Quanto più il modo di produzione capitalistico è preda delle sue sempre più devastanti crisi strutturali di sovrapproduzione, tanto più accentua le sue caratteristiche imperialiste. Diviene così più aggressivo all’esterno sviluppando politiche di tipo bonapartista e forme di cesarismo regressivo all’interno. Inoltre, temendo un necessario acutizzarsi delle lotte sociali da parte dei ceti subalterni, su cui vengono scaricati gli effetti negativi della crisi, i governi rispolverano aspetti caratteristici dei regimi nazi-fascisti: lo sciovinismo e il razzismo. Tutte questi aspetti caratteristici del tardo capitalismo appaiono nel modo più evidente nel paese a capitalismo più maturo, ovvero gli Stati Uniti d’America.
Non a caso in tale paese la destra più aggressiva, becera, razzista, sessista, omofoba e reazionaria ha preso sostanzialmente il controllo del grande partito conservatore repubblicano, spostandolo in modo sempre più aperto sulle posizioni della destra radicale. Tale tendenza sempre più diffusa a livello internazionale nei paesi a capitalismo avanzato può subire una battuta d’arresto solo se vi si contrappone una reale alternativa di sinistra, socialista, alla crisi ormai irreversibile del modo di produzione capitalistico. Anche perché, con il progressivo assottigliarsi dei margini di profitto, l’egemonia sui subalterni mediante una sapiente strategia di riforme, improntata a una reale rivoluzione passiva, diviene sempre più impraticabile. La sempre più accentuata caduta del tasso del profitto rende sempre più difficile convincere i capitalisti a fare delle concessioni anche solo marginali alle classi subalterne.
Tale elemento strutturale segna la necessaria crisi delle forze moderate tanto di centro-destra quanto di centro-sinistra. In particolare, in tale contesto storico, a pagare il prezzo più alto sono le forze sedicenti riformiste di centro-sinistra, che da una parte suscitano delle aspettative del tutto ingiustificate nelle masse prive di coscienza di classe, dall’altra non possono che produrre un altrettanto spropositato scoramento fra i ceti subalterni non politicizzati. In tal modo tali governi, come quello di Obama, producono degli effetti catastrofici, in quando tradendo del tutto le illusorie speranze di una inversione di rotta, gettano le masse popolari sempre meno organizzate e formate in uno stato di scoramento che le porta o a disertare le urne o addirittura a dare per disperazione credito a forze populiste che rilanciano, in una forma adeguata alla nostra epoca, lo specchietto per le allodole di un socialismo nazionale, ovvero di un nazionalsocialismo del terzo millennio.
Così il candidato più improbabile e impresentabile della destra più reazionaria ha avuto facilmente successo su tutti i candidati conservatori tradizionali e, grazie al disastroso governo di Obama – che dopo aver suscitato irrazionali speranze è stato molto più deludente delle peggiori aspettative – e grazie all’imposizione degli apparati del Partito democratico di un candidato già in partenza bruciato come H. Clinton – dopo la presidenza altrettanto deludente del marito – al posto di un candidato radicale come B. Sanders che era riuscito a rimotivare e rianimare settori non indifferenti dei ceti subalterni, Trump è non solo divenuto presidente, ma ha permesso al suo partito di prendere il controllo di entrambe le camere.
Da questa condizione catastrofica la sinistra reale, da decenni ultra minoritaria negli Stati Uniti, ha saputo riprendersi mettendo in campo, subito dopo la vittoria di Trump, un significativo movimento di opposizione in cui hanno svolto un ruolo essenziale le donne dinanzi a un presidente sfrontatamente macho e sessista. Questa ripresa dei movimenti sociali ha permesso, dopo anni di crisi, la parziale riconquista nei ceti subalterni dei primi rudimenti di una coscienza di classe, che ha consentito in particolare a giovani donne, rappresentanti delle minoranze etniche e religiose più sotto attacco dalla guerra fra poveri scatenata dal governo – con il sostegno di ampi settori dell’ideologia dominante – di riuscire nell’impresa di vincere le primarie contro candidati dell’apparato del Partito democratico, apertamente sostenuti e finanziati dai settori meno retrivi della classe dominante.
La maggior parte di queste candidate, pur rinunciando clamorosamente a ogni finanziamento da parte della classe dominante – generalmente implorato da ogni candidato sia repubblicano che democratico – sono riuscite a imporsi con un programma decisamente radicale, per il contesto così arretrato del paese, in diversi casi definendosi apertamente socialiste, termine che fino a pochissimo tempo fa era assolutamente tabù negli Usa, tanto da essere utilizzato solo dai repubblicani per mettere in cattiva luce i loro avversari democratici.
Tale eccezionale risultato è stato in diversi casi bissato nello scontro diretto con i repubblicani nelle elezioni di midterm, dimostrando in modo inequivocabile quanto sia fallimentare la politica del centro-sinistra che pensa di potersi affermare spostandosi sempre di più verso il centro-destra, per ottenere il consenso degli indecisi, quando al contrario paga decisamente di più riconquistare gli ex-elettori delusi e demoralizzati presentandosi come una reale alternativa di sinistra.
Così, nelle elezioni di midterm, lo scontro aperto fra posizioni apertamente di destra e altre apertamente di sinistra dopo tanti anni ha avuto decisamente la meglio sul rincorrersi di centro-destra e centro-sinistra per conquistare gli elettori indecisi, accusandosi a vicenda di ricopiarsi dei programmi elettorali sempre più difficilmente distinguibili. Si tratta di un aspetto molto importante perché il presentarsi di democratici e repubblicani come due fazioni di uno stesso partito liberale aveva favorito un crescente disinteresse per le elezioni politiche da parte del proletariato e, più in generale, dei ceti subalterni che non avevano modo di votare un candidato interessato a difendere i loro interessi.
