Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi al mondo, nel 2006 ammise che esiste una guerra di classe, ma che era la sua classe che la stava portando avanti e la stava vincendo. E' infatti emblematico che persino in un settore come quello del trasporto aereo, che non è affatto in crisi, il capitale eroda, a suo vantaggio, ulteriori quote di profitto dall'aumento dello sfruttamento del lavoro.
di Riccardo Filesi
"La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressi ed oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta." (Marx-Engels, MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA - 1848)
Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi al mondo, nel 2006, in un'intervista al New York Times, ammise senza troppo pudore, con enorme imbarazzo da parte dei pennivendoli negazionisti di professione, che esiste una guerra di classe, ma che era la sua classe che la stava portando avanti e la stava vincendo. Qualche anno dopo infatti confermò in altra sede quella vittoria. Warren Buffet, magnate della finanza, poteva d'altronde disconoscere a suo piacimento, con grande libertà di pensiero e di portafoglio, quanto altrove andava finanziando con la propaganda a vantaggio del suo status dominante. Propaganda compiuta quotidianamente nella costruzione di sovrastrutture culturali, e diretta emanazione del potere.
Per i comunisti nulla di nuovo, ma che a dirlo, e certamente per motivi del tutto strumentali (che qui non intendiamo affrontare), sia stato uno dei capitalisti più ricchi ed influenti del pianeta è alquanto significativo del livello dei rapporti di forza tra le classi. Questo è infatti il nodo centrale che accomuna tutti noi, come riflessione attorno a ciò che si muove a livello conflittuale come quota parte della nostra classe subordinata, in risposta alla ristrutturazione del capitale in un periodo di crisi generale. E questo è il termometro del livello di coscienza che permea la classe lavoratrice, da troppo tempo resa incosapevole delle sue potenzialità. Questa riflessione generale consente, ai più accorti, di comprendere con maggior puntualità come possano verificarsi alcune apparenti anomalie in alcuni specifici settori produttivi, anche in casa nostra.
E' infatti emblematico che persino in un settore come quello del trasporto aereo, che non è affatto in crisi, il capitale eroda, a suo vantaggio, ulteriori quote di profitto dall'aumento dello sfruttamento del lavoro. Come può essere possibile che si assista a migliaia di licenziamenti nel solo Aeroporto di Fiumicino, se le condizioni generali ci dicono che il mercato è in costante crescita sia nel settore trasporto passeggeri che merci, segnando addirittura negli ultimi tre mesi del 2015, per l'Aeroporto di Fiumicino circa un + 9% (dati ufficiali Enac)? Perché non solo non esiste una risposta adeguata e specifica dei lavoratori aeroportuali, ma anche perché siamo in assenza di una risposta generalizzata alla guerra che il capitale opera quotidianamente contro il lavoro: in pratica nel nostro paese non trova ostacoli degni di nota.
Di fronte ad una crisi strutturale come quella attuale, punta dell'iceberg di una profonda crisi che invade tutta la società capitalista dagli anni '70, i capitali cercano ogni strada possibile per continuare il loro "naturale" compito di crescita di valorizzazione del proprio investimento. E' così che spuntano nuovi soggetti pronti a far la voce dei Cai-mani (e non solo, visto che ora in Italia si sono affacciati addirittura gli arabi dei "petroldollari" con Etihad) in un settore così fluido e florido come quello del trasporto aereo. Ma l'ultimo affare Alitalia Cai con l'entrata a gamba tesa di Etihad, è però solo uno dei vari passaggi che hanno caratterizzato gli ultimi anni di totale deregolamentazione e liberalizzazione assoluta nella gestione del settore. Le storie del degrado dei rapporti di forza tra lavoro e capitale in ambito aeroportuale, iniziano da lontano, con lo smembramento degli Aeroporti di Roma negli anni '90, e la lenta e costante distruzione dell'azienda di riferimento del settore: l'Alitalia (ai tempi ancora a maggioranza pubblica). In molti, tra politica, pennivendoli ed istituzioni, risultano alquanto smemorati rispetto al fatto che Adr (Aeroporti di Roma) entrò a far parte di Alitalia nel 1983 (tramite cessione all'interno del defunto Gruppo IRI), e che nel 1994 il nuovo azionista diventò Aeroporti di Roma Holding, società che annovera tra gli azionisti, oltre Fintecna, anche Lehman Brothers. Interessante vedere quindi come il capitale finanziario in quegli anni entra a pieno titolo dentro un settore come quello del trasporto aereo, altamente produttivo