La pandemia non ha fatto altro che fare emergere i disastri prodotti dal dominio incontrastato – negli ultimi trent’anni, nel nostro paese in particolare – del pensiero unico liberista. Il primo a crollare con la resistibile diffusione della pandemia – che, ad esempio in Vietnam, ai confini con la Cina, non ha provocato neanche un morto – è stato il sistema sanitario nazionale. Quest’ultimo, dopo almeno un trentennio di stato di assedio da parte del liberismo – che considera la sanità pubblica solo un residuo del passato da tagliare – è crollato immediatamente, senza colpo ferire, al primo assalto del Coronavirus. Non a caso la regione più colpita non è la povera Calabria, ma la regione più ricca e potente: la Lombardia, proprio perché la più avanzata nel processo di privatizzazione della sanità pubblica. Il secondo bastione del cosiddetto Stato sociale, che rischia di seguire la tragica parabola del sistema sanitario nazionale, è la scuola statale, la scuola della Repubblica.
Fra le molteplici armi utilizzate, in questo trentennio di assedio, da parte del pensiero unico dominante, la più efficace sembra essere stata la legge che ha reso obbligatorie le classi pollaio. Una delle catastrofiche eredità dello scellerato decennio berlusconiano che, naturalmente, tutti i governi seguenti si sono ben guardati dal rimettere in discussione. Tanto che l’unico ministro non pregiudizialmente favorevole alla dequalificazione della scuola statale per favorire le private, è rimasto completamente isolato solo per aver chiesto le indispensabili risorse per dare un minimo di respiro alla scuola della Repubblica, sempre più boccheggiante dopo almeno un trentennio di costante stato d’assedio. Al punto che il ministro in questione, pur di sottolineare la gravità e l’urgenza della situazione, è stato costretto a minacciare e poi a rassegnare le dimissioni che il governo ha prontamente accettato, provvedendo senza colpo ferire a sostituire Fioramonti, che ingenuamente aveva fatto notare che l’imperatore era nudo, ovvero che non si fanno le nozze con i fichi secchi.
Paradossalmente a prendere il suo posto è stata la parlamentare che doveva più di tutti la propria elezione all’essersi fatta megafono della lotta condotta dal mondo della scuola proprio contro le classi pollaio. Ciò nonostante la nuova ministra non ha fatto nulla per almeno cominciare a risolvere questo enorme problema, visto che a causa sua la scuola è chiusa da circa due mesi e non è dato sapere quando potrà riaprire e a quali condizioni. Evidentemente con la pandemia in atto solo un assoluto incosciente può pensare di riaprire delle scuole in cui, proprio a causa delle classi pollaio, è impossibile garantire anche le minime misure di sicurezza, a cominciare dal distanziamento. Per altro il governo era avvisato del pericolo in corso almeno da gennaio e in quattro mesi ha tirato fuori le misure più assurde e improbabili per far riaprire ipoteticamente le scuole, senza prendere mai seriamente in discussione la reale conditio sine qua non, ovvero il dramma delle classi pollaio. Tutto ciò sebbene l’Italia sia fra le prime sette potenze economiche mondiali, sebbene persista ad accrescere la produzione di armi anche di distruzione di massa e il governo si impegni a garantire quasi completamente i prestiti che le banche private faranno alle imprese private, che comporteranno un ulteriore pesante aumento del debito pubblico e degli interessi che le masse popolari dovranno pagare su di esso, proseguendo con le ormai infinite politiche di austerità.
