Uno sguardo sullo sviluppo economico di Europa e Sud America

L’utilità dei concetti di globalizzazione, multilateralismo, regionalismo e imperialismo.


Uno sguardo sullo sviluppo economico di Europa e Sud America Credits: http://www.bloglobal.net/

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo il seguente articolo del compagno Mario Tiberi. Tuttavia, nonostante la stima per l’opera dell’autore, teniamo a sottolineare la distanza tra questo contributo (che non a caso viene inserito nella rubrica “Dibattito” e a cui verrà data una risposta nelle prossime settimane) e la linea politico-editoriale de “La Città Futura”.

Non crediamo affatto che la costruzione dell’UE sia avvenuta con procedure democratiche. Potremmo ricordare che l’unico paese che approvò con un referendum il Trattato di Lisbona è stata la Repubblica d’Irlanda nel 2009, dopo che una prima consultazione popolare lo aveva bocciato l’anno precedente. Tutti gli altri paesi hanno approvato il Trattato nei rispettivi parlamenti senza consultare i loro cittadini, onde evitare le brutte figure rimediate dalla precedente Costituzione Europea nel 2005 in Francia ed Olanda.

Soprattutto non pensiamo affatto che l’UE appaia quale “apportatrice di pace”, considerato il ruolo che alcuni suoi membri hanno avuto in guerre sanguinose come quella che accompagnò la dissoluzione della Jugoslavia o il recentissimo appoggio dato al governo reazionario di Kiev nella guerra civile ucraina, due esempi strettamente limitati al territorio europeo. Pertanto, non stentiamo affatto, come accade al compagno Tiberi, a riconoscere nell’Unione Europea un polo imperialista e crediamo, conseguentemente, che il primo dovere dei comunisti del Vecchio Continente sia sconfiggerla.

Siamo convinti soprattutto che sia necessario per la Sinistra politica superare l’infatuazione per gli assetti dell’Europa attuale, ossia quella del Capitale e delle Banche, e riscoprire invece il sano gusto per l’internazionalismo e la fratellanza tra i popoli.



1. Sul concetto di globalizzazione

L’attuale fase dell’economia mondiale (American Century) viene contraddistinta prevalentemente con il termine “globalizzazione”; ma il concetto è poco utile, perché sono numerose ed eterogenee le sue componenti attribuibili a tale tipo di processo. Inoltre esso può risultare inadeguato a definire come nuova l’attuale fase dell’economia mondiale, perché anche il periodo precedente la guerra 1914-18 (Pax Britannica) ebbe significativi elementi di globalizzazione. Altre categorie concettuali come regionalismo, multilateralismo, imperialismo possono forse interpretare meglio le vicende di allora come di oggi.

Il concetto di globalizzazione è spesso utilizzato per descrivere una realtà mondiale, egemonizzata dalla “mano invisibile” del mercato, trascurando l’esistenza di diverse way of life in altre aree del mondo.


2. Multilateralismo, regionalismo e imperialismo

Il confronto tra protezionismo e libero scambio ha costituito un tema di grande richiamo nella storia del pensiero economico, anche per l’importanza politica delle scelte di politica commerciale, motivate da ragioni strategiche, militari, religiose, psicologiche. Protagonisti sono, in questo caso, le imprese multinazionali, gli intermediari finanziari, gli speculatori internazionali, con il contributo, spesso compiacente delle istituzioni politiche, nazionali ed internazionali.

Al riguardo è indubbio che il multilateralismo abbia registrato, a suo tempo, un successo con la nascita dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc), ma è anche vero che è per ora fallito il tentativo, con il Doha Round lanciato dall’Onu nel 2001, di conciliare ulteriormente gli interessi divergenti di tutti i Paesi coinvolti. Per gli investimenti diretti, in particolare, c’è stato, al contrario, il proliferare di normative nazionali, prevalentemente volte ad incoraggiare, creando condizioni più favorevoli che altrove, l’afflusso di investimenti dall’estero.

In effetti ha ripreso vigore, negli ultimi anni, il regionalismo, per tradurre oggi, nella pratica, una visione mercantilista. L’interdipendenza acquisita, sia pure con intensità diversa, dai sistemi economici nazionali, toglie, infatti, credibilità all’opzione protezionistica limitata a un solo paese. D’altra parte, non sembra possibile definire un percorso, che possa deterministicamente condurre un paese dal regionalismo al multilateralismo.

Inoltre molto lavoro di ricerca offre buoni argomenti ai sostenitori dell’opinione che le forze di attrazione regionale manifestino una vitalità economica tale da renderle un ostacolo non irrilevante rispetto all’attuazione di un incisivo disegno multilaterale. Si può allora ripiegare verso un significato di globalizzazione, vista non tanto come una caratteristica ormai acquisita dall’economia mondiale, ma piuttosto come un processo manifestatosi recentemente con particolare vigore.

La posizione di chi scrive è, peraltro, che sia piuttosto necessario riprendere la categoria di imperialismo per individuare, all’interno del mondo appiattito, propostoci dagli apologeti della globalizzazione, una visione gerarchica del sistema politico-economico mondiale, al cui vertice si devono porre, ai tempi nostri, gli Stati Uniti così come, prima della prima guerra mondiale, la Gran Bretagna.