e remunerativo, soprattutto se parliamo di società del calibro di Leman Brothers che, come tutti sanno, nel 2008 fu travolta dagli scandali legati al suo fallimento. Ma è altrettanto interessante notare come la lenta distruzione del Gruppo IRI iniziata negli anni '80 e proseguita a ritmo serrato negli anni '90, è il frutto di una ristrutturazione del capitale a livello mondiale (ricordiamo su tutti i governi Thatcher e Reagan, nati rispettivamente nel 1979 e nel 1981) che parte dalla crisi degli anni '70 e che, per quanto riguarda l'ex Comunità Europea (oggi UE), promuove attraveso il Trattato di Maastricht nel 1992 la completa liberalizzazione dei mercati e getta le basi per la concretizzazione della moneta unica dell'Unione Europea. E' dentro il processo di crisi economica generale quindi, e poi di liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati, che va inserito quanto accaduto nel trasporto aereo, pur essendo tale settore per nulla in crisi. E' all'interno dei processi di valorizzazione del capitale, che perde in interi settori mentre fa enormi profitti in altri, che si possono meglio comprendere le conseguenze quotidiane sulla pelle dei lavoratori, inclusi quelli aeroportuali. Ma in questa partita, qui in Italia, non bisogna allora dimenticare che per la libera realizzazione di questi interessi bisognava costituire un ente che assolvesse al compito di garanzia di tale ristrutturazione: il convitato di pietra per eccellenza, ossia l'Enac (Ente Nazionale per l'Aviazione Civile). E' infatti questo ente, non a caso nato nel 1997 nel pieno del periodo di transizione, che ha avuto un ruolo cruciale nelle varie vicende che hanno afflitto il trasporto aereo ed i suoi lavoratori, risultando infine il vero esattore degli interessi del capitale. L'Enac è stato in grado di coprire, con il suo ombrello istituzionale, ogni possibile passaggio discutibile, a partire dalla proliferazione delle concessioni alle società di handling, il cui scopo era quello di imprimere una presunta benevola concorrenza che avrebbe dovuto garantire una miglior qualità dei serivizi abbattendone contemporaneamente i costi. Il risultato finale però lo possono raccontare bene i lavoratori, che grazie all'effetto dumping si sono visti minare i livelli di sicurezza nello svolgimento delle proprie mansioni, oltre che la perdita continua di diritti, salario e livelli di occupazione per il personale con una certa anzianità di servizio, sistematicamente sostituito con lavoratori precari.
E' così che si accumulano fatti e vicende solo apparentemente anomale, cose che spesso vengono presentate in modo del tutto contraddittorio e fuorviante, e che creano ancor più confusione, con il risultato finale di partecipare alla falsa idea comune che in Italia un settore strategico come quello del trasporto aereo sia in crisi. Quando tutto il mondo del lavoro offre quotidianamente il suo bollettino di guerra in quasi tutti i settori produttivi del paese, con chiusure di aziende, casse integrazioni e licenziamenti, osservare con attenzione quanto accade ad esempio in un aeroporto come quello dello scalo di Roma Fiumicino diventa un'operazione fuori moda, oltre che difficile. A ben vedere quindi, la crisi, che non è un evento naturale ma il modo con il quale il capitale ristruttura il proprio processo produttivo per ricercare una nuova valorizzazione del suo investimento, presenta alcuni elementi che devono essere valutati con attenzione, e dunque non solo in un settore come quello del trasporto aereo dove è facilmente comprovabile dai dati che non è affatto in crisi, ma anche in quei settori dove è evidente una sovrapproduzione ed una tendenza generale alla caduta del saggio di profitto. Infatti se non comprendiamo cosa sia una crisi economica (magari comprendendo anche quale sia il presupposto di funzionamento tecnico che la crea), e quale rapporto abbia con i livelli di coscienza dei lavoratori, rispetto al conflitto di classe citato dallo stesso Warren Buffett, non si mette a nudo lo scopo di esistenza del capitale (cioè del sistema capitalista) che, tradotto ancora in altri termini, non è altro che far profitto dallo sfruttamento del lavoro altrui. Ovviamente, tutto ciò risulta vero, a condizione che si voglia guardare in faccia la realtà senza ammantarla con illusioni consolatrici promosse dall'ideologia dominante, che in ultima analisi vorrebbe "venderci" l'idea di una società pacificata ed interclassista, dove gli interessi della classe padronale possono tranquillamente convergere con quelli della classe subordinata: i lavoratori. Una dolce illusione che cozza duramente con la condizione generale della classe lavoratrice.
