Per renderci conto che ci si avvicina all'implosione delle istituzioni europee e della moneta unica, basta mettere in fila una serie di fatti.
1. Le regole che governano l'euro stanno provocando una crescente divaricazione fra le condizioni economiche delle diverse nazioni. Mentre i paesi forti, la Germania in primis, stanno registrando forti avanzi delle bilance commerciali con l'estero, cioè esportano più di quanto importano, e le loro esportazioni contribuiscono ad assicurare uno sbocco alla capacità produttiva, i paesi periferici, impossibilitati a compensare con il ricorso alla svalutazione monetaria la loro inferiore competitività, registrano forti disavanzi commerciali e pertanto soffrono molto di più l'impatto della crisi economica mondiale. Anche il rispetto dei parametri in fatto di bilancio pubblico – rapporto debito/Pil e deficit/Pil – è assai difficoltoso per i paesi più deboli. Non così invece per la Germania, anche perché tali parametri sono stati “cuciti addosso” all'economia tedesca.
Nonostante il massiccio intervento della Banca Centrale Europea con la riduzione dei tassi di interesse e il quantitative easing, tale divergenza non accenna a ridursi.
2. Le condizioni imposte alla Grecia per rimanere nell'Unione Europea e nell'Euro stanno determinando in quel paese il completo smantellamento di ogni garanzia sociale, nonostante che il popolo greco si sia espresso a larghissima maggioranza contro tali misure e nonostante che al governo ci sia una forza di sinistra che si proponeva di riformare le regole europee. I “creditori”, non contenti, proprio nei giorni scorsi hanno chiesto un supplemento di austerità, tanto che l'ipotesi di una Grexit in tempi ravvicinati sta tornado insistentemente in campo. Purtroppo rischia di essere un'uscita gestita dalla troika e non dalla Grecia, come invece sarebbe stato possibile a suo tempo.
3. Anche Italia e Portogallo sono nel mirino delle “istituzioni”. In particolare al nostro paese viene richiesta una manovra aggiuntiva di 3,4 miliardi (recentemente ridotta di poco), richiesta prontamente accolta, pur con i consueti mugugni di facciata di Renzi, dal nostro governo che promette nuovi tagli e nuove tasse. Naturalmente saranno balzelli che colpiscono indiscriminatamente e quindi impoveriranno i poveri.
4. La Gran Bretagna, con il recente referendum, ha detto no all'Ue da cui prepara la sua uscita. Del resto ogni volta che un popolo dell'Europa è stato chiamato ad esprimersi con un referendum sulla bontà delle istituzioni europee, la risposta è sempre stata negativa.
5. Il nuovo presidente degli Stati Uniti dichiara di voler inaugurare una nuova era nei rapporti internazionali, anche con l'Europa, e attacca la politica economica della Germania, che poi è l'indiscusso padrone dell'Europa. Un'Europa così disunita saprà resistere a questa offensiva?
6. L'associazione della sinistra riformista alle politiche liberiste europee e la debolezza delle forze di sinistra alternative, salvo alcune eccezioni caratterizzate peraltro da notevole incertezza strategica, stanno dando forza alle destre nazionaliste e xenofobe. La Le Pen, per esempio, sulla base di una netta indicazione di uscita dell'Ue, va verso un'affermazione importante nelle prossime elezioni francesi, tale da assegnarle probabilmente, anche in caso di mancata vittoria, il ruolo di principale forza d'opposizione. In Olanda l'omologa forza politica è al governo. In molti paesi dell'Est europeo, forze nazionaliste o addirittura neonaziste sono nella cabina di comando. Se il populismo di Trump e quello delle destre europee agiranno congiuntamente, come dobbiamo attenderci, il risultato sarà devastante.
7. L'Europa non ha stabilito neppure una politica comune di accoglienza dei migranti e dei profughi provenienti dalle zone ove imperversano le guerre da noi provocate. Al contrario si stanno innalzando muri sia metaforici che reali per impedire questo flusso umano, che non è altrettanto libero dei flussi di capitale.
