Sta per essere siglato il contratto nazionale degli statali denominato Funzioni centrali. Da tempo girano bozze del testo sulle quali la forza lavoro non ha mai avuto modo di esprimere alcun parere.
Copione mai invariato nel corso degli anni: prima si firmano gli accordi e poi si sottopongono al voto nelle assemblee, quando ormai è impossibile entrare nel merito dei contenuti.
Nelle bozze fino a oggi girate si annunciano “correttivi” in nome della flessibilità che ha caratterizzato decenni di deterioramento progressivo delle nostre condizioni di lavoro e di vita. Sempre in questi mesi sono stati spesi chilometri di inchiostro per rassicurare la forza lavoro. Negli statali ampio è stato il ricorso allo smart working con perdita di soldi, tra istituti contrattuali non erogati e la mancata corresponsione del buono pasto fino alla insana decisione del ministro Brunetta, in piena pandemia, di tornare in presenza senza assicurare alcuna corsia preferenziale alle giovani madri, a quanti hanno anziani e famiglie numerose a carico.
E soprattutto il ritorno in presenza come modalità di riferimento del lavoro nella Pubblica Amministrazione, non è stato mai accompagnato da qualche bilancio di come sia stato gestito il lavoro agile da noi sovente criticato ma ritenuto da tanti lavoratori/trici una valida alternativa, viste le difficoltà datoriali nell’adottare drastiche misure a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nel nuovo contratto nazionale dei dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici non arriveranno i tanto decantati aumenti capaci di restituire il potere di acquisto perduto. Buona parte degli stessi è legata alla lotteria della contrattazione decentrata che dovrà togliere a qualcuno per dare ad altri visto che i soldi per incrementare tutti gli istituti contrattuali non ci stanno.
Gli aumenti del tabellare andranno dai 59,6 euro lordi al mese previsti per la categoria più bassa ai 114,7 euro calcolati per quella più alta. Per i dipendenti delle Agenzie per la sicurezza nei trasporti (Enac, Ansfisa e Ansv) l’incremento minimo e quello massimo si attesteranno rispettivamente a 62,3 e 133,3 euro lordi mensili.
Vi sembrano cifre da garantire recupero del potere di acquisto? A chi scrive francamente no; e poi il CCNL di cui stiamo parlando riguarda il triennio 2019/21 e verrà siglato con tre anni di ritardo (nel frattempo il governo per gli anni arretrati se la sarà cavata con poco più di 10 euro mensili a titolo di indennizzo per la vacanza contrattuale), mentre dovrebbero già ripartire le trattative per la successiva tornata contrattuale. E i soldi annunciati per il riordino dei profili professionali finiranno con il favorire le alte professionalità mortificando tutte le altre.
Non è dato sapere come sarà regolamentato il lavoro agile a fronte dell’ultimo decreto Brunetta. In questi ultimi due anni i sindacati rappresentativi non hanno agito per porre fine alle decurtazioni salariali esistenti, questo è un dato di fatto. Chi sta in modalità agile continuerà a non percepire il buono pasto o gli straordinari. Da qui a restituire dignità ai salari corre grande differenza. La pretesa di regolamentare lo smart working nel contratto nazionale non porta alcun beneficio rispetto a decreti ministeriali che tolgono soldi e diritti, mentre, così operando, si continua nell’opera di disfacimento della contrattazione nazionale.
Ci preoccupa non poco la nuova fascia delle alte professionalità a fronte della volontà reiterata di non incrementare adeguatamente il fondo della contrattazione sul quale graveranno i pagamenti di innumerevoli istituti contrattuali e a discapito della produttività erogata attraverso il sempre verde, iniquo e divisorio strumento della performance. La coperta è troppo corta: non si incrementa il tabellare, si destinano scarse risorse alla contrattazione di secondo livello, non si pone fine ai tetti di spesa che saranno magari rivisti con qualche correttivo che non aggraverà il bilancio statale in virtù dell’aumento dei costi per il personale della Pa.