Dunque a tal proposito, per compendere i processi di ristrutturazione ancora in atto nel nostro paese, può risultare utile un bel testo del 2014, di un collettivo di ricercatori indipendenti, Clash City Worker, Dove sono i nostri, La casa Usher). Dal loro lavoro di inchiesta ed analisi, emerge un quadro interessante per quanto riguarda l'assetto produttivo e di classe del nostro paese.Il testo fa emergere in sintesi ed in modo chiaro "come si produce la ricchezza, e chi la produce, quali sono state le trasformazioni più significative del mondo del lavoro negli ultimi decenni e quali le linee di tendenza per il prossimo futuro. Chi sono i nostri? E dove sono? Lavoratori dipendenti, parasubordinati, produttivi e improduttivi, "finte" partite Iva, Neet, immigrati: manifestazioni differenti dello stesso fenomeno, etichette e catalogazioni – molte delle quali imprecise e da sfatare - che spesso servono a frammentare ciò che in realtà è unito da interessi comuni e simili ritmi di vita."
E' a questo punto quindi che si inserisce la domanda specifica, che in questo caso riguarda i lavoratori del trasporto aereo, e ancor più nello specifico quelli dell'Aeroporto di Fiumicino. Cosa possiamo fare? Quali strumenti utilizzare per rimettere in moto livelli di coscienza e conflittualità adeguati, in grado di contribuire al rilancio di un regime di regolamentazione che meglio garantisca i lavoratori del comparto? A tal proposito negli ultimi mesi è entrato in scena un comitato di lavoratori autoconvocati (CoRiSTA - Comitato Rioccupazione Stabile Trasporto Aereo), che sta provando, anche assieme al lavoro dei sindacati di base, Cub Trasporti ed Usb Lavoro Privato, e del Coordinamento Mobilitati Filt Cgil, a riconnettere un tessuto sociale totalmente disgregato, e promuovere propri interessi di classe. Un comitato di lavoratori licenziati che parte da un'esperienza passata (il Comitato Overbooked dei licenziati Alitalia del 2008) e che vuole provare ad aggregare anche realtà di lavoratori licenziati oltre il mondo Alitalia, partendo dall'Aeroporto di Fiumicino.
L'elemento innovativo ed interessante, già presente nel vecchio Comitato Overbooked, non è solo la trasversalità rispetto ai vari tesseramenti sindacali di provenienza (sia passati che in atto), di chi si mette ovviamente in gioco all'interno di questo comitato, ma soprattutto il fatto che al suo interno si cerca di promuovere un intellettuale collettivo attraverso un confronto diretto degli interessati, ed una sintesi finale che produce riunioni organizzative, e che porta ad un nuovo protagonismo dei lavoratori stessi attraverso un'autorganizzazione consiliare. Nessuno vuole illudersi, ed illudere, che sia in atto un cambio passo sostanziale, perché la capacità di stimolo e aggregazione di questo comitato è ancora molto lontana dal produrre spostamenti di rapporti di forza, ma si è consapevoli del fatto che la strada che sta segnando è potenzialmente significativa, e ha prodotto dei piccoli segnali positivi. La sua potenzialità, non deve però risolversi solo rispetto alla capacità di ascolto delle istituzioni determinata dal "distrubo" agli interessi del capitale che può arrecare, ma va colta proprio nella sua possibilità di connettere le sofferenze di chi si scopre ogni giorno sempre più simile ad altre realtà lavorative, ben oltre gli aspetti corporativi tipici della categoria e gli errori dei sindacati confederali sempre più compatibili con gli interessi padronali. Ma per avere una visione d'insieme, non dobbiamo dimenticare neanche gli errori del sindacalismo di base, che alle volte rischia di avvitarsi su sé stesso nelle modalità di rapporto con i lavoratori, o perché assume posizioni di "lotta" e di "governo" nella vertenza in atto, lasciando i lavoratori stessi isolati, dopo roboanti manifestazioni di intenti, con firme che vedono tali sindacati conformarsi alle compatibilità confederali, o perché inseguono una tendenza settaria. In quest'ultimo caso il rischio è quello di produrre una separazione delle avanguardie più combattive dal corpo medio della classe, solitamente più arretrato e non in grado di cogliere in anticipo gli elementi critici del conflitto tra capitale e lavoro. Se, come si usa dire in certi ambiti sindacali, non ci si può scegliere i propri padroni, è ancor più vero che non ci si può scegliere i propri lavoratori, scremando quelli "buoni" per la lotta, da quegli altri, indolenti, acritici, corporativi, qualunquisti e opportunisti, in sintesi inutili per contribuire alla messa in campo di azioni conflittuali. Per un sindacato, soprattutto se si caratterizza per le sue posizioni di classe e anticoncertative, è invece fondamentale agire non caratterizzandosi solo attraverso una presa di posizione identitaria promossa dai suoi militanti, ma anche riuscendo ad agire in contesti consiliari, di comitati più aperti e includenti, dove poter intrecciare rapporti che facilitino la permeabilità della coscienza di classe, grazie a percorsi e piattaforme di lotta messe in campo dal protagonismo di singoli soggetti che assumono una visione collettiva e prendono coscienza mano a mano che il percorso si delinea ed apre a possibilità concrete di risoluzioni dei loro problemi. Un lavoro faticoso ma necessario, che non guarda al lavoratore in funzione del suo pedigree, perché pur riconoscendone tutti i suoi limiti prova ad accompagnarlo nel percorso includendolo e rendendolo parte attiva del processo, e lo rispetta quindi in quanto parte della classe.