8. Il Presidente dell'istituto di ricerca tedesco Ifo ha avvisato che il nostro paese è interessato da una fuga di capitali e che dovrebbe uscire dalla moneta unica se questa fosse “un ostacolo” al ritorno verso “livelli soddisfacenti di crescita”. Da parte sua Mario Draghi, rispondendo all'interrogazione di due parlamentari europei del Movimento 5 Stelle, ha precisato che in tal caso la Banca d'Italia dovrebbe saldare tutti i suoi debiti verso la Bce, che ha quantificato in 358,6 miliardi. Tale affermazione è apparsa come l'ammissione della possibilità di uscita, anche se lo stesso presidente della Bce in un successivo intervento al Parlamento Europeo, ha voluto confermare che la moneta unica “è irrevocabile” e quindi non è possibile uscirne. Sul motivo dell'uso del nuovo termine “irrevocabile” in luogo del consueto “irreversibile”, si sono esercitati alcuni commentatori ipotizzando che dietro ci stiano interessi elettorali di Merkel e Schäuble, preoccupati per l'ascesa degli anti-euro dell'Afd. Ma ormai anche alcuni premi Nobel dell'economia di impostazione keynesiana suggeriscono l'uscita dall'Euro dei paesi del Sud Europa. Che l'uscita dall'Ue non sia più un tabù, sta ormai diventando convincimento sempre più diffuso.
9. È noto che la Germania è sempre stato il più intransigente difensore della disciplina europea, ma di fronte a questo allarmante quadro è stata proprio la Merkel a prospettare, per ora solo evocandola, un'Europa a due velocità, con un nucleo centrale forte, guidato dalla Germania stessa, e una serie di nazioni satelliti, cui permettere – evidentemente in deroga al fiscal compact – tempi più lunghi per essere promossi in seria A.
Il ruolo di questi ultimi paesi, in sostanza, dovrebbe limitarsi a filtro delle immigrazioni, senza troppe pretese di incidere sull'ordinamento e sulle scelte economiche dell'Europa. Non pare di questa opinione Romano Prodi. Secondo lui, di fronte alle minacce di Trump e Le Pen, l'Europa a due velocità “può essere una risposta” per evitare la dissoluzione dell'Unione. “In mancanza di una condivisa politica europea – sostiene il nostro europeista – è l'unica strada percorribile. Tutti insieme non si riesce a portare avanti il progetto europeo”.
Ma proprio questa mancanza di uno sforzo comune per l'integrazione reciproca ci dice che l'Europa è morta; almeno è morta l'idea iniziale di Europa. Prodi non mostra di accorgersene. Vede prospettive positive a partire dalla reazione alla politica di Trump e vede la possibilità di un posto in serie A per l'Italia, senza dirci però a quali ulteriori costi sociali, a partire dalla manovra correttiva annunciata, che sarà l'ennesima tosatura dei lavoratori.
In tutto questo generoso slancio europeista, non stupisce che il fondatore dell'Ulivo non si ponga una minima domanda sui motivi per cui le infrazioni vengono sempre contestate ai paesi in difficoltà, mentre nessuno si preoccupa di contestarle alla Germania che con il suo spropositato avanzo commerciale viola anch'essa i parametri europei.
Ma questo è un problema della “sinistra” (?) riformista. Possibile invece che la sinistra di classe, o che almeno dovrebbe essere tale, giunga sempre buona ultima nel prendere atto che il progetto europeo è fallito? E che bisogna prepararci al dopo, iniziare a costruire un'Europa completamente diversa, in cui siano esattamente invertiti i valori: prima il benessere e la giustizia sociale, poi le esigenze del capitale, prima il controllo pubblico dell'economia e poi il mercato.
Dal momento che l'impianto liberal-democratico dell'Europa vacilla perché non è stato in grado di mantenere alcuni suoi presupposti sociali – la quasi piena occupazione e decorose condizioni di vita dei lavoratori – si aprono spazi di conquista dei ceti impauriti e scontenti, anche in competizione con le destre. Ma per fare questo ci vuole un progetto politico credibile (credibile per le masse lavoratrici, non per l'establishment) e un ruolo di direzione dei conflitti sociali, a partire dall'opposizione ferma al disastro europeo.
C'è tanto lavoro da fare per le forze anticapitaliste europee. Intanto bisognerebbe cominciare a mettere rapidamente in atto indispensabili forme di coordinamento sovranazionale permanente. In assenza del quale la peggiore destra sfonderà su tutti i fronti.