Perché in Italia non agiamo come in Francia?

Parallelismi e differenziazioni rispetto a quanto sta accadendo in Francia nella battaglia del Nuovo fronte Popolare unito contro l’ascesa dell'estrema destra della Le Pen; una riflessione utile alla specificità della situazione italiana


Perché in Italia non agiamo come in Francia?

A seguito delle elezioni europee è avvenuto in Francia un evento simile a quanto accaduto in Italia dopo la caduta del Governo Draghi. In entrambi i casi avevamo due capi di Stato, Draghi e Macron, espressione diretta degli interessi del grande capitale finanziario, le cui politiche avevano generato un forte malcontento nei settori popolari ed una corrispondente ascesa delle forze di estrema destra che utilizzavano il malcontento popolare in chiave populista. In entrambi i casi i vertici dello Stato - Mattarella in Italia e Macron in Francia – hanno utilizzato il loro potere nei meccanismi istituzionali per non dare tempo alle forze progressiste di riorganizzarsi ed affrontare la campagna elettorale, quindi di elaborare una proposta politica in grado di contenere l’ascesa della destra. In Francia come in Italia, tutti eravamo consapevoli che, se non si fosse fatto qualcosa, l’estrema destra sarebbe salita al potere. Fin qui le analogie. Passiamo alle differenze. Il governo Draghi era un governo tecnico nato da Confindustria e con le grandissime pressioni dei media per volere del grande capitale finanziario, poiché il governo Conte Due, pur non avendo tratti di trasformazione radicale, non rispondeva pienamente a tutti i diktat che questi poteri volevano imporre nella gestione della pandemia. Il governo Macron, invece, era un governo politico a trazione gollista di destra, mentre una serie di forze di sinistra si collocavano all’opposizione, prima fra tutte la France Insoumise. Nel momento della necessità, la France Insoumise ha avuto la credibilità, sperimentata in anni di opposizione e di coinvolgimento nel conflitto sociale, per avanzare una proposta unitaria di fronte delle sinistre che, invece, le forze alternative a Meloni non potevano avere. Tanto più che, ricordiamo, tra i più accaniti sostenitori dell’agenda Draghi vi erano il PD e Renzi, le cui posizioni ordoliberiste in economia ed il feroce atlantismo allontanavano il consenso dei ceti popolari e dei sinceri progressisti da una benché minima forma di consenso. Tuttavia, nonostante l’errore madornale di aver sostenuto la nascita del Governo Draghi, il fatto che la caduta di questo stesso Governo fosse scaturita da un’incompatibilità oggettiva tra lo stesso Draghi e il Movimento Cinque Stelle e che le elezioni anticipate fatte in fretta e furia fossero preparate ad hoc per favorire l’ascesa della destra, rendeva evidente a tutti il dato per cui le elezioni le avrebbe vinte Fratelli d’Italia. 

Nonostante le differenze oggettive tra i due Paesi che qui abbiamo sinteticamente elencato, anche in quel contesto, a mio parere, è emersa una miopia della sinistra radicale nell’interpretare gli umori delle classi popolari a cui dicono di richiamarsi. In quel momento, il Movimento Cinque Stelle appariva alle classi popolari come l’unico Movimento che aveva tentato, con tutti i suoi enormi limiti, di salvaguardarne gli interessi, mostrando al suo interno un'insofferenza crescente verso le politiche iper-atlantiste del governo Draghi. Tant’è che molti militanti di Unione Popolare, a partire dallo stesso De Magistris, auspicavano una sorta di coalizione-avvicinamento al Movimento Cinque Stelle, consapevoli del fatto che una campagna elettorale alternativa non sarebbe stata minimamente compresa dall’elettorato. Tutto questo non è avvenuto e lo stesso errore è stato ripetuto alle successive elezioni regionali dove le forze dell’estrema sinistra hanno ottenuto percentuali al di sotto dell’1%. Di fronte a queste debolezze e ai limiti oggettivi del Movimento Cinque Stelle – perennemente sospinto tra l’ipotesi di un alleanza nei territori con il PD ed una necessità di rimarcare, invece, la propria autonomia - Il Partito Democratico e la sua costola di Sinistra – AVS – si sono riorganizzati: il primo, sfruttando la voglia di discontinuità del suo elettorato con la vittoria della Schlein, il secondo, potendo svincolarsi dalle scelte più compromettenti del PD ed intercettando – anche grazie alle candidature ad hoc – gli umori dell’elettorato più progressista. 

