Prima di analizzare le imminenti mosse del potere egemonico per tutelare il proprio capitale, i cui intenti si deducono dalle dichiarazioni di Lagarde (presidente BCE), Draghi (ex presidente BCE) e von der Leyen (presidente Commissione europea) bisogna partire da un semplice presupposto. Questi soggetti rappresentano, come sappiamo, gli interessi del capitale, il quale è abituato a pianificare le crisi, non a subirle.
Se guardiamo le ultime grandi crisi economiche ci rendiamo conto che sono tutte accomunate dal calo del saggio di profitto dei grossi gruppi industriali e finanziari e che, per rimettere le cose a posto, ossia ridurre la forza-lavoro, ottenere normative favorevoli, eliminare la piccola concorrenza, controllare nuove fonti di approvvigionamento, genera le crisi. Le quali, si capisce, sono cicliche.
Questa crisi no. È diversa, non ha precedenti nella storia contemporanea, non è stata pianificata. Ecco che in questo momento i leader europei sono nervosi, perché sanno solo seguire uno schema e quello schema, oggi, è stato rotto.
Da qui si capisce il motivo per cui il recente vertice UE in cui si doveva discutere sull’emissione dei corona bond è stato rinviato. Si capisce anche il nervosismo della Lagarde, che in una recente intervista, perfino rispetto all’ipotesi di un nuovo quantitative easing, aveva detto: Noi non siamo qui per accorciare gli spread. Non è questa la funzione né la missione della BCE. Ci sono altri strumenti e altri attori deputati a queste materie. Salvo correggersi dopo le proteste perfino di Mattarella e annunciare un Qe di 750 miliardi. Si comprendono anche le parole di Draghi, che vedremo tra poco.
In tutto questo ci sono due aspetti, uno negativo ed uno positivo. La prevalenza di uno sull’altro dipenderà dalla reazione matura e consapevole degli intellettuali organici alle masse popolari, nonché di quest’ultime.
L’aspetto positivo è che stanno emergendo, oggi più che mai, le contraddizioni, le fragilità e le malvagità del modo di produzione capitalistico, le masse iniziano ad accorgersene ed è possibile una spallata per farlo crollare. Si stanno realizzando – nel ricco occidente – le profetiche parole di Marx, quando evidenziava che la povertà non è un effetto della scarsità di beni di consumo (che, anzi, ce ne sono in abbondanza), bensì il frutto dell’impossibilità per i ceti più deboli di avere accesso all’acquisto dei beni per soddisfare i propri bisogni. Quello degli assalti ai supermercati di questi giorni, e la conseguente reazione da parte di uno Stato tutore della proprietà privata, ne è un fulgido esempio.
Non è che prima di oggi non ci fosse la povertà, ma solo oggi stanno emergendo le contraddizioni, le debolezze dello Stato sociale, annientato dal capitale, e la gente sta reagendo, di pancia. Per razionalizzare la reazione popolare occorre guidarla. Conte, per porre rimedio e mantenere con la saliva la tenuta sociale, sta stanziando nuovi fondi da destinare ai comuni, ma questi fondi da dove verranno? Chi li pagherà?
L’aspetto negativo è che il capitale si sta riorganizzando e sta progettando di affrontare la crisi con una veemenza e una malvagità maggiori rispetto al passato. La prospettiva, se le parole di Draghi troveranno compimento, è che a pagare una crisi epocale saranno gli stati, con i bilanci pubblici, ossia con i soldi di dipendenti, pensionati, liberi professionisti, piccole Partite IVA, i quali rappresentano l’ossatura dell’economia reale e contribuiscono pienamente alla fiscalità pubblica, a differenza dei grossi gruppi capitalistici, che operano in tutto il mondo, ma contribuiscono in paradisi fiscali. E oggi nessuno di essi sta contribuendo a fronteggiare l’emergenza coronavirus con un solo centesimo.
Che sta succedendo in questi giorni?
L’Italia, insieme alla Francia, ha chiesto all’Europa l’emissione di corona bond. Cosa sono? Sono titoli emessi dal MES, ossia da un'istituzione che gestisce il fondo salva stati, i quali dovrebbero essere acquistati dalla BCE (stampando moneta) e che servirebbero a consentire agli Stati di fronteggiare l’emergenza, investendo sulla spesa pubblica (sanità, aiuti alle famiglie, alle imprese, ecc.). Il vantaggio è che questi titoli potranno essere emessi a tassi molto bassi, per evitare di aumentare il debito pubblico e i proventi saranno dati dal MES in prestito agli Stati a tassi altrettanto bassi a fine di prevenire la consueta spirale che fa lievitare il debito pubblico. Non è certo la migliore delle soluzioni, e su questo giornale avevamo criticato il fondo, indicando una soluzione migliore, cioè quella di dare questi soldi agli stati a fondo perduto, però in questa fase può essere efficace per favorire gli investimenti, senza la scure degli interessi.
