Nei giorni scorsi abbiamo promosso, come Cub di Pisa, una assemblea online sul nuovo contratto delle Funzioni locali; un'occasione utile per conoscere il Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) che a dicembre entrerà a regime con un anno di ritardo dalla naturale scadenza (il Ccnl siglato quest'anno riguarda il triennio 2018\21, le trattative sul 2022\4 partiranno, se va bene, a fine anno o a Gennaio 2023).
Due o tre riflessioni scaturite dal dibattito meritano di essere sviscerate avendo una valenza generale che non riguarda solo la forza lavoro interessata: i contratti sono siglati con anni di ritardo e con nessi non si recupera il potere di acquisto perduto nei 9 anni di blocco dei salari e della contrattazione. Questi contratti rispondono alle richieste dei Governi, e in misura assai contenuta alle istanze della forza lavoro, ma soprattutto sembrano scritti da chi ha introiettato il punto di vista datoriale.
Proviamo a ragionare su queste riflessioni collettive
I contratti sono rinnovati con un sistema di calcolo nato per contenere le dinamiche salariali. A fronte del rincaro generalizzato dei generi di prima necessità e dei costi energetici, il codice Ipca (Indice Prezzi al Consumo Armonizzato, adottato dai paesi dell’Unione Europea che è scarsamente sensibile all'inflazione reale e, per esempio, non prende in considerazione l'aumento del costo dei prodotti energetici) è un'arma spuntata. Non è solo il sindacalismo di base a dirlo, ma a questa conclusione prima o poi arriveranno anche i sindacati rappresentativi. Un rischio è comunque all'orizzonte e basterebbe guardare alla storia degli ultimi 50 anni per conoscerne la portata e la pericolosità sociale: in tempi lontani, davanti alla crescita dell'inflazione, i Governi sono intervenuti per impedire ogni meccanismo automatico di adeguamento dei salari al costo della vita.
Oggi solo in teoria il problema non ci riguarda (non esiste più la scala Mobile) perché alla forza lavoro potrebbero essere chiesti dei sacrifici in fase di rinnovo contrattuale nascondendosi dietro alle criticità economiche e agli intenti Governativi di accordare comunque aiuti alle famiglie italiane per poi giustificare gli ennesimi sacrifici salariali. Di tutto si parla eccetto che di aumentare i salari adeguandoli al costo della vita. Dopo anni di contrattazione gli aumenti sono di poche decine di euro al mese e con questi soldi non si compensa di certo il rincaro del gas.
La seconda considerazione riguardava invece la dinamica contrattuale ossia i rinnovi arrivano con grave ritardo e il testo finale sembra scritto con il Manuale Cencelli del diritto sindacale tanto da risultare incomprensibile a molti\e. Per essere chiari questo contratto non rimette in discussione il presunto merito e i meccanismi della performance la cui inutilità, ai fini di accrescere anche la produttività aziendale nella Pubblica Amministrazione (Pa), sono evidenti. E di merito dobbiamo parlare perché rappresenta uno dei capisaldi ideologici del Governo Meloni.
Il nuovo Ccnl delle Funzioni locali – ma se guardiamo agli altri contratti dei comparti della Pa capiamo che le linee guida sono le stesse – limita ad esempio l'impatto delle valutazioni individuali per accedere alle progressioni orizzontali all'interno della categoria di appartenenza (usiamo questi termini per farci capire pur sapendo che altri dovrebbero essere i termini tecnici) ma le valutazioni e il presunto merito restano il faro guida della Pa.
Prendiamo ad esempio due lavoratori, li chiameremo Marco e Maria, entrambi dipendenti di un Ente locale. Marco lavora nella direzione A e il suo dirigente lo ha valutato con il massimo dei voti come altri colleghi di ufficio, Maria invece opera nella direzione B che nel corso degli anni ha avuto contrasti con la parte politica e l'assessore di riferimento tanto che il dirigente della medesima direzione è stato valutato meno del solito. E quel dirigente, a sua volta, ha deciso di ridurre i voti del personale alle sue dipendenze. Marco e Maria lavorano con la stessa cura ed attenzione eppure hanno riportato due voti diversi tanto che Maria è stata esclusa dalle progressioni orizzontali oltre a percepire una quota minore di produttività.
È un esempio forse stupido ma per chi conosce la Pa assai ricorrente. La valutazione non è di per sé oggettiva ma discrezionale e in base alla stessa un dipendente potrà essere anche penalizzato percependo minore produttività e venendo escluso dalle progressioni. Questo presunto merito è uno strumento ideologico che alla fine ha messo le mani in tasca alla forza lavoro creando un clima favorevole solo ai dettami aziendali, al resto hanno pensato i codici disciplinari e l'obbligo di fedeltà.
Quanto sopra descritto è esempio lampante della aberrazione che alberga nella Pa. La performance è stato non solo uno strumento divisorio tra lavoratori ma ha assegnato anche un eccessivo potere discrezionale ai dirigenti favorendo la catena del comando, al contempo il potere contrattuale e d'acquisto è calato e oggi il personale pubblico italiano risulta tra i meno pagati della Ue.
Marco e Maria sono entrambi scrupolosi e attenti lavoratori ma per ironia della sorte non subiscono lo stesso trattamento. Ora, se questa è la modalità con cui si applica il merito nella valutazione dei dipendenti, chi potrà ancora pensare che questo merito sia utile o invece dannoso anche per la credibilità della macchina pubblica?
Ultimo aspetto sul quale riflettere ossia il rapporto tra merito e salario. Abbiamo visto prima che il presunto merito stabilisce disuguaglianze crescenti ma non sapete ancora cosa accade con i contratti pubblici. Proviamo allora a spiegarlo in termini comprensibili.
Se un cittadino legge il giornale, sembra che i rinnovi della Pa abbiano portato 100 euro in più in busta paga, se invece ci sforziamo di capire il funzionamento e le dinamiche della contrattazione capiremo che nel migliore dei casi siamo a metà di quella cifra. E tra gli aumenti vengono anche inclusi i soldi destinati alla contrattazione di secondo livello.
Ora Marco e Maria porteranno nel fondo della produttività, al pari dei loro colleghi a tempo indeterminato, qualche euro aggiuntivo ma con questo fondo si pagano numerosi istituti contrattuali che saranno destinati solo a parte del personale. Se vogliamo essere ancora più chiari potremmo dire che ciascun dipendente porta nel fondo, con il nuovo contratto, dei soldi, ma solo parte del personale ne beneficerà, in virtù di un contratto nazionale che si presenta già divisivo tra profili e categorie di appartenenza.
Il merito diventa non solo meccanismo ideologico per dividere la forza lavoro ma uno strumento predatorio del nostro salario. Quel merito oggi viene sbandierato come valore assoluto nel nome del quale iniziare il percorso , l'ennesimo, di riforme della macchina amministrativa.
Sarà quindi necessario non assumere il punto di vista datoriale o governativo, il sindacato, anche quello più moderato, dovrebbe fare ben altro senza cedere a lusinghe concertative e a quel pensiero unico che ha portato alle privatizzazioni. Ma qui il discorso diventerebbe lungo e articolato, fermiamoci solo al valore ideologico del presunto merito per rifiutarlo come parametro di valutazione. Se questo avessimo fatto ci saremmo risparmiati tante sventure contrattuali e salariali.