Gli imperialismi, dunque, o più eufemisticamente le way of life, termine col quale

si intende esprimere una visione dell’imperialismo che, tenendo ferma la presenza egemonica di un Paese nei confronti del resto del mondo come elemento caratterizzante, ne individua le determinanti in un complesso di motivazioni non riconducibili soltanto a quella economica (militari, culturali, psicologiche, ecc.).


3. L’Unione europea

Si può affermare che l’Unione europea rappresenti una realtà, la cui originalità storica sta nell’acquisizione di un livello di integrazione economica e monetaria, raggiunto tra un numero così elevato di paesi, attraverso procedure democratiche. Significativo è stato, appunto, l’avvio dell’euro, che ha sancito il predominio politico e culturale della Germania, con una decisa affermazione dell’autonomia della Banca Centrale Europea e la conseguente enfasi posta sugli obiettivi monetari, come la stabilità dei prezzi, rispetto agli obiettivi reali, come il livello di occupazione. Tale predominio è stato riaffermato con le scelte prevalse nell’Unione per fronteggiare la recente crisi mondiale, sintetizzate dalla controversa formula dell’”austerità”.

Restano da risolvere non pochi problemi istituzionali: il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo; il soverchiante ruolo della Bce nella conduzione della politica economica, moderabile con l’istituzione di un Ministro del bilancio; la condivisione dei rischi finanziari; la creazione di una forza di difesa europea, ecc.. Più suggestiva, ma certamente di non breve periodo, è l’idea degli Stati Uniti d’Europa, che è bene ricordarlo, appariva già tra i pensatori socialisti più di un secolo fa come apportatrice di pace.

Si può intravedere l’Unione europea divenire una delle aree relativamente indipendenti in grado di esercitare la loro influenza in maniera sostanzialmente simmetrica: la situazione che viene descritta, da vari studiosi, in termini di struttura multipolare od oligopolistica delle relazioni internazionali. Davanti a fallimenti clamorosi nel mostrare un’identità di valori tra i Paesi membri, come sta avvenendo di fronte ai flussi migratori, si stenta, tuttavia, a considerare l’Unione europea odierna un polo imperialista, portatore di una propria robusta way of life.


4. I tentativi di integrazione regionale in America Latina

Il regionalismo ha lasciato qualche traccia anche in questa area, dove tutti i Paesi, comunque sono membri delle organizzazioni multilaterali come il Fmi e l’Omc. Allo stesso tempo, essi sono quasi tutti coinvolti in tentativi di realizzare accordi ispirati al regionalismo, con obiettivi economici e politici.

Il più significativo è forse il Mercosur, nato esplicitamente per seguire il modello dell’Unione europea, almeno per l’obiettivo economico della costruzione di un mercato unico, ma ha avuto un andamento altalenante, determinato dalle indecisioni sempre presenti in Brasile e Argentina, principali fondatori.

Più recentemente è sorta l’Alba, l’Alianza Bolivarianapara losPueblosde Nuestra América (Alba), progetto lanciato da Chavez con un’esplicita caratterizzazione antimperialista e con l’obiettivo di sviluppare forme più avanzate di funzionamento dei mercati nazionali, di ispirazione socialista, in grado di svolgere un proprio ruolo in un mondo multipolare; progetto ambizioso e di lunga lena, certamente messo in crisi dalla scomparsa di Chavez.

Perù, Cile e Colombia, a loro volta, hanno intrapreso, quasi contemporaneamente la linea più tradizionale con la nascita dell’Alleanza del Pacifico, coinvolgendo un Paese importante nord-americano come il Messico.

Le incertezze strategiche che si sono manifestate in Sud America sono messe in evidenza, inoltre, dalla costituzione dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), sospinta soprattutto dal Brasile e con l’adesione dei Paesi sud-americani, con compiti di coordinamento nel campo politico e della sicurezza, puntando al ridimensionamento del peso esercitato nell’area dagli Stati Uniti.

Abbiamo visto, come in Sud America, quasi tutti i suindicati tentativi di realizzare esperienze di integrazione, più o meno ampie, incontrino grandi difficoltà. Tentativi ispirati da orientamenti di fondo diversi si muovono contemporaneamente, a volte coinvolgendo alcuni Paesi in logiche contraddittorie; altri tentativi non riescono a consolidarsi o addirittura registrano arretramenti, compreso quello apparentemente più unificante, come l’Unasur. Si è indotti a condividere l’opinione di chi vede, in tale area del mondo, non solo la globalizzazione, ma lo stesso regionalismo, almeno per un po’ di tempo “impantanati”.


5. Conclusioni.

Quale possa essere il prodotto che emergerà dal continuo rimaneggiamento di tale impasto delle cose del mondo è difficilmente prevedibile; non è bene rischiare quanto successo al britannico Paish che, sulla base dei dati, raccolti negli anni precedenti, sull’intenso sviluppo dei rapporti economici tra Gran Bretagna e Germania, all’inizio del 1914 si spingeva a prevedere un futuro ancora più roseo di quei rapporti, proprio alla vigilia di una guerra che vide i due Paesi su fronti contrapposti.

Sappiamo, dunque, come le cose siano andate a finire allora, quando la prima cosiddetta globalizzazione si è arrestata con la prima guerra mondiale; per la verità, anche la fase immediatamente successiva, quella definibile della globalizzazione smarrita, si è conclusa, all’inizio degli anni quaranta, con un altro conflitto mondiale. C’è da sperare che l’attuale fase possa avere soluzioni diverse.

21/10/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Mario Tiberi

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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