo di ostacoli, ma si stanno facendo passi avanti in quella direzione e anche rapidamente, malgrado l'ultimo bombardamento statunitense contro la Siria e l'aumento della tensione politica che ne è seguito. I fondamenti di uno sbocco pacifico della crisi si stanno sviluppando. Un processo politico comincia a delinearsi sotto l'egida dell'ONU per applicare la risoluzione 2254, adottata alla fine del 2015.

Quella risoluzione costituisce un punto nodale nell'evoluzione della crisi siriana perché riconosce l'unità, l'integrità territoriale e la laicità della Siria. Essa delinea un processo di transizione politica diretta dai siriani, nella quale tutti i gruppi d'opposizione siriani siano rappresentati (e non soltanto l'opposizione fantoccio dell'occidente, della Turchia e dell'Arabia Saudita). Il PVP ritiene che la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sia una traduzione dei cambiamenti dei rapporti di forza internazionali a sfavore degli interessi statunitensi. Per applicare la risoluzione si sono tenuti quattro cicli di negoziazioni tra i diversi gruppi di opposizione, noi compresi, e il regime.

Parallelamente, la Russia con la Turchia e l'Iran hanno firmato un accordo finalizzato a stabilizzare la situazione della sicurezza nel Paese, in seguito al quale è entrato in vigore un cessate-il-fuoco. Tra la fine del 2016 e l'aprile del 2017, si sono tenute tre riunioni tra questi paesi e le parti siriane, aventi l'obiettivo di mantenere e rafforzare il cessate-il-fuoco.

La soluzione politica è l'arma strategica per combattere il terrorismo fascista, perché essa permette di unificare tutti i siriani contro quest'ultimo. La soluzione politica aprirà la via a una rapida ricomposizione di tutte le forze politiche, dalla parte del regime come da quella dell'opposizione. Questa soluzione è in marcia, malgrado i tentativi di bloccarla da parte di forze internazionali, in particolare degli USA, e regionali, soprattutto Arabia Saudita e Israele.

[D] Qual è la vostra posizione riguardo i disordini del 2011 e le varie forze che si sono rivoltate contro il governo?

[R] All'esplosione della crisi siriana, il PVP ha partecipato al movimento popolare pacifico dell'epoca, nel corso del quale diversi compagni sono caduti e altri sono stati imprigionati. Il PVP ha messo in guardia contro le conseguenze della risposta securitaria del regime, una risposta che diventerà più tardi militare. Allo stesso modo abbiamo rifiutato la militarizzazione e l'armamento del movimento popolare pacifico. ‬‬‬‬Sin dall'inizio della crisi, il PVP ha chiamato al dialogo perché prima o poi ci si dovrà tornare, mantenendo e sviluppando il dinamismo del movimento popolare pacifico come solo garante di un cambiamento profondo. Conseguentemente, il partito ha partecipato a tutti gli avvenimenti - a livello nazionale, regionale e internazionale - finalizzati alla ricerca di una soluzione politica attraverso il dialogo e la negoziazione, che permettessero la fine dello spargimento di sangue dei siriani. Più specificamente, il PVP ha partecipato alla conferenza consultiva del 2011, alle due conferenze di Mosca e infine ai quattro cicli di Ginevra 3, tenendo presente che il partito è stato escluso da Ginevra 2, cosa che ha contribuito al suo fallimento.

Il Partito è conosciuto sulla scena politica siriana come una forza d'opposizione patriottica basata soprattutto all'interno: patriottica nel senso che il PVP si oppone al regime e alle sue politiche come all'intervento imperialista nel processo di cambiamento sociale a livello nazionale. I casi dell'Egitto, della Tunisia, della Libia e altri ancora insegnano che occorre puntare a cambiamenti seri, radicali nella struttura del regime, senza accontentarsi di cambiare il presidente per conservare il regime intatto.

L'insurrezione popolare era una prevedibile conseguenza delle politiche economiche liberiste attuate dal regime siriano in maniera persistente e molto accelerata nell'ultimo decennio. Le "raccomandazioni" del FMI, dell'Unione Europea e del WTO sono state attuate per quanto concerne la privatizzazione, la liberalizzazione dei prezzi (i prezzi sono più che triplicati nel periodo 2006-2009), la soppressione delle sovvenzioni economiche, la liberalizzazione commerciale, la deregolamentazione finanziaria, ecc. Ciò ha provocato il collasso dei settori produttivi, soprattutto a livello dell'agricoltura, con un esodo di massa dalle zone rurali che ha portato milioni di contadini ad ammassarsi nelle periferie delle città. Il numero dei piccoli contadini si è ridotto di due terzi tra il 2006 e il 2010. Alla vigilia dell'insurrezione, il tasso di disoccupazione era superiore al 30%, il 44% dei siriani viveva sotto la soglia di povertà e il 30% poco sopra.

Parallelamente, il livello di libertà democratiche era troppo basso, il diritto di sciopero represso, senza parlare degli arresti politici. In più, la politica di discriminazione verso i curdi siriani non è mai stata abbandonata: il problema del "censimento eccezionale" ingiusto del 1962 non è stato risolto.