D’altra parte, è altrettanto tragico dover constatare che, sostanzialmente, nessuno si è mosso per impedire questo surreale scempio. A cominciare dal suo stesso partito e dalla sinistra di governo, passando per i partiti di opposizione di sinistra alla quasi totalità dei sindacati che contano, nessuno ha di fatto mosso un dito dinanzi a un ministro che dava le dimissioni in quanto, dopo decenni di tagli, aveva chiesto un segnale di controtendenza, ossia una pur minima restituzione alla scuola statale delle ingenti risorse cui ha dovuto rinunciare in questi decenni di continui tagli. Allo stesso modo, nessuno ha fatto sostanzialmente nulla per contrastare una ministra che, pur dovendo la sua carriera politica ad aver fatto da megafono alla lotta contro le classi pollaio, una volta avuto il potere necessario per cominciare a eliminare il problema fondamentale della scuola della Repubblica, non ha fatto niente di significativo, neanche dinanzi alla situazione di emergenza venutasi a creare con la pandemia, che costringe a mantenere chiuse le scuole italiane, in primo luogo a causa del loro vergognoso sovraffollamento.
Ancora più allarmante è che dal mondo della scuola stessa non si sia fatto sostanzialmente nulla dinanzi a questi eclatanti avvenimenti. A dimostrazione che il mondo della scuola non si è ancora ripreso dalla sensazione che, nonostante la mobilitazione messa in campo, non era stato in grado di arrestare la scellerata “Buona scuola”, divenuta legge con il sostanziale appoggio di tutti gli odierni dirigenti del Pd. In realtà tali avvenimenti non sono stati il prodotto di un infausto destino, che dimostrerebbe come la mobilitazione sarebbe inutile e in fondo addirittura controproducente. Al di là delle apparenze e di quello che dà a intendere l’ideologia dominante, al servizio della classe dominante, con una mobilitazione significativa, ma non eccezionale, e con l’incapacità di costruire una qualche forma di cooperazione con il resto delle classi subalterne – egualmente colpite dalle misure antipopolari del governo Renzi – era impossibile ottenere di più. Basterebbe confrontare la proposta iniziale di controriforma della scuola proposta dal governo Renzi e quanto di essa è in vigore oggi, per constatare che solo la lotta paga e che con la discreta mobilitazione messa in campo, gli aspetti peggiori della “Buona scuola” sono stati, almeno per il momento, messi da parte.
Per quanto riguarda la praticabilità del progetto, la questione sarebbe presto risolta. Basterebbe tagliare le spese militari, o i fondi con cui lo Stato finanzia banche, imprese e scuole private, o imporre una patrimoniale per far pagare le tasse ai più ricchi, o contrastare seriamente la spaventosa evasione fiscale, o realizzare un audit sul debito pubblico per ridurlo e ridurre gli interessi che paghiamo su di esso. Dunque, non è come ci vogliono dare a intendere, un problema oggettivo di mancanza di risorse economiche, o una congiuntura negativa dell’economia, ma un problema di volontà politica e sociale. Non è, infatti, scritto da nessuna parte che anche la prossima crisi economica la debbano pagare le classi subalterne, a cominciare dall’ulteriore riduzione delle spese sociali pubbliche.
Allo stesso modo, non mancano certo insegnanti formati e anche con esperienza che potrebbero affiancare gli attuali insegnanti di ruolo, in modo da eliminare le classi pollaio, portandole a un massimo di 15 alunni, da ridurre a 12 in caso di presenza di alunni diversamente abili. Gli spazi a disposizione non mancherebbero, basterebbe, ad esempio, adibire le moltissime caserme dismesse a nuovi edifici scolastici, dove sia possibile garantire la distanza di sicurezza. Con tali lavori socialmente utili si potrebbe, per altro, riassorbire una parte importante della disoccupazione giovanile, soprattutto al sud.
Inoltre, immettendo in ruolo una nuova generazione di insegnanti si potrebbe risolvere un altro dei più significativi problemi della scuola statale italiana, ovvero l’età media degli insegnanti, la più elevata nei paesi Ocse, che rende sempre più complesso il dialogo didattico. Per altro, assumendo i precari storici e le nuove generazioni si potrebbe superare l’altro grande problema della scuola italiana, ossia la costante carenza di insegnanti di ruolo, in grado di coprire tutte le classi dall’inizio dell’anno e garantire, per quanto possibile, la continuità didattica. Infine, con la riduzione del numero di alunni per classe, diminuirebbero drasticamente i problemi divenuti ormai patologici di mancanza di sicurezza nelle scuole della Repubblica. Si potrebbe, inoltre, integrare realmente i casi più complessi, i ragazzi meno avvantaggiati o con difficoltà cognitive, realizzando al contempo una didattica effettivamente individualizzata e innovativa.
