Se analizziamo i dati diffusi dall’Eurostat e riferibili all’anno 2022 possiamo notare come la forza lavoro migrante rappresenti una percentuale fondamentale in Europa, con particolare riferimento a determinati settori lavorativi come quello dell'edilizia,agricoltura, della ristorazione, dell’assistenza alla persona, del settore delle pulizie.
Risulta quindi evidente che all’interno del nostro sistema - gravato da una crisi economica senza precedenti, i cui costi devono essere scaricati in toto sulla classe lavoratrice - la forza lavoro migrante è sempre stata e resta fondamentale, tanto più che è noto a tutti il drastico invecchiamento medio della popolazione italiana, in particolare, ed europea, in generale, che implica la scarsità di braccia da cui estrarre plusvalore e la sovrabbondanza di corpi (leggasi “costi”) di cui occuparsi che non sono più o non sono ancora produttivi, come gli anziani nel primo caso e i bambini (per quanto pochi) nel secondo.
Nel capitalismo non è, in altri termini, possibile risolvere il problema dell’ immigrazione di massa per il semplice fatto che di quella forza lavoro il capitale ha estremo bisogno allo scopo principalmente di massimizzare lo sfruttamento di cui si nutre. Infatti la presenza del lavoratore migrante, anzi, la presenza massiccia di lavoratori migranti, rende estremamente semplice il livellamento verso il basso dei salari medi; facilita lo smantellamento di decorosi sistemi di tutele e diritti negli ambiti lavorativi a maggior rischio di iper sfruttamento (ristorazione, in primis, ma anche delivery, assistenzialismo, lavori manuali nell’edilizia ecc.); rimpolpa le file dell’esercito industriale di riserva sempre pronto ad accettare qualsiasi condizione pur di lavorare - situazione assai utile anche allo scopo di svilire le poche sacche di resistenza organizzata dei lavoratori più avanzati e coscienti che, al contrario, cercano di resistere contro tale tendenza smantellatrice; crea un amplissimo bacino di persone clandestine cui attingere per il ramo della produzione di profitto “nascosta e indicibile” - ossia quello del lavoro nero, delle mafie e dei traffici di droga, oggetti illegali e persone - che pure c’è e ingrassa moltissime tasche, pur non figurando nei PIL; alimenta le divisioni tra i lavoratori stessi in quanto i lavoratori europei si sentiranno sempre di “serie A” rispetto a quelli extracomunitari, ai quali cederanno volentieri l’occupazione nei settori “umili” per dedicarsi a settori più specialistici (all’interno dei quali però, in riflesso all’indebolimento generale delle tutele del lavoro anche nelle fasce meno specializzate, vige una competititvità ed uno sfruttamento veramente paradossali se si paragonano le quantità di ore lavorate da uno specialista medio e lo stipendio percepito, il profilferare dei lavoratori a partita IVA, del lavoro gratuito a titolo di stage o tirocinio e via dicendo).
Insomma se in modo nemmeno troppo celato la borghesia europea manifesta il bisogno di forza lavoro a basso costo, proprio per tenere bassi i salari come analizza magistralmente già Marx riflettendo sulle “cause antagonistiche” alla caduta tendenziale del saggio di profitto, “cause” che costituiscono essenzialmente la base economica della politica imperialistica così ben analizzata da Lenin, allo stesso tempo la borghesia combatte una battaglia per l’egemonia su questo punto favorendo un distacco tra l’aristocrazia operaia, sempre ben foraggiata, e i lavoratori più umili e ricattabili.
Lo svuotamento dei paesi colonizzati -economicamente o politicamente- è un processo anch’esso strettamente legato alle politiche imperialistiche: non a caso la maggior parte della forza lavoro migra proprio da quei paesi depauperati delle proprie risorse, sottoposti a regimi schiavistici i cui abitanti non hanno alcuna possibilità di proletarizzarsi, o da quei paesi in cui la politica della guerra ha iniziato il suo corso.Attraverso l’analisi del problema dell’immigrazione, peraltro, possiamo scorgere, specie nella cima della “piramide imperialista” europea, tutti i segni pienamente sviluppati dello “Stato Rentier” cioè di Stati parassitari che vivono sulle spalle di altri Stati e che al loro interno possono concedersi ampi spazi per politiche di sostegno all’aristocrazia proletaria spesso bisognosa di manodopera a basso costo per i servizi di assistenza.