Non si dice molto sulle assunzioni, tra ritardi nelle procedure di assunzione e pensionamenti avvenuti che non saranno compensati dall’immissione in ruolo attraverso i nuovi concorsi, riguardanti in prevalenza le figure indispensabili ai piani attuativi del PNRR. Che la PA sia in grave carenza di organico è ormai un dato di fatto. Il contratto nazionale dovrebbe sancire invece una controtendenza rispetto agli scenari degli ultimi venti anni. Ma su questo punto le veline sindacali e dell’ARAN non spendono alcuna parola.
Sullo sfondo intravediamo processi riorganizzativi della PA a livello europeo di cui lo scrivente ha già parlato. Imponderabili le annunciate regole elastiche sulla carriera degli statali, negative se dovessero porre dei limiti al numero delle progressioni orizzontali nell’arco della vita lavorativa. Inoltre il nuovo meccanismo costruito sulle progressioni verticali tra le aree e i cosiddetti “differenziali stipendiali” sono ancora avvolti nel mistero. Se volessero, come dicono, premiare l’esperienza introdurrebbero meccanismi automatici di avanzamento delle carriere da far valere anche in termini previdenziali e con la certezza dei passaggi di livello automatici nell’arco della vita lavorativa.
Il nuovo ordinamento dei profili professionali sembra essere ideato per soddisfare i piani del PNRR e i nuovi processi di esternalizzazione dei servizi previsti dal Decreto concorrenza, specie negli Enti locali. Se davvero arriveranno meccanismi di carriera innovativi e positivi per la forza lavoro è ancora tutto da dimostrare dopo anni di contrattazione al ribasso.
Anche per noi resta un valore la massima considerazione dell’esperienza e delle professionalità maturate. Ma ricordiamoci che nella PA corre l’obbligo di procedure selettive che non dovranno essere gestite per pochi e risultare da ostacolo per le nuove assunzioni.
Per gli Enti locali ci sarà poi da sciogliere il nodo relativo agli aumenti contrattuali che gravano sui bilanci e potrebbero determinare una futura riduzione della spesa di personale se non verranno eliminati i parametri e i tetti di spesa tristemente noti.
Di certo si va verso una profonda revisione delle progressioni all’interno della PA, un meccanismo ad oggi fin troppo ingessato.
Non una parola tuttavia viene spesa sulla performance, una autentica lotteria che consegna il salario accessorio a valutazione discrezionali dei dirigenti. Siamo comunque in presenza di cambiamenti giudicati sostanziali; per esempio potrebbero allungare la durata dei contratti di secondo livello e anche su questo punto sarebbe doverosa la consultazione della forza-lavoro non a firma dei contratti avvenuta. Ma per correttezza e onestà intellettuale rinviamo a una lettura esaustiva a quando verranno siglati i contratti.
La domanda ricorrente riguarda l’effettiva entità degli aumenti. Ricordiamo che nella PA ci sono stati nove anni di blocco della contrattazione che hanno sancito la perdita del potere di acquisto e della contrattazione. Innumerevoli materie sono ancora oggi escluse dalla contrattazione e, anno dopo anno, si è ristretto ai minimi termini il potere effettivo delle RSU, sempre più controllate dai sindacati firmatari. Stando alle bozze contrattuali lette, gli aumenti di paga base saranno veramente irrisori demandando altri incrementi a una incerta e oscura contrattazione di secondo livello che dovrà, in assenza di risorse sufficienti, mediare su quali istituti accrescere alimentando sospetti e divisioni tra la forza-lavoro.
Anche in questo modo si depotenzierà il contratto nazionale a favore di quello decentrato, con le RSU relegate al non ambìto compito della mediazione tra interessi “di settore” o corporativi.
Una parte importante del salario continuerà a essere erogata attraverso la performance che invece dovremmo rimettere in discussione con la cultura del cosiddetto merito. Assolutamente negativa resta la permanenza dei tetti di spesa (con l’avallo sindacale) che per quanto ritoccati dalla manovra economica resteranno del tutto insufficienti a restituire forza a salari sempre più bassi.