“Al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, sono assegnati ai comuni di cui al comma 535 contributi per investimenti nel limite complessivo di 300 milioni di euro per l’anno 2022” (art 1 comma 534 Legge di Bilancio 2022)
Non esiste una definizione legislativa chiara per definire i margini della cosiddetta rigenerazione urbana e così facendo possiamo imbatterci in progetti e interventi urbanistici atti a coprire processi di militarizzazione dei territori e di speculazione immobiliare.
Potrebbe essere il caso di Pisa. Come abbiamo già illustrato tempo fa, esiste un progetto di costruire a Coltano, in un parco naturale di pregio e in vicinanza alla base militare Usa di Camp Darby, una nuova, estesa e impattante base dei carabinieri. La novità è che la nuova base viene accompagnata, per indorare la pillola, da opere di recupero di edifici abbandonati nel borgo di Coltano, edifici da decenni lasciati nell’incuria e nell’abbandono senza alcuna idea su come recuperarli all’uso pubblico. La rigenerazione urbana diventa così merce di scambio con opere militari che andranno ad aggiungersi a una presenza già massiccia di infrastrutture e centri logistici militari sul territorio pisano (Base Usa, Aeroporto militare, Porto nucleare di Livorno, Centro addestramento e altri ancora).
Vediamo le parole del Sindaco di Pisa: “Un altro aspetto da considerare è la rigenerazione del borgo di Coltano, accogliendo favorevolmente la disponibilità manifestata dai residenti. Sono sicuro che i tecnici sapranno fare proposte sostenibili e percorribili”.
L’idea è quindi quella di mantenere ferma l’ipotesi di costruire la base militare in parte a Coltano, che aveva incontrato opposizione e proteste nel territorio, cercando di rendere accettabile l’operazione con la contropartita di un progetto di riqualificazione urbana che preveda il recupero degli edifici abbandonati. È evidente l’uso fuorviante dello strumento di rigenerazione e di renderlo strumentale ai processi di militarizzazione del territorio.
Sarà utile, anzi indispensabile, conoscere gli investimenti previsti su tutto il territorio nazionale, capire se gli interventi previsti saranno finalizzati realmente a costruire opere indispensabili per recuperare alcune aree urbane sottraendole al degrado sociale e alla marginalizzazione o se, invece, siamo davanti all’ennesimo sacco della città.
Per rigenerazione urbana si intendei il recupero e la riqualificazione di uno spazio urbano, sovente di competenza comunale. Tutto da dimostrare invece che si tratti di veri e propri interventi di recupero o piuttosto processi speculativi di natura immobiliare.
Per alcuni urbanisti la riqualificazione dovrebbe recare benefici e vantaggi all’area interessata e a quelle limitrofe. In teoria dovremmo avere interventi miranti al recupero delle infrastrutture, senza demolizioni o costruzioni ex novo, nel rispetto delle normi urbanistiche e a tutela della sostenibilità ambientale, senza aumento delle aree cementificate e magari con spazi di verde pubblico e\o ad uso comune a disposizione dell’intero quartiere.
Ma sovente dietro alla rigenerazione urbana possono celarsi altri progetti, per esempio grandi o piccoli complessi immobiliari a uso e consumo di capitali privati o parcheggi per attirare turisti.
Rigenerazione urbana non è sinonimo di riqualificazione, quindi dovrebbe essere implicito l’obiettivo di aumentare la qualità della vita delle persone soprattutto nella vita e nella sfera sociale delle persone, riqualificando luoghi periferici che non funzionano più.
Prendere un’area dismessa, magari nel centro cittadino e non nelle periferie, trasformarla in studentati e immobili di pregio con area verde connessa alle edificazioni private non è propriamente una riqualificazione o una rigenerazione ma piuttosto un progetto edilizio e urbanistico che sottrae spazi pubblici per destinarli a uso privato e a speculazione immobiliare.
Qualora, come sovente accade, questi progetti beneficiassero di aiuti pubblici, saremmo non solo davanti a un utilizzo fuorviante del concetto di rigenerazione ma a un inganno vero e proprio per favorire percorsi urbanistici e immobiliari destinati alle classi abbienti del paese che potranno permettersi acquisto di case a costi decisamente elevati.
Un territorio degradato può essere riqualificato se esiste una progettualità sociale, se si coinvolge direttamente la cittadinanza nella realizzazione del progetto. Questa rigenerazione per essere reale e credibile dovrà avvalersi del contributo attivo e partecipato di quanti vivono in quel territorio.
Sovente ci imbattiamo in interventi pensati per i centri cittadini e non per le aree periferiche abbandonate. I centri storici sono particolarmente appetibili per operazioni immobiliari, anche per i maggiori margini di profitto.
Il Pnrr ha destinato fondi da utilizzare per la rigenerazione urbana in un’ottica sociale “inclusiva”. Presto ci accorgeremo che i progetti futuri di inclusivo, socialmente parlando, avranno ben poco, presentando invece finalità e caratteri speculativi.
Chiudiamo con due ulteriori considerazioni, la prima riguarda il percorso partecipativo democratico, non previsto dalle norme vigenti e di conseguenza assente nei progetti di rigenerazione urbana in fase attuativa.
La seconda e ultima annotazione riguarda invece la possibilità di bandire dei progetti pubblici, con la partecipazione anche di soggetti privati visto che viviamo in una società capitalistica. Ma in ogni caso dovrebbero esserci atti e indirizzi comunali ben definiti che vincolino i progetti a reali interventi di riqualificazione del territorio riducendo l’impatto ambientale, con interventi eco sostenibili, aumento delle aree a verde e di quelle ad uso sociale in una società nella quale la frammentazione si dovrebbe combattere con la sana socialità.
Non si abbia paura delle moderne agorà, urge invece recare benefici al territorio a partire dalla partecipazione democratica ai processi decisionali attorno ai piani urbanistici comunali. Non si perseveri nell’errore di accogliere passivamente quei progetti, presentati dai soggetti privati, che dovrebbero invece rispondere a obiettivi e finalità decise dagli enti locali, dalla Sovraintendenza, dallo Stato e dalla libera e democratica discussione dei cittadini chiamati a decidere sull’utilizzo del loro territorio, sugli interventi necessari per restituire, infine, effettiva dignità a progetti impropriamente definiti rigeneratori. Non è solo una questione di democrazia formale ma di sostanza. Attorno ai progetti che definiscono gli spazi urbani non può essere il soggetto privato ad avere la prima e l’ultima parola.