Stante questa premessa generale, come si inquadra pertanto la vicenda del discusso accordo tra Italia ed Albania per l’esternalizzazione delle procedure per i richiedenti asilo, a cui peraltro abbiamo già fatto cenno in un altro articolo poche settimane fa in occasione dello sciopero generale indetto dalla CGIL e UIL cui avevano aderito in blocco anche i lavoratori del settore della protezione internazionale (ben l’87,4% di loro ha scioperato in quella data)?
Innanzitutto è chiaro l’intento propagandistico in vista delle elezioni europee previste per i primi di giugno 2024: stando a quanto sbandierato da Giorgia Meloni su tutti i giornali fino a qualche giorno fa quanto previsto dall’accordo dovrebbe essere operativo già in primavera ma al momento, in Italia, è allo stadio di un disegno di legge di ratifica approvato il 5 dicembre scorso dal Consiglio dei Ministeri mentre in Albania la ratifica è sospesa, almeno fino a metà gennaio, per la pronuncia della Corte Costituzionale albanese, adita nientepopodimeno che dall’opposizione della destra ultra-liberista. Appare quindi quantomeno inverosimile che nel giro di pochissimi mesi possa essere formalmente ratificato, i fondi - sostanziosissimi - stanziati, i lavori di costruzione dei centri ultimati, il personale reclutato e via dicendo. Pertanto gli elettori europei si presenteranno alle urne con una manciata di promesse sul falso e strumentale problema del’immigrazione che tanto è utile a sviare la loro attenzione dalla necessità di prendere coscienza sui temi fondamentali che riguardano in primis il loro sfruttamento e non quello altrui, e ancora una volta sceglieranno di premiare le politiche segregazioniste e razziali delle destre europee, rincorse sul loro stesso terreno dalle sedicenti sinistre, senza avere potuto saggiare quanto e in quale misura il progetto di esternalizzazione della gestione dei richiedenti asilo, che fa così gola a tanti, non avrà prodotto sostanzialmente alcun effetto concreto sull’indebolimento dei flussi migratori stessi - che, peraltro, come si diceva all’inizio, non è minimamente in realtà auspicato.
Insomma ci sono tutti gli elementi per classificare questa vicenda come una triste boutade elettorale, una “melonata” dai risvolti tragici e potremmo dire anche incerti, se non fosse che ci è apparso quantomeno strano che una grossa fetta del liberal-socialismo europeo non solo non abbia attaccato frontalmente questa vera e propria porcheria razzista, che chiamarla boutade e anche fin troppo elegante, ma hanno , citiamo Sholz, persino strizzato l’occhio ritenendolo, nientemeno, un modello da osservare e importare!
Quest’apertura del primo ministro tedesco oltre a farci immaginare agghiaccianti scenari su come l’Unione Europea e la sua parte più “progressista” intenda il “problema” dell’immigrazione in modo molto simile a quello della logistica delle merci con tanto di “stoccaggio” nei vari Hub e stabilimenti -Amazon docet- tenuti lontani dal cuore pulsante dei paesi imperiali e maggiormente controllabili e selezionabili, ci porta a svolgere un’ulteriore riflessione su come le politiche reazionarie- e in questo caso razziste- tipiche della fase monopolistica non possono che essere il necessario completamento delle politiche economiche rimarcando che a prescindere dalla frazione borghese che governa (destra radicale destra liberale progressista) l’imperialismo, cioè tutto il complesso di politiche reazionarie che contraddistinguono la fase suprema e decadente del capitalismo, non è una “scelta” politica evitabile ma piuttosto una condizione obbligatoria alla quale è impossibile sottrarsi.