Ogni giorno in Italia muoiono in media 3 lavoratori per infortuni sul luogo di lavoro. Il fenomeno dei morti sul lavoro e delle malattie professionali sconta un’informazione ufficiale che ne sottostima volutamente l’impatto sociale e umano ed una mancanza di attenzione da parte dei media salvo quando la notizia può essere spettacolarizzata. Con questo lavoro, diviso in due parti, si forniscono dati più aderenti alla realtà e si analizzano le cause reali del problema e del mancato rispetto delle normative vigenti, che pongono l’Italia all’avanguardia per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Ma solo sulla carta. (Parte 1 di 2)
di Marco Spezia*
I dati reali e la menzogna dello stato
In Italia ogni anno avvengono più di un milione di infortuni sul lavoro, 1.200 di questi sono mortali. Ciò significa, contando tutti i giorni dell’anno, che in Italia ogni giorno muoiono in media 3 lavoratori per infortunio.
A tale cifra occorre aggiungere le malattie professionali, cioè le patologie contratte sui luoghi di lavoro a causa di agenti nocivi: ogni anno in Italia vengono denunciate circa 5.000 malattie professionali, centinaia di queste sono mortali.
Occorre aggiungere che i dati sopra riportati sono desunti da un’associazione di volontariato (Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro di Carlo Soricelli, http://cadutisullavoro.blogspot.it) e sono dati reali in quanto raccolti da una fitta rete di collaboratori che ogni giorno analizzano gli articoli sui giornali e sui blog, le notizie alla radio e alla televisione.
I dati ufficiali, quelli dell’INAIL (662 morti sul lavoro nel 2014) sono del tutto sottostimati e volutamente incompleti. Essi infatti sono relativi solo ai lavoratori assicurati INAIL (i lavoratori dipendenti) e non comprendono quindi i lavoratori autonomi, i lavoratori atipici, i lavoratori familiari, i lavoratori in nero.
I dati ufficiali inoltre parlano di lento ma costante calo del fenomeno infortuniistico, anche mortale, mentre i dati del citato Osservatorio parlano di lieve aumento dal 2008 a oggi, che diventa più marcato se raffrontato al numero di lavoratori occupati, in costante calo nel corso degli ultimi anni.
In Italia è quindi in corso una vera e proprio guerra: i numero riportati sopra lo confermano. Questa guerra conta ogni anno migliaia di donne e uomini sacrificati in nome del lavoro e dimenticati da tutti: eroi senza volto appunto.
Eppure di questa guerra non si parla quasi mai. I media riportano le notizie di infortuni sul lavoro solo raramente, in genere in brevi trafiletti di cronaca. I media parlano di infortuni sul lavoro o di malattie professionali solo quando l’effetto mediatico è importante, come nel caso della Thyssen Krupp, del crollo della palazzina di Barletta, dell’esplosione della fabbrica di fuochi di artificio a Bari, dell’Eternit di Casale Monferrato.
Anche in questo caso la morte sul lavoro viene raccontata solo quando fa notizia, secondo le becere regole della comunicazione. Becere regole che nascondono o minimizzano, assecondando i poteri politici, imprenditoriali e finanziari, un fenomeno devastante, per far credere che il mondo del lavoro nel sistema sociale italiano sia un ambiente “sano”.
Menzogne che nascondo le pesanti e gravi responsabilità delle istituzioni e dei gruppi di potere, assolvendoli da quella che di fatto è il reato di omicidio volontario.
Le cause e le responsabilita’: la legislazione e la normativa
A fronte della strage sopra indicata, oltre allo sdegno e alla rabbia, è fondamentale ricercare le cause reali e le responsabilità individuali e istituzionali.
Le morti sul lavoro non sono dovute a carenze legislative e normative. L’Italia è sempre stata all’avanguardia nella legislazione per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Già negli anni ’50 vennero emanati numerosi decreti per la salvaguardia dei lavoratori sia nelle lavorazioni industriali, sia nei cantieri. Queste leggi indicavano importanti misure di tutela sia della sicurezza che dell’igiene dei lavoratori. Esse erano talmente complete e innovative che sono sopravvissute fino ai nostri giorni, rimanendo in vigore sino al 2008 e venendo inglobate poi nella normativa successiva.
A partire dagli anni ’90 poi, queste normative sono state integrate e adeguate ai progressi tecnologici e scientifici, a seguito dei numerosi recepimenti delle Direttive Europee per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Infine, nel 2008, tutto il corpo legislativo in materia di tutela di salute e sicurezza è stato incorporato e armonizzato nel Decreto Legislativo n.81 (il cosiddetto “Testo Unico” sulla sicurezza), un testo complesso (più di 300 articoli e 52 allegati) che costituisce una base fondamentale e tecnicamente adeguata.
Oltre alle fonti legislative da anni l’Italia è all’avanguardia nel settore della ricerca tecnica per la riduzione degli infortuni e delle tecnopatie, prima con l’ENPI (Ente Nazionale Prevenzione Infortuni), poi con l’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza e sul Lavoro), ora con l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), affiancati dai dipartimenti dedicati delle Aziende Sanitarie Locali.
