Divide et Impera: come distruggere lo Stato siriano

Fin dagli inizi degli anni ’80 i piani imperialisti tendenti a garantire la sopravvivenza d’Israele e la sua affermazione nel Grande Medio Oriente prevedevano un radicale processo di balcanizzazione del Mondo Arabo le cui tappe sarebbero dovute essere lo smantellamento dell’Irak, della Siria e del Libano. Da 4 anni la Siria sta resistendo agli attacchi che puntano alla disgregazione della convivenza tra le sue molteplici comunità etnico-religiose, che nella regione rappresentava un raro, se non unico, esempio di laicità.


Divide et Impera: come distruggere lo Stato siriano

Fin dagli inizi degli anni ’80 i piani imperialisti tendenti a garantire la sopravvivenza d’Israele e la sua affermazione nel Grande Medio Oriente prevedevano un radicale processo di balcanizzazione del Mondo Arabo le cui tappe sarebbero dovute essere lo smantellamento dell’Irak, della Siria e del Libano. Da 4 anni la Siria sta resistendo agli attacchi che puntano alla disgregazione della convivenza tra le sue molteplici comunità etnico-religiose, che nella regione rappresentava un raro, se non unico, esempio di laicità.

A cura del Centro d’Informazione, Ricerca e Cultura Internazionale.

Se volessimo sintetizzare la situazione attuale della Siria, potremmo dire senza ombra di dubbio che questo è il momento in cui Sir Mark Sykes e Monsieur François George Pycot, stanno godendo di maggior gloria, anche se postuma. Tra gli attori imperialisti che fanno e disfano le mappe di intere regioni, rispetto a quelli della prima guerra mondiale, si sono aggiunti già da tempo gli Stati Uniti e adesso ci sono di mezzo anche l’Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia, senza dimenticare Israele, ma con la stessa, identica logica, tutti a fare la loro parte per dividere, separare, smantellare lo Stato siriano che vive ormai da più di quattro anni un vero e proprio martirio.

Ancora prima del 2001, proprio ad opera degli Stati Uniti, si comincia con introdurre il concetto programmatico di Grande Medio Oriente (GMO) attraverso un Rapporto (Arab Uman Development) che nelle linee progettuali prospettava l’implosione degli Stati recalcitranti (Irak, Siria, Iran) per trasformarli in una moltitudine di piccoli stati economicamente non autosufficienti ed instabili politicamente, costituiti su base confessionale ed etnica, dopo aver creato le condizioni per realizzare una vera e propria pulizia etnica in tutta la zona mediorientale.

In realtà il precursore degli attuali cambiamenti geostrategici in Medio Oriente è stato uno dei più agguerriti analisti israeliani, un certo Oded Yinon, il quale, nel lontano 1982, sul n° 14 della rivista scientifica Kivumin (Orientazioni), sponsorizzata dalla Word Zionist Organisation, tracciava all’elite sionista e imperialista un programma concreto all’interno del quale inquadrare le aspirazioni dello Stato israeliano, anche e soprattutto alla luce dell’occupazione del Libano e del conseguente smantellamento dell’apparato politico-militare dell’OLP in quel paese. In quell’articolo, Oded Yinon, preconizzò che per la sopravvivenza d’Israele e per la sua affermazione nella regione mediorientale, si sarebbe dovuto intraprendere un radicale processo di balcanizzazione del Mondo Arabo, le cui tappe sarebbero dovute essere lo smantellamento dell’Irak, della Siria e del Libano, facendo leva sulla molteplicità delle comunità etnico-religiose e puntando alla disgregazione della convivenza storica, in particolare in quei paesi che più avevano saputo rappresentarla con il loro esempio di laicità.

Sono questi passaggi che avrebbero permesso alle forze imperialiste di vincere la Resistenza Araba per poter così ridisegnare la mappa dell’intera regione e renderla pienamente conforme agli interessi israelo-statunitensi.

Rispetto all’Irak, per esempio, recentemente persino la Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti USA, fomenta chiaramente la crescita del settarismo affermando di considerare i combattenti kurdi peshmergas e le “fazioni sunnite” come entità indipendenti. In questo modo, i servizi di Washington si evitano di trattare direttamente con il Governo iracheno e possono sovvenzionare tranquillamente i gruppi sunniti e kurdi e addestrare per separato le loro forze senza necessità del consenso del Governo di Baghdad.

La Siria è forse la situazione dove questa operazione appare in pieno in tutta la sua brutalità, andando a distruggere la convivenza in pace di una miriade di confessioni ed etnie che perdurava da secoli. In Siria esistevano non meno di dieci diverse chiese cristiane, a cui vanno aggiunti i sunniti, che sono arabi, i curdi, i circassi o turcomanni, i cristiani non arabi come gli armeni, gli assiri o i levantini, i musulmani sincretisti e quindi non classificabili, come gli alawiti e i drusi.