La distinzione tra fattori "interni" ed "esterni" dell'esplosione della crisi e del suo decorso è utile, soprattutto per quanto riguarda la politica nazionale. Come attore politico interno, il PVP insiste nell'individuare il regime siriano come il principale responsabile di questa crisi e del suo decorso (altrimenti si cade facilmente nel fatalismo nei confronti dei fattori "esterni"). Tuttavia, questa distinzione ha un portato analitico e politico limitato dal punto di vista più globale, che tenta di collocare la crisi siriana nel contesto dello sviluppo globale del capitalismo e della sua crisi attuale. Analizzando le condizioni socio-economiche della Siria prima della crisi, non bisogna mai dimenticare che è il capitale finanziario transnazionale ad aver imposto le politiche neoliberiste, attraverso istituzioni come il FMI, il WTO, il "partenariato" Euro-Mediterraneo, appoggiandosi sulle classi parassitarie e burocratiche locali nella periferia capitalista. Il ruolo nefasto degli USA e dell'UE come centri politici ed economici del capitale finanziario transnazionale, in Siria risale a ben prima dell'esplosione della sua crisi.

Queste condizioni politiche e socio-economiche non sono limitate alla Siria. Sono i fattori geopolitici che hanno determinato il percorso estremamente distruttivo della crisi siriana.

In effetti, a fronte in primo luogo della crisi di egemonia che vivono gli Stati Uniti come centro imperiale del capitale finanziario e in secondo luogo all'emersione di movimenti popolari e sociali in una regione di primaria importanza geostrategica, i cui popoli hanno assai poca simpatia per gli USA e le loro politiche, a fronte di tutti questi fattori e altri ancora, gli USA e l'UE hanno progettato un disegno di ridefinizione della carta geografica della regione, dividendola su basi etniche, religiose e comunitarie. Ciò permetterebbe di stabilire un sistema di stati deboli e di clientele, in cui ci si uccida in una guerra combattuta per procura.

Purtroppo il movimento popolare e pacifico è stato rapidamente spossessato e strumentalizzato. Gli USA, l'UE e i loro alleati regionali hanno fatto di tutto sin dal principio per trasformare la lotta sociale in scontro tra comunità, con il fine di sviare i movimenti popolari dal sentiero del cambiamento sociale e democratico e farne un proprio strumento nella loro prospettiva di lotta geopolitica contro le potenze emergenti, sia a livello mondiale come è il caso soprattutto della Russia, sia a livello regionale, in particolare contro l'Iran. Occorre sottolineare che la preoccupazione dell'occidente non è tanto il regime siriano, ma l'esistenza stessa della Siria come unità politica e territoriale.

Tutto ciò si è concretizzato negli sforzi sistematici successivi da parte degli Stati Uniti, dell'UE e dei loro alleati regionali: il rifiuto di una soluzione politica alla crisi, la militarizzazione del movimento popolare, le sanzioni economiche, l'ostacolo permanente al coordinamento internazionale e regionale per combattere efficacemente il terrorismo.

La risposta securitaria del regime siriano alle contestazioni sociali ha spianato la strada all'interventismo occidentale, e quest'ultimo è stato usato per giustificare una risposta militare del regime col pretesto dell'intervento imperialista e della lotta contro il terrorismo. Occorre qui notare che per tutto il corso della crisi le azioni dell'uno hanno rafforzato quelle dell'altro, producendo una spirale distruttiva.

L'occidente ha fatto di tutto per bloccare una via politica verso la soluzione della crisi siriana, spingendo verso l'aggravamento delle tensioni principalmente attraverso l'internazionalizzazione della crisi e l'armamento del movimento popolare.

In più, le sanzioni economiche, passate sotto silenzio anche dalla "sinistra radicale" europea, hanno giocato e giocano un ruolo catalizzatore della dinamica distruttiva. L'Unione Europea era il primo partner commerciale della Siria, la cui economia nazionale è fortemente dipendente dalla vendita del petrolio all'Europa. Uno studio condotto da un istituto danese per gli studi internazionali ha tratto il bilancio di quelle sanzioni, e soprattutto delle sanzioni europee: la disoccupazione è raddoppiata, i prezzi sono triplicati nel 2012 mentre i salari calavano, si sono applicate restrizioni sulle rimesse di denaro dai migranti e il crollo degli utili dello Stato ha generato un degrado dei servizi pubblici. Si sono avute interruzioni quotidiane dell'energia elettrica, ma soprattutto le sanzioni si applicano anche alla sanità e all'importazione di medicinali. Ufficialmente le sanzioni miravano a punire il potere politico, ma quest'ultimo non ne è toccato. Le sanzioni hanno preso in ostaggio la popolazione, affamandola al punto che essa sarebbe pronta a tutto per sopravvivere, e pronta ad accettare ogni tipo di uscita dalla crisi.

Mentre il popolo siriano s'impoverisce e l'occupazione viene distrutta dalle sanzioni europee, il solo impiego fiorente resta quello nelle milizie paramilitari, da parte governativa come d'opposizione. Si tratta di un moto complementare. Si deve riflettere sul numero di persone affamate che si sono unite all'ISIS, ad Al Qaeda e ad altri, solo per poter sopravvivere e nutrire le loro famiglie. Le sanzioni economiche spianano la strada al terrorismo.

Altro elemento: è ben noto ormai che la politica dell'occidente imperialista è la principale responsabile dell'emersione del "terrorismo" nella regione, ma ciò che non è ancora riconosciuto è che esso continua a rifiutare di combattere seriamente il terrorismo.

Infine, malgrado il rumore assordante della guerra sia più alto che la voce del movimento popolare in Siria oggi, il PVP non ha nessun dubbio che il movimento popolare tornerà presto a emergere nella misura in cui il processo politico avanzerà e la guerra andrà estinguendosi.

L’intervista completa è disponibile in formato pdf qui   INTERVISTA COMPLETA


Note:
Alessio Arena è Segretario di Fronte Popolare
Francesco Delledonne è il Responsabile Relazioni Internazionali di Fronte Popolare

13/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Logo del Partito della Volontà Popolare (kassioun.org)

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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