Nella letteratura scientifica e nella normativa tecnica italiana sono disponibili tutti gli strumenti tecnici e scientifici, affiancati alla legislazione di merito, per ridurre a livelli trascurabili il fenomeno infortuniistico e patologico legato alle attività lavorative.
Va osservato che da sempre le classi imprenditoriali e i gruppi politici ad essi collegati, hanno cercato di diminuire le tutele legislative per i lavoratori.
Solo per il Testo Unico del 2008, il governo Berlusconi, il governo Letta e oggi il governo Renzi sono intervenuti con decreti peggiorativi, modificandone in parte i contenuti e diminuendo in tal modo le tutele per i lavoratori.
Ma in ogni caso il Testo Unico, assieme alle fonti del diritto (Codice Civile, Codice Penale e Costituzione) costituiscono un’importantissima garanzia per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Occorre osservare che Il Testo Unico è una norma di carattere penale, nel senso che il mancato adempimento agli obblighi che esso impone costituisce, nel caso venga accertato dagli organi di vigilanza (che vedremo dopo quali sono), comporta un reato penale.
Eppure, nonostante tutto questo, i numeri parlano chiaro: la guerra continua, la strage non si arresta. Qual è dunque il motivo, se le leggi e le norme ci sono, perché si continua a morire e ad ammalarsi sul lavoro?
La risposta è semplice ed è la stessa che si ripete ogni qual volta si cerchi di proteggere gli sfruttati: la legge c’è ed è buona, ma volutamente non si applica e volutamente non si fa niente per farla applicare. Le responsabilità in tal senso sono chiare e i motivi sono evidenti.
Le cause e le responsabilita’: la logica del profitto
La prima e principale causa dello stillicidio di morti sul lavoro e di malattie professionali, da cui discendono poi tutte le altre come logica conseguenza, è la concezione capitalista del lavoro che mette in primo piano la logica del profitto, al di là ogni altra considerazione etica o morale.
Il fatto è che creare le condizioni perché il lavoro sia sicuro e salubre ha un costo, per giunta un costo non produttivo, perché non è finalizzato alla crescita dei ricavi.
Tutte le misure di prevenzione e protezione indicate come obbligatorie dalla legislazione vigente comportano per il datore di lavoro (cioè il padrone) un costo.
Facciamo solo qualche esempio:
● la formazione dei lavoratori ha un costo, in quanto comporta il pagamento di un onorario o dello stipendio di chi eroga il corso e comporta (visto che la formazione deve, per legge, essere svolta in orario di lavoro) un mancato utilizzo della mano d’opera in attività produttive;
● la sorveglianza sanitaria ha un costo analogo, quello del medico competente, degli specialisti, delle strutture che eseguono le visite mediche e gli accertamenti sanitari e di nuovo il mancato utilizzo del lavoratore in attività produttive;
● rendere sicuri le attrezzature e i luoghi di lavoro, cioè realizzarli, comprarli o metterli a norma comporta il costo da pagare alle aziende che eseguono i lavori di messa a norma;
● le macchine sicure hanno minore produttività, perché comportano fermi di produzione se la macchina non è in condizioni di sicurezza e la minore produttività è un costo indiretto;
● mantenere le macchine e i luoghi di lavoro sicuri e salubri, mediante manutenzioni programmate, pulizia, igienizzazione comporta il pagamento delle ditte di manutenzione o di pulizia industriale;
● i dispositivi di protezione collettiva (ponteggi, coibentazioni, insonorizzazioni, ecc.) e quelli individuali (caschi, cinture di sicurezza, scarpe antinfortunistiche, ecc.) hanno un costo che non si traduce in maggiore produttività;
● procedure di lavoro sicure (ad esempio il lavoro in coppia, le pause nelle attività più faticose, le fermate delle linee di produzione per eseguire manutenzioni in sicurezza) hanno un costo.
Tutti questi maggiori costi come già detto non comportano una maggiore produttività e quindi non comportano un maggiore profitto, inteso come differenza tra ricavato della vendita e costo di produzione.
Per dirla in altre parole, quello della sicurezza è una riduzione di plusvalore che l’imprenditore non ha nessuna intenzione di accollarsi, se non vi viene costretto.
Per dirla con Karl Marx: “al padrone non interessa nulla della vita e della salute dell’operaio, se non ci sono le leggi che glielo impongono”.
Ma come vedremo dopo questa imposizione, nonostante che le leggi ci siano, di fatto non sussiste, oppure sussiste in maniera percentualmente irrilevante.
In conclusione, mancando la coercizione a “fare sicurezza”, i padroni non la fanno, riducendo il costo del lavoro e aumentando il loro profitto, unica leva dell’economia capitalista.
(...continua)
* ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro. Progetto Sicurezza sul lavoro - Know Your Rights!