Per i terroristi delle forze wahabite Daech (Acronimo che indica lo Stato Islamico, SI) i metodi non vanno al di là della pura violenza e dell’annientamento, per quanto riguarda la tattica adottata dal Fronte Al-Nusra, c’è una leggera articolazione che prevede la possibilità di “non eliminare le minoranze, sempre che si mostrino disponibili a convertirsi all’Islam wahabita”.

Questo è quello che dovrebbero fare gli Alawiti, un gruppo sincretico dello Sciismo, o i Drusi che in un’ipotetica Siria retta da un regime islamico fantoccio, vedrebbero proibirsi le visite alle tombe dei loro santi perché questo rappresenta, secondo i wahabiti, una forma di politeismo. Per non parlare dei cristiani che in questo quadro da incubo ricadrebbero nell’obbligo dell’antico califfato islamico di pagare una tassa, jizya, e diventare cittadini di seconda classe.

Questo sempre per le comunità che riuscissero a sopravvivere, perché l’alternativa reale prima ancora della sottomissione è quello di essere espulsi dalle proprie terre e dalle proprie case e di essere sterminati.

La patria del panarabismo è attualmente percorsa in lungo e in largo da orde di jihadisti di ogni genere che fanno passare le pene dell’inferno alla popolazione siriana e che, allo stesso tempo, vengono presentati come dei moderati, degli oppositori democratici del Governo di Assad.

A fine maggio l’Unione Europea ha esteso le sue sanzioni contro la Siria e gli Stati Uniti, da parte loro, hanno incrementato proprio in quei giorni i loro programmi di addestramento degli elementi armati “moderati” che teoricamente dovrebbero lottare contro Daesh, mentre il loro reale obiettivo è quello di abbattere il Governo siriano.

Anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti affermano di appoggiare la guerra contro lo Stato Islamico, ma loro non menzionano mai un altro gruppo terrorista, il Fronte Al-Nusra, che è semplicemente il ramo siriano del movimento terrorista globale Al-Qaida. In tutte le loro dichiarazioni dove si dicono molto preoccupati per l’espansione del terrorismo in Siria, Irak, così come in Kuwait o in Tunisia, non dicono mai che si tratta del terrorismo di Al-Qaida o del suo affiliato, il fronte Al-Nusra.

Eppure si trattava del grande nemico dell’Occidente… l’autore degli attacchi dell’11 settembre! Il motivo e il presunto obbiettivo della “guerra totale” scatenata dagli USA solo pochi giorni dopo!

Peraltro, le divergenze tra lo Stato Islamico e Al Qaida non vanno molto al di là di una presa di distanza di quest’ultima rispetto alla decisione del primo di instaurare un Califfato in Irak e Siria, come dire una divisione dei compiti e al massimo una rivalità di leadership!

Attualmente Al-Qaida sta cooperando apertamente con alcuni alleati statunitensi in Medio Oriente, promuovendo apertamente il terrorismo in Siria. E’ oramai abbastanza chiaro l’intento dei paesi imperialisti, soprattutto degli USA e della Francia, di riprendere la strategia adottata in Afghanistan negli anni ’80 del secolo passato, cioè appoggiare dei gruppi terroristi contro i loro rivali internazionali e regionali senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze per i popoli della regione e neppure, in ultima istanza, per i loro stessi paesi.

La Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar, sono diventati i principali patrocinatori del terrorismo nel mondo. Ciononostante, sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea si sono ben guardati dall’inserirli nella loro famigerata lista nera… dove paradossalmente campeggia invece la Siria.

Dopo aver finanziato e armato un esercito di terroristi di Al-Qaida, creando una situazione di caos che ha permesso l’occupazione da parte dei gruppi dello SI della superficie di un’intera regione, gli Stati Uniti a questo punto sperano di approfittare del caos, per giustificare quello che cercano di ottenere sin dall’inizio del conflitto, una volta che è apparso chiaro che il legittimo Governo siriano non si sarebbe arreso e neppure sarebbe crollato, cioè la stabilizzazione di zone-tampone, le cosiddette “zone di sicurezza” all’interno della Siria.

Una volta create, tali zone potrebbero accogliere direttamente le forze armate statunitensi, che a quel punto occuperebbero letteralmente dei territori siriani, “conquistati” per interposti alleati, siano essi le forze curde e le bande di Al-Nusra nel Nord, o altre milizie operanti lungo la frontiera sirio-giordana nel Sud. Si creerebbero in questo modo, gli embrioni di quegli staterelli su base confessionale o etnica, malleabili e sottomessi, che farebbero così comodo agli interessi imperialisti e contribuirebbero persino a banalizzare l’esistenza dello Stato confessionale israeliano, una contraddizione in termini nell’ambito delle “democrazie occidentali”.

I media turchi da diversi giorni affermano che il Governo di Erdogan stia preparando un’operazione militare in Siria per respingere lontano dalle sue frontiere i “jihadisti” e soprattutto per impedire la progressione delle forze curde che controllano di nuovo gran parte della zona frontaliera con la Turchia. Stiamo parlando delle milizie kurde siriane, vicine al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) che per la seconda volta dall’inizio dell’anno, sono riuscite ad cacciare da Ain al Arab (Kobane) i gruppi terroristi dello SI e a riprendere il controllo di questa zona del nord della Siria, innervosendo e preoccupando il premier Erdogan.

