La fine del disastroso anno 2020 ha coinciso in Brasile con la sospensione del piano del governo che prevedeva aiuti alle fasce di lavoratori più colpiti dalla crisi (precari, autonomi, disoccupati), nell’illusione che la pandemia da coronavirus fosse ormai alle spalle e con essa i suoi disastrosi effetti economici. La motivazione ufficiale addotta da Bolsonaro è però legata al fatto che non ci sarebbe spazio sufficiente nel bilancio dello Stato per poter “sforare” ulteriormente le mete fiscali di deficit, rendendo così impossibile una sua estensione, nonostante vari parlamentari di opposizione facciano pressione in tal senso.
Il termine degli aiuti avviene nel mezzo di una fortissima seconda ondata di casi da coronavirus, che hanno portato gli ospedali a riempirsi anche di più che nella prima ondata e il numero dei morti a crescere sensibilmente, superando la terribile quota di 200 mila, nonostante il ridotto numero di tamponi utilizzati. Va tenuto presente che il numero di persone che hanno beneficiato di questo programma emergenziale da marzo a dicembre è di quasi 70 milioni di persone, il che ha permesso, almeno temporaneamente, che decine di milioni di persone non cadessero in povertà. Nonostante i limiti, e le contraddizioni, tale sistema ha funzionato da effetto tampone per contenere gli effetti della crisi economica, che si preannuncia devastante.
Le dimensioni di essa, non ancora definite, saranno probabilmente amplificate dal combinato disposto che unisce crisi sanitaria e crisi economica, che in un paese il cui governo ha sempre privilegiato l’economia a scapito della salute, non potrà che essere molto consistente, visto che l’economia non da il minimo segno di ripresa e, anzi, la Ford, tra le principali industrie straniere installate in Brasile, ha già dichiarato che a breve chiuderà tutti i siti produttivi nel paese, lasciando solo qualche polo tecnologico di ricerca e sviluppo. Allo stesso modo, la principale banca brasiliana ha annunciato 5.000 licenziamenti.
Un altro problema rilevato dagli economisti è il crescente indebitamento delle famiglie, che per sopravvivere hanno dovuto prendere prestiti, utilizzando le tariffe agevolate per i membri pensionati della famiglia, riducendo così però la loro già magra rata di pensione.
Il governo appare in ogni caso spaccato in due tronconi: da un lato i neoliberali capeggiati da Paulo Guedes, l’attuale ministro dell’economia, dall’altra i militari. Mentre i primi difendono un severo programma di austerità fiscale, per attrarre investimenti speculativi, anche se ciò costa la povertà di grandi fasce della popolazione, i secondi difendono l’esistenza di una quota di investimenti pubblici, per garantire il capitalismo burocratico interno e mantenere i lavoratori sotto il ricatto di programmi assistenziali che bastano appena per sopravvivere ma evitano le rivolte. Per questo motivo i militari hanno difeso l’introduzione del reddito d’emergenza, esattamente per paura di perdere il controllo dell'ordine pubblico, visti i probabili saccheggi ai supermercati causati dalla crescente fame.
A tutto il quadro descritto vanno a sommarsi le montanti tensioni di un quadro politico di potere in estrema crisi di consensi ed esplosivo, causato dalla fine della “Lava-Jato”, operazione anticorruzione, ma in realtà degenerata presto in una crociata ideologica contro la sinistra opportunista del Pt, senza che all’orizzonte vi siano reali possibilità di cambiamento.
Per il resto, mentre in molti paesi sono già cominciate le vaccinazioni, compresa la vicina Argentina, il piano brasiliano è praticamente fermo per l’incapacità di comprare siringhe e cotone sufficienti per le iniezioni, ma soprattutto per la totale assenza di un piano di priorità su chi dovrà vaccinarsi e come, a parte sterili ipotesi come quella avanzata dal militare ministro della salute Pazuello di vaccinare tutta la popolazione con la prima dose e solo dopo fare la seconda. Inoltre il Brasile, non avendo propri vaccini, sarà costretto a importarli a prezzi altissimi dalle grandi multinazionali farmaceutiche, visto che il tentativo dell’Oms, in ottobre, di rendere i vaccini liberi da brevetti ha trovato l’opposizione delle grandi potenze mondiali, con il voto contrario anche del ministro degli esteri brasiliano, in un inedito esperimento autolesionista.
Dall’altro lato gli opportunisti alla Joao Doria, attuale governatore dello Stato di San Paolo, il più ricco in Brasile, affermano che cominceranno la vaccinazione di massa entro fine mese; tutto da verificare vista la sua incapacità di fare un piano di tamponi adeguato alla necessità dello Stato più popoloso del paese, di garantire una capillare distribuzione di mascherine e alcool in gel alle fasce più povere del paese e senza avere nemmeno definito un piano di trasporti adeguato a evitare i sovraffollamenti tipici degli orari di punta. Non è riuscito nemmeno a ridurre il numero di morti violente per opera della polizia, che anzi nel 2020 è aumentato nonostante la riduzione del numero dei crimini, raggiungendo il numero di 514 morti, il più alto negli ultimi 20 anni. Meglio non ha fatto il suo collega a Rio de Janeiro, dove più di 20 sono stati i bambini e le bambine feriti in operazioni di polizia, di cui 8 morti, senza peraltro che qualcuno si sentisse in dovere di chiedere scusa. Se questo è l’isolamento sociale previsto per i più poveri e vulnerabili del paese, non c’è evidentemente da stare tranquilli.
La situazione attuale in Brasile non permette di pensare sterili utopie rivolte al passato. Descrivere il paese amazzonico come semplicemente in crisi economico-sanitaria è un eufemismo, quello che si sta vivendo è il totale collasso del sistema politico, legato a una crisi che non ha precedenti nella storia recente del paese. Ma la storia non è finita, da situazioni come queste, così drammatiche, si può uscire solo in due modi: con la totale vittoria della barbarie umana e della devastazione sociale o con una profonda trasformazione della sovrastruttura. Compito dei sinceri democratici e dei rivoluzionari è fare in modo che la seconda opzione prevalga sulla prima.