Il Mali in ebollizione popolare

Dopo mesi di resistenza popolare e repressione il presidente filo-atlantista Keïta è deporto e l’Occidente prepara una nuova offensiva imperialista in Sahel. Ma il popolo maliano non ci sta.


Il Mali in ebollizione popolare Credits: askanews.it

Non è dato sapere quante persone, qui nell’Occidente “agiato”, abbiano contezza anche vaga di ciò che succede al di là del Mediterraneo, in quel vastissimo continente africano così tanto misconosciuto e dimenticato. Quello da cui Meloni e la Lega di Salvini & co. sostengono provengano i “portatori di virus” (salvo poi negare l’emergenza sanitaria), i “finti profughi furbetti”, gli “spacciatori”, i “ladri del lavoro degli italiani” e via dicendo. E in particolare è ragionevole dubitare una seppur generica coscienza di ciò che accade nell’area del Sahel, quella “striscia” di terra arida e ostile che attraversa il continente da est a ovest, poco al di sotto del deserto (che va sempre più guadagnando terreno) e poco al di sopra della savana. Uno dei luoghi più inospitali del pianeta, e più violenti.

Di pochi giorni fa è la notizia di un nuovo colpo di Stato, guidato dai militari, in Mali. Inizialmente sui nostri media la cosa è stata passata in sordina e ridotta ad un mero ammutinamento di parte delle forze armate, per inseguire l’interesse (soprattutto francese) di mantenere al proprio posto l’ormai ex presidente Ibrahim Boubacar Keïta che si è invece dovuto dimettere dalla sua carica ed è stato arrestato. Nei giorni successivi gli sviluppi della situazione o sono stati ignorati o sono stati descritti senza lesinare toni “preoccupati” della comunità internazionale per la deposizione del leader “democraticamente eletto” (che è anche un sinonimo di “compiacente”) il che getterebbe il Paese nelle braccia delle formazioni estremiste.

Infine, la maggior parte dei media – guarda caso in questi giorni “caldi” anche per della Bielorussia di Lukashenko – si è spinta ad accusare la Russia di ingerenza interna negli affari del Paese allo scopo di arginare le mire francesi, passate peraltro come assolutamente legittime, come si legge infatti su La Repubblica (fra i vari) del 19 agosto: “secondo fonti diplomatiche europee, hanno sobillato la popolazione contro la presenza francese e contro la stessa missione militare “Barkhane”, organizzata da Parigi dal 2014 per combattere il terrorismo”. Insomma, il bue che dà del cornuto all’asino: che il popolo maliano magari non accetti più di rimanere sotto il tallone di qualcuno è bestemmia indicibile e imponderabile. In Mali la popolazione va ammutolita a prescindere, in Bielorussia invece non v’è dubbio che le masse intonanti la litania atlantista scaldino il cuore della Merkel e di Macron.

Eppure è interessante quanto sta accadendo in queste ore nel Paese, giacché questa svolta giunge a seguito di una resistenza durata mesi e punteggiata di numerosissime vittime tra i manifestanti, trucidati dalle forze del governo oggi deposto. Il dramma del Mali si consuma ormai da anni. Nel 2012 un colpo di Stato aveva aperto ad una fase di violenta guerra civile in cui in particolare la zona settentrionale del Paese (e non prioritariamente in quella meridionale, come diffonde sempre La Repubblica) è diventata terreno fertile per l’insediamento di fazioni fondamentaliste islamiche favorite dall’ingerenza delle potenze occidentali. Gli interessi francesi nel Sahel in particolare (mantenimento del rapporto subordinante con le ex colonie, contrasto a altri player emergenti nell’area come Cina, India, Turchia, Brasile ecc.) sono stati tali da legittimare una vasta presenza militare straniera sul territorio (l’operazione Serval e Barkhane, appunto) che aveva lo scopo di indebolire sistematicamente lo Stato centrale anche attraverso l’addestramento di milizie locali non governative che si sono di fatto accreditate sul territorio, gettandolo in un circolo vizioso e in una spirale di violenza crescente: da una parte lo Stato – fantoccio ed asservito agli interessi imperialistici – perdeva sempre più di credibilità ed era incapace di garantire protezione verso la popolazione civile, sempre più brutalizzata dalle milizie che incalzano conflitti etnico-religiosi prima inesistenti o comunque assai meno problematici, e dall’altra si legittima così la sempre maggiore presenza francese sul territorio.