La cosa drammatica, nel contesto italiano, è che i comunisti, così come tutte le forze genuinamente anti imperialiste, continuano a non incidere mai in campagna elettorale, la loro proposta non è mai visibile, il grosso della società civile italiana non ne è a conoscenza e la responsabilità non è solo da imputare al nemico sporco e cattivo, o ai maledetti riformisti, ma alla cronica incapacità d’identificarsi con quella parte d’elettorato, con quelle classi sociali più vicine alle prospettive progressiste, e di farlo tenendo conto dell’involuzione autoritaria presente nel nostro Paese e della riduzione degli spazi democratici, dei meccanismi elettorali e delle regole imposte dal nemico di classe. Il passaggio intermedio delle elezioni europee rappresenta per l’estrema destra al governo il banco di prova necessario per definire un’ accelerazione delle sue politiche reazionarie. Non è un caso che le riforme più importanti siano emerse allo scoperto proprio dopo le elezioni. Non è neanche un caso che, in alcuni (embrionali) passaggi di protesta, in particolare contro l’autonomia differenziata, i manifestanti abbiano invocato il tema dell’unità

Non condivido affatto questa richiesta incondizionata d’unità di tutta l’opposizione che ci porterebbe veramente ad esiti drammatici ma ne dobbiamo perlomeno cogliere il senso più profondo. Ci sono battaglie contro gli aspetti più nefasti del governo Meloni che richiedono l’unità delle forze, prima fra tutte l’autonomia differenziata, e se è verissimo, e va sempre ricordato, che il PD ne è stato pesantemente compromesso, bene ha fatto il Comitato contro l’Autonomia Differenziata a portare alla luce tutte le contraddizioni e ad allargare la lotta su un fronte politico e sociale più largo. Così come in tutte le lotte contro le degenerazioni razziste che attraversano il nostro Paese – come la manifestazione del 6 Luglio a Latina contro la tragica morte sul lavoro di Satnam Singh  - è essenziale avere un approccio unitario, con tutti coloro che ritengono il razzismo ed il caporalato come fenomeni negativi da combattere, dimostrando, tuttavia, che sono proprio le politiche ordoliberiste quelle di cui il razzismo vive e si alimenta. E’ in quei contesti – dove si potrebbe produrre una vera mobilitazione di massa – indotta dalla ferocia delle politiche della destra al governo – che i comunisti dovrebbero inserirsi esprimendo il loro punto di vista, sottolineando sempre le strette connessioni tra le politiche di guerra e l’imbarbarimento reazionario nel quale la classe dominante sta conducendo l’insieme dei rapporti sociali e civili nel nostro Paese, unendosi nelle piazze, ma differenziandosi nettamente, rispetto alle proposte, dai riformisti.

Per non essere frainteso, specifico che il mio ragionamento non vuole affatto proporre una nebulosa indistinta delle forze di sinistra: il gruppo dirigente del PD ha dimostrato in tutti questi anni di essere completamente immerso in una logica ordoliberista in campo economico e di assumere una prospettiva suprematista e guerrafondaia in politica estera. I comunisti, a mio avviso, dovrebbero fare pressione dall’esterno sul Movimento Cinque Stelle e, forse, su un pezzo di AVS, per costruire un blocco elettorale autonomo, alternativo al PD, tanto più che, in Italia, non ci sono le condizioni per i comunisti di presentarsi autonomamente. Il mio pensiero è che, se vogliamo veramente costruire una prospettiva anticapitalista e antimperialista in Italia, su alcune battaglie dobbiamo contendere il campo ai riformisti, dimostrarci uniti quando questi ultimi, anche strumentalmente, vogliono ricostruirsi una verginità in opposizione alla Meloni, senza mai abbandonare le nostre posizioni, anzi, utilizzando tutti gli spazi che si aprono, per rivendicare il nostro punto di vista, dimostrando, nei fatti più che nelle parole, che siamo noi i più responsabili, coerenti e conseguenti, fermi e tenaci oppositori dell’estrema destra al governo. La Sinistra radicale in Francia – nonostante le sue posizioni discutibili sul conflitto in Ucraina – ci può fornire questo contributo: non è un caso che Mélenchon ha escluso categoricamente una benché minima partecipazione ad un governo con Macron, pur avendo attuato tutte le strategie possibili per arginare l’ascesa dell’estrema destra al potere.

05/07/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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