Abbiamo sottolineato che ci si sta riferendo alle milizie kurde siriane, perché se invece dovessimo utilizzare la categoria etnica di “Kurdi”, la posizione rispetto agli attori della destabilizzazione imperialista in Medio Oriente sarebbe molto più contraddittoria ed ambigua. Il dirigente del Kurdistan d’Irak, Massud Barzani, tanto per fare un esempio, ha recentemente dichiarato in un’intervista concessa al secondo canale della televisione israeliana la cui troupe si trovava nella zona dei kurdi in Irak (e secondo il reporter israeliano è stata scortata dai peshmerga durante tutto il soggiorno), che sperava di riallacciare al più presto le relazioni diplomatiche con Israele, come negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, argomentando nel modo seguente: “il regime di Assad pretende che Israele sia un nemico. Con questa posizione procede al lavaggio del cervello contro il suo popolo e lo priva dell’apertura alla democrazia e alla prosperità. Gli Israeliani non sono né dei nemici e neppure rappresentano un pericolo.” (!)

La Turchia è uno dei paesi che più appoggia e finanzia l’aggressione terrorista contro la Siria, offrendo il suo territorio per i campi di addestramento delle bande armate e permettendo il passaggio illegale attraverso la sua frontiera di migliaia di mercenari “jihadisti”, provenienti da ogni parte del mondo. Proprio recentemente l’agenzia Reuter ha rivelato le testimonianze di più di un funzionario, anche della Gendarmeria turca, che asseriscono la responsabilità del servizio di sicurezza turco (MIT) nell’invio sistematico di camion carichi di armi attraverso la frontiera verso il territorio controllato dalle bande terroriste che operano in Siria, che in questo modo ricevono costantemente e si spartiscono i diversi carichi di armi e munizioni. Sono notizie che vengono fuori anche perché l’opposizione in Turchia, rinvigorita dalla sconfitta di Erdogan, condanna unanimemente la sua politica di appoggio ai gruppi terroristi ed anche una buona parte dell’esercito turco condivide questa posizione e si nega a prendere parte ai suoi piani di invasione del Nord-Est della Siria.

Dalla parte opposta, nel Sud della Siria, i gruppi terroristi comandati dalle forze di Al Nusra, proclamavano di aver lanciato l’operazione “Tormenta del Sud” con l’obiettivo di iniziare l’attacco finale a Damasco, la capitale della Siria. Il loro ottimismo derivava da diversi fattori, non ultimo quello di contare sull’appoggio del regime giordano di Abdallah II, una di quelle “nazioni” create a tavolino dopo la seconda guerra mondiale con lo scopo di creare una zona di protezione per Israele, che ha permesso il passaggio di migliaia di militanti armati attraverso le sue frontiere con il Sud della Siria. Per il momento, i sogni della Giordania di vedere incrementato il suo ruolo, praticamente nullo, nella zona mediorientale, si sono infranti a Suweida e Deraa, luoghi dove l’esercito siriano insieme alle Forze di Difesa Nazionale hanno respinto i ripetuti attacchi e inflitto pesanti perdite alle bande armate.

A Ovest di Damasco, lungo tutta la frontiera con il Libano, l’Esercito siriano combatte congiuntamente ai mujahidin della resistenza islamica libanese (Hezbollah). Fin dal 2013 si sono uniti per la liberazione di questa regione strategica, riprendendo il controllo della città cristiana di Maalula, culla dell’aramaico, nell’aprile del 2014. Attualmente hanno ripreso la città di Zabadani, una delle roccaforti dei miliziani “jihadisti” lungo la frontiera con il Libano. Una città parzialmente assediata da più di quattro anni, dove i prodotti alimentari, le medicine e il carburante entravano difficilmente.

Nella parte occidentale della Siria, quella della provincia di Latakia, così come ad Aleppo, quella che era la capitale economica della Siria, i combattimenti continuano incessanti tra l’esercito e i gruppi armati facenti capo al Fronte Al-Nusra. Quello che sta succedendo sempre più spesso è che la partecipazione popolare nella difesa dei territori non sia un fatto occasionale ma invece si organizzi e si estenda per tutto il paese. In differenti zone della Siria si è, infatti, costituita una milizia civile di volontari, che dopo essere stati addestrati dall’esercito, sono stati organizzati in brigate che combattono a fianco dell’esercito siriano nelle Forze di Difesa Nazionale.

Dal momento in cui è risultato chiaro che il Governo siriano non sarebbe capitolato di fronte alle minacce e all’aggressione delle forze imperialiste, questa è la maniera in cui procede la distruzione sistematica e ostinata di un paese sovrano, di una società multietnica e multiconfessionale, del solo Stato laico della regione, che ha – sì - un grande difetto, quello di considerare come valori e conquiste inalienabili, l’indipendenza e l’autodeterminazione.

 

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12/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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