Mentre il Paese precipita nella totale incapacità di gestirsi, e la popolazione civile rimane sempre più vittima di violenze indicibili da parte di milizie locali che restano impunite, si spalancano le possibilità di estensione del perimetro di azione straniera nell’intero Sahel. Già da qualche tempo è possibile riscontrare l’insorgere di una situazione per molti versi analoga a quella del Mali anche nel confinante Burkina Faso, che fu faro della resistenza anticoloniale sotto Thomas Sankara e che, nonostante l’importante eredità lasciata nel Paese dal compianto compagno, risulta drasticamente precipitato nel caos negli ultimi anni a causa delle destabilizzazioni subite.

Già anni fa Oumar Mariko, il presidente del partito maliano di orientamento marxista-leninista panafricanista l’African Solidarity Party for Democracy and Independence (SADI), denunciava tali ingerenze da parte delle potenze occidentali che "hanno preso di mira il nord del Mali considerato come il ventre molle del Paese al fine di indebolire lo Stato", sottolineando l'urgenza di ricostruire uno Stato nazionale che facesse da ostacolo per le potenze capitaliste, che vogliono invece annullare ogni tentativo concreto ed effettivo di autodeterminazione dei Paesi africani per sostituirli con Stati canaglia.

Il SADI lotta da sempre – sia in Mali, sia grazie all’operato dei suoi militanti organizzati all’estero, ove sono stati costretti a fuggire dalla repressione – contro tali forme di ingerenza neocoloniale, per restituire una dignità ad un Paese dilaniato e soggiogato economicamente, come molti altri in Africa. In questa intervista molto efficacemente Soumaila Diawara, membro del SADI rifugiato politico in Italia, esplica con chiarezza quale sia la situazione e quali i gravosi problemi creati dalla nefasta ingerenza occidentale in Mali, il suo Paese, e in Africa in generale – Italia compresa, ovviamente, che, in accordo sinergico con Parigi e le altre potenze atlantiste e con la scusa di presidiare Paesi da cui provengono potenziali “problemi per la sicurezza nazionale” quali terroristi jihadisti e immigrati irregolari, non manca di unirsi al coro delle presenze ingombranti con una missione militare inviata in Niger, un altro, problematicissimo, Paese del Sahel, dal 2018.

Alle ultime elezioni tenutesi in aprile, anche il SADI ha denunciato i pesantissimi brogli elettorali che hanno favorito la rielezione dell’ex presidente Keïta e delle altre formazioni politiche asservite al colonialismo francese. Ne è nata una rivolta durata, appunto, dei mesi e costata numerose vite, che ha portato in questi giorni alle dimissioni di Keïta delle funzioni di Presidente della Repubblica, allo scioglimento dell'assemblea nazionale e del governo. Il Comitato nazionale per la salvezza del popolo (CNSP) ha dichiarato l’impegno ad aprire una transizione politica civile che dia un senso politico profondo al sacrificio del popolo maliano che – come si legge in una recente dichiarazione del partito – “nonostante le aggressioni, uccisioni, le condanne giudiziarie e spedizioni, ha avviato questa lotta patriottica per salvare la nazione dall'influenza del regime sanguinario, incompetente e corrotto del sig. Ibrahim Boubacar Keïta, il cui sistema di predazione, testardaggine e negazione della gravità della crisi minacciava pericolosamente l'esistenza del Mali come Stato, nazione, democrazia e Repubblica laica”.

La sinergia delle forze politiche in rivolta in Mali è determinata sulla via di intraprendere una transizione autenticamente democratica e repubblicana per il Paese, che esprima altresì, nel solco del diritto del popolo maliano alla propria autodeterminazione, la sacrosanta ricerca di pace e riconciliazione nazionale, per un Mali democratico, repubblicano e laico, dotato di una governance responsabile e virtuosa, la cui sovranità dovrà essere rispettata e salva da ogni genere di interferenza straniera.

30/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: askanews.it

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L'Autore

Leila Cienfuegos

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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