Sotto questo aspetto CoRiSTA, ha il pregio di mantenere una sua barra diritta al centro sui punti emersi e discussi tra tutti quanti, cercando di offrire un terreno di confronto sempre aperto anche alle istanze più arretrate, nel difficile compito di accompagnare il processo di presa di coscienza di una situazione data, per promuovere infine soluzioni comuni possibilmente inserite in un orizzonte di senso di interessi unitari di classe.
E' così quindi che il Comitato, nel suo agitarsi e nella sua testarda ostinazione nell'aggregare lavoratori di differenti provenienze sindacali e di mansioni lavorative, è arrivato ad ottenere una convocazione, assieme alle citate organizzazioni sindacali, da parte della commissione lavoro della Regione Lazio. La manifestazione promossa ed organizzata proprio dal Comitato stesso nello scorso 15 aprile, sebbene non abbia sfondato dal punto di vista numerico, ha però ottenuto un piccolo risultato. Così come la partecipazione assieme all'Usb Lavoro Privato e al Coordinamento Mobilitati Filt Cgil alla manifestazione promossa dalla Cub Trasporti presso il Ministero del Lavoro il 23 Aprile, dovrebbe essere la premessa per essere ascoltati nel prossimo tavolo interministeriale che dovrebbe occuparsi dei problemi del trasporto aereo.
In conclusione è importante sottolineare non solo il lungo cammino che dovrebbe vedere tutti quanti impegnati, nel tentativo di imporre una regolamentazione costituendo bacini specifici dai quali attingere per le assunzioni, e all'interno di una cornice di sviluppo possibile e diverso, identificato nel progetto della Città del Volo ma anche i rischi in cui si può incorrere se questi lavoratori verranno schiacciati dalla proposta dei contratti di ricollocazione. Tali contratti infatti non sono altro che un modo per attenuare il conflitto e far passare i lavoratori per le agenzie di lavoro interinale, senza alcuna vera garanzia per una loro rioccupazione, ma solo la certezza che soldi pubblici verranno regalati alle agenzie che interverranno nel programma legato a queste politiche attive, promosse, in questo caso, dalla Regione Lazio. Non è un caso infatti che, sebbene la convocazione con la commissione lavoro abbia permesso al comitato di promuovere la propria piattaforma, ed abbia aperto alla possibilità di proseguire un'interlocuzione utile alla risoluzione almeno di alcune urgenze legate alla continuità di reddito (tutto da verificare ovviamente), la qualità politica degli interlocutori è risultata alquanto scarsa, riducendosi ad esortazioni, da parte del suo presidente, che rasentano il ridicolo, se solo orientate a consigliare al Comitato di proseguire nelle azioni di manifestazione e aggregazione, volte a promuovere la piattaforma stessa, sollecitando quindi la politica ai suoi più alti vertici istituzionali, dunque fino al prossimo tavolo interministeriale che verrà "allestito".
Se ne deduce, in ultima analisi, che il livello politico degli interlocutori non è affatto all'altezza della situazione (ovviamente scontato dentro una lettura di classe), e che il Comitato dovrà dunque fare un doppio lavoro, assieme ai sindacati presenti, non solo per convincere i lavoratori a proseguire in questo percorso ed allargare la partecipazione, ma anche nel mettere a nudo la mancanza di idee di mediazione tra gli interessi del capitale con quelli del lavoro da parte della politica di governo, sia esso locale o nazionale, tutta asservita invece agli interessi di chi gestisce i grandi capitali investiti nel trasporto aereo. Su questo, non si può che augurare una prosecuzione del prezioso lavoro che sta compiendo, nella speranza che i principi unitari che muovono CoRiSTA, sulla base di una piattaforma condivisa tra i lavoratori, siano sempre più agevolati da una coscienza di classe crescente.