Ovviamente la richiesta è stata bocciata da Germania, Austria, Olanda, altri paesi del Nord Europa nonché, nella sostanza, dalla Commissione europea (su pressioni della BCE), che ha preferito temporeggiare. Questi organismi vorrebbero invece utilizzare gli strumenti già a disposizione del MES, ossia dal fondo salva stati, di entità inadeguata ad affrontare un’emergenza che riguarda quasi tutti i paesi europei e sottoposto a condizionalità insostenibili.
Quali sono le condizioni? Per approfondire, si vedano gli articoli sopra citati. Ora, per farla breve, va solo detto che gli stati che aderiranno al MES, in particolare proprio quelli che ne avranno più bisogno, per avere un po’ di liquidità e fronteggiare la crisi, saranno totalmente assoggettati agli investitori, così perdendo del tutto la sovranità e la libertà di definire le scelte economiche, politiche e sociali. In altre parole le leggi finanziarie le scriveranno i tecnocrati europei, mentre gli stati che accederanno al MES saranno, di fatto, privatizzati nonché colonie dei paesi economicamente più forti, come la Germania.
Le parole di Draghi.
E ora veniamo al progetto Draghi, delineato inun’intervista al Financial times, che, in ultima analisi, appare avere le medesime finalità del MES, anzi, lo completerebbe, perché più precisamente orientato a controllare l’economia, usando i fondi pubblici, aumentando il debito pubblico e salvando le banche. Altro che progetto diabolico, qui siamo oltre.
Secondo il disegno di Draghi, per affrontare l’imminente recessione economica occorre salvaguardare le aziende, usando i fondi pubblici. Gli stati, quindi, potranno aumentare il debito pubblico, anche oltre i parametri prescritti dal trattato di Maastricht, per fornire garanzie alle banche, le quali finanzieranno le imprese, assicurando la liquidità necessaria per consentire loro di ripartire.
In un passaggio dell’intervista, Draghi ha detto: La perdita di reddito sostenuta dal settore privato, e qualsiasi debito accumulato per colmare il divario deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato. L’esatto opposto della richiesta dei movimenti no global che chiedevano la cancellazione del debito pubblico.
Se leggiamo le parole di Draghi alla luce degli ultimi sviluppi (ossia della contrarietà da parte di molti leader ad emettere corona bond) capiamo facilmente che il debito pubblico sarà aumentato in due modi:
- metodo ordinario (ossia, per dirne uno, l’emissione di titoli di stato con tassi d’interesse appetibili, quindi elevatissimi per i paesi più in difficoltà);
- accesso al MES.
In un modo o nell’altro, lo Stato dovrà pagare alti tassi d’interesse e subire i controlli e le pressioni del mercato. Ma la spesa, da parte dello Stato, sarà tripla, perché oltre a pagare gli interessi quando immetterà i titoli di stato sul mercato, comprati per la maggior parte dalle banche e dagli “investitori istituzionali”, pagherà pure il costo delle fideiussioni prestate alle banche, quando dovrà garantire il credito alle aziende, nonché il debito stesso. Difatti difficilmente l’azienda potrà pagare i debiti alle banche e allora queste ultime si rivarranno sulla fideiussione, ossia sui soldi pubblici.
In questo modo le banche avranno numerosi vantaggi: otterranno interessi su interessi, non avranno rischi (tanto paga lo Stato), potranno controllare direttamente le aziende, prestando soldi a condizione di rispettare determinati parametri definiti dalle banche stesse (mediante business plan, ecc.), potranno incentivare fusioni, acquisizioni, cessioni di rami d’azienda, contratti di filiera o di settore, ecc., a beneficio di holding e imprese transnazionali e con immense ricadute negative sull’economia reale del paese.
Lo Stato sarà indebitato a tal punto che dovrà cedere asset strategici, infrastrutture, patrimonio, tecnologie. Se poi, per finanziarsi, dovrà accedere al MES, perderà anche il controllo sulle scelte strategiche nazionali.
Dunque, con il progetto Draghi si verificherà il sogno del capitale: il pieno controllo sulle istituzioni nazionali e sulle rispettive scelte di politica economica, l’accesso alla normazione primaria e, infine, il controllo delle aziende mediante le banche. Il tutto finanziato da soldi pubblici che saranno ripagati dai lavoratori, dai pensionati e attraverso forti tagli allo stato sociale. Sanità in testa.
Come si fermano? Con la lotta di classe.
Oggi, più che mai, bisogna far emergere i pericoli derivanti dai folli progetti della classe egemone, volti a salvaguardare il capitale a scapito delle classi subalterne, perché a pagare gli enormi debiti che deriveranno dalle scellerate politiche europee saranno non più e non solo le classi subalterne, ma la stessa piccola borghesia che finora ha nutrito gli scempi neo-liberisti.
Urge, pertanto, in questa delicata fase, l’unione di tutte quelle forze comuniste che oggi sono disperse, per ricostituire quel necessario intellettuale organico in grado di orientare le masse, canalizzare il nascente malcontento popolare, che presto sfocerà in sommosse popolari ad ampio spettro, e offrire un’alternativa reale, che superi il modo di produzione capitalistico e riporti equità e giustizia sociale.Oggi, più che mai, c’è bisogno di comunismo, della ricostruzione immediata di un partito di cui questo giornale ha, in passato,contribuito a delinearne la struttura.