In tal modo però, dato che non esistono diritti naturali, gli stessi diritti politici conquistati a duro prezzo dalle minoranze etniche e religiose e dallo stesso proletariato tendevano a essere sempre più limitati.
- In primo luogo per la questione dei brogli, particolarmente eclatante nel caso dell’elezione di Bush Junior;
- in secondo luogo per il sistema dei grandi elettori che vanifica il voto popolare – tanto che anche nelle ultime elezioni ha vinto il candidato che ha preso meno suffragi, avendo H. Clinton totalizzato oltre 2 milioni di voti più di Trump –;
- in terzo luogo perché le primarie (in particolare del partito democratico) sono antidemocratiche, in quanto i grandi elettori hanno rovesciato la netta prevalenza data dagli effettivi votanti a Sanders;
- in quarto luogo perché votando in giorni lavorativi diviene difficile per i proletari ricevere i permessi necessari, soprattutto se sono elettori democratici;
- in quinto luogo perché negli Usa non si è iscritti automaticamente alle liste elettorali, ma bisogna provvedere in prima persona, cosa particolarmente complessa per i lavoratori resi così precari da dove cambiare spesso residenza e dover, quindi, riaprire la lunga trafila burocratica necessaria per l’iscrizione alle liste;
- in sesto luogo perché i repubblicani con il sistema maggioritario uninominale si sono via via creati dei collegi ad hoc, per cui per eleggere un repubblicano c’è in media bisogno di un numero sempre minore di voti che per eleggere un democratico;
- in settimo luogo perché una parte estremamente consistente della popolazione soprattutto afro-americana ma, più in generale, subalterna è o è stata in carcere perdendo il diritto di voto;
- in ottavo luogo perché tutte le importantissime conquistate del movimento per i diritti civili negli anni sessanta, che hanno portato a eliminare le norme che nei fatti impedivano agli afro-americani di votare, sono state a poco a poco reintrodotte dai repubblicani.
Anche da questo punto di vista la ripresa di interesse per la contesa elettorale, per la presenza tanto di candidati più vicini alla destra radicale, quanto e, soprattutto, per la presenza di candidati socialisti o espressione diretta delle minoranze maggiormente discriminate, ha consentito un’importante inversione di tendenza rispetto alla costante restrizione del suffragio universale, con la riammissione al voto degli ex carcerati in Florida che non si sono macchiati di delitti particolarmente gravi.
Naturalmente questa ripresa di interesse e di partecipazione per le elezioni, in un fase del tutto non rivoluzionaria, è da considerare come un segnale incoraggiante, un momento di decisa controtendenza rispetto al qualunquismo sempre più imperante soprattutto fra i subalterni, che favorisce l’affermazione di regimi sempre più oligarchici. Inoltre, il fatto che le elezioni tornino a rappresentare un momento del conflitto sociale è anche una significativa controtendenza rispetto al pensiero unico neoliberista dominante che considera sempre meno importante il ruolo del governo e delle stesse assemblee legislative in quanto a essere effettivamente sovrano non è più il popolo, ma la rule of Law (il governo della legge), stabilita oggettivamente dai mercati, tanto che la sua validità è indipendente dai governi particolari e costituisce il limite oltre cui le stesse assemblee legislative non possono andare.
Tanto più che il voto ha rispecchiato la polarizzazione della società statunitense, con gli anziani ancora garantiti, bianchi delle campagne che votano a destra e le minoranze etniche e religiose più discriminate, le donne, i giovani sempre più precari che, con gli abitanti delle città sempre più multietniche, votano a sinistra. A dimostrazione che il blocco sociale che vota Trump e gli altri esponenti di una destra sempre più triviale e greve è anche sempre più residuale. Tanto che la destra per arginare la tendenziale ascesa della sinistra – soprattutto quanto è capace di mobilitare il proprio potenziale elettorato con un programma o un candidato radicali – è sempre più costretta a far ricorso agli antichi borghi putridi della vecchia Inghilterra, che consentivano ai conservatori di mantenere il controllo della camera e consentono oggi ai repubblicani negli Usa di mantenere il controllo del senato, pur avendo un numero progressivamente sempre minore di elettori, con l’accrescersi delle grandi città dove prevale in modo sempre più netto il voto progressista.
Infine, come aspetto ancora più caratteristico del nuovo clima politico che si respira negli Stati Uniti, non si può sottovalutare l’appello, davvero inconsueto, di Trump affinché a rimanere capogruppo dei democratici sia ancora Nancy Pelosi, fino a queste elezioni considerata esponente dell’ala sinistra, ovvero liberal del partito democratico. Mentre ora, con la prepotente ascesa di giovani candidate con posizioni apertamente socialiste o rappresentanti dei gruppi etnici e religiosi maggiormente discriminati, anche una Nancy Pelosi appare alla destra radicale di Trump un elemento affidabile del vecchio ceto politico che rappresentava, nei fatti, due correnti dello stesso partito. In ultimo, bisogna ricordare altro segnale incoraggiante, ovvero che non solo il candidato apertamente socialista Sanders è stato per l’ennesima volta rieletto – tanto da divenire uno dei decani del parlamento – ma è stato praticamente il primo a festeggiare la rielezione, avendo totalizzato un distacco dal candidato repubblicano del 40%.