In tal modo si potrebbe riqualificare seriamente la scuola della Repubblica e questo non potrebbe che avere effetti positivi, nel medio e lungo periodo per il rilancio, anche socio-economico del paese, la cui crescente crisi procede di pari passo con la progressiva dequalificazione della scuola statale. Infine, si potrebbe anche arginare la crescente differenza fra le classi sociali, in quanto con classi con un numero sensato di alunni si potrebbe praticare un’azione di sostegno decisamente più efficace rispetto agli alunni più deboli e in difficoltà.
Per altro, si tratta di una priorità anche dal punto di vista sociale, in quanto proprio con l’affermarsi dell’ideologia liberista il potere di acquisto dei salari è calato al punto tale che, la maggior parte dei lavoratori ha serissime difficoltà a potersi pagare una babysitter affidabile in questo periodo di prolungata chiusura delle scuole. Anche perché la pandemia ha involontariamente fatto emergere tutti i limiti della didattica a distanza e tutti gli enormi vantaggi del rapporto diretto tra docenti e discenti. Occorre sottolineare con forza questo aspetto, perché l’ideologia dominante tende sempre a esaltare acriticamente la meccanizzazione del lavoro, se questo consente un aumento del profitto, mediante la riduzione del personale e l’aumento dei tempi e dei ritmi di sfruttamento della forza lavoro.
Così, durante tutta la pandemia, abbiamo visto da una parte i poteri forti e, in primis, il padronato fare letteralmente carte false per avere nei luoghi di lavoro tutti quei salariati che non possono essere più efficacemente sfruttati con il lavoro agile. Mentre, al contrario, per tutti i lavoratori salariati maggiormente sfruttabili, nell’ottica liberista, mediante il lavoro agile, si tende a implementare e a “normalizzare” tale forma utile a incrementare i profitti privati e a tagliare ulteriormente le spese sociali.
Con il lavoro agile e il conseguente sviluppo del lavoro a obiettivi, si generalizza il cottimo, si perde qualsiasi limite allo sfruttamento, in quanto divengono sempre più labili le differenze fra tempo di lavoro e tempo necessario a riprodurre la forza lavoro. Tutte le spese relative all’utilizzo dei mezzi di produzione ricadono sui lavoratori e il padronato risparmia enormemente sulle spese per il controllo dell’utilizzo della forza lavoro, in quanto la maggioranza dei lavoratori tende involontariamente a incrementare il proprio sfruttamento.
Per altro il lavoro agile accentua enormemente la frammentazione dei lavoratori, il che produce dei risultati catastrofici in termini di progressiva perdita della residua coscienza di classe e capacità di condurre in modo efficace la lotta sociale dal basso, per fronteggiare la continua offensiva del conflitto di classe condotto dall’alto, da chi si appropria della forza-lavoro altrui. I lavoratori si ritrovano così nella situazione per loro svantaggiosissima di potersi confrontare solo singolarmente con il proprio dirigente o padrone.
Infine, la didattica a distanza tende ad aumentare ulteriormente le differenze fra gli studenti posti nelle migliori condizioni per riuscire e gli alunni che partono svantaggiati, in quanto sono posti nelle condizioni, sociali, economiche e familiari che rendono più arduo tenere il passo con i primi. In tal modo questi ultimi tendono a spiccare di più, non perché la didattica a distanza dia la possibilità di migliorare le prestazioni – anzi, al contrario, nella quasi totalità dei casi aumenta per docenti e discenti il carico di lavoro e di stress, mentre i risultati restano, nel migliore e più fortunato dei casi, statici –, ma perché gli alunni più deboli sono quasi sempre quelli che hanno più difficoltà a connettersi e ad avere lo spazio necessario per potersi adeguatamente concentrare.