Il pomeriggio di sabato 25 marzo saremo in piazza per dire No all'UE, all'Unione Monetaria e alla Nato, nella manifestazione convocata da una larga alleanza di movimenti, sindacati e soggetti politici.
Purtroppo il nostro Partito, il Partito della Rifondazione Comunista, ha deciso di aderire soltanto alla manifestazione nota come “La nostra Europa”, promossa principalmente dall'ARCI e convocata per la mattina. Ha aderito anche alla manifestazione del pomeriggio invece la federazione di Roma del PRC, dimostrando una maggiore lungimiranza politica.
Riteniamo che non partecipare al percorso di Eurostop, e nemmeno a mobilitazioni su temi specifici come questo, sia stata una scelta miope, che ha schiacciato il partito esclusivamente su forze in campo che esprimono posizioni persino più arretrate rispetto a quelle del documento della maggioranza congressuale.
Com’è possibile conciliare la “disubbidienza ai trattati” e il rivendicare il voto contrario al Trattato di Maastricht con l'”europeismo radicale” de “La nostra Europa?”. Queste posizioni ci paiono inconcludenti e senza prospettiva, ed è per questo che abbiamo aderito alla piazza di Eurostop, nella cui piattaforma ritroviamo i nostri contenuti, che in questa sede ci sembra necessario rimarcare.
La necessità di demistificare la realtà
Nel senso comune è diffusa l'opinione per cui la creazione dell'Unione Europea (e prima di essa della CEE e della CECA) sia stato un avanzamento in termini di diritti, democrazia e pace. Non è così.
Anzitutto ci sembra necessario ricordare come l'integrazione europea sia stata lo strumento con cui gli Stati Uniti e l'intero blocco occidentale si sono opposti al blocco socialista guidato dall'Unione Sovietica. A portare al compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro, l'estensione dei diritti civili, politici e sociali così come la creazione dello Stato sociale non sono state le sovrastrutture europee, ma le lotte dei lavoratori guidati dai partiti del movimento operaio, ispirati dalla presenza di un blocco di Stati dove i lavoratori erano al potere.
Inoltre, come giustamente sottolineano le 16 tesi di Eurostop dello scorso gennaio, è necessario insistere sul profondo legame che lega UE, euro e NATO, che assieme vanno a costituire un complesso politico-economico-militare. Ad essi si affiancano i trattati di libero scambio, come il CETA o il TTIP, definito “la NATO economica”.
Il partito e il fronte, due necessità complementari
Eurostop ci sembra l'embrione di un coordinamento o di un fronte della sinistra anticapitalista. Questo è senz'altro positivo, ma è necessario fare un ulteriore passo in avanti dal punto di vista del programma.
Se vogliamo creare un fronte che sia in qualche modo un'anticipazione della società del futuro, quella post-capitalista e democratico-socialista, si rende forse necessario riprendere una riflessione su questo tipo di società. Immediata è la necessità di pensare ad un programma concreto di uscita da sinistra da euro, Ue e Nato, con proposte quali il ritorno alla moneta nazionale, meccanismi di indicizzazione dei salari come la scala mobile, il controllo dei movimenti di capitale, la nazionalizzazione dei settori strategici e così via. Esistono importanti studi in proposito.
Il nostro progetto politico va delineato con chiarezza, anche nel delineare la società italiana post-Ue: l'applicazione della Costituzione del 1948 ci sembra il giusto programma di fase in direzione del socialismo. Una democrazia popolare e progressiva (riprendendo una discussione che va da Dimitrov a Togliatti), che guardi al socialismo, ad un nuovo internazionalismo e ad una democratizzazione delle relazioni internazionali.
Pensiamo che si debba mantenere aperta la questione comunista e si debba lavorare alla ricomposizione delle forze vicine al marxismo e al leninismo, attraverso la pratica quotidiana del conflitto.
Applicare la Costituzione del ’48, quindi, non quella con l’articolo 81 riformato dal governo Monti con voto unanime di un parlamento svuotato di rappresentatività e di coraggio. Siamo consapevoli che per tornare allo “spirito del ‘48” non basta la buona volontà. Serve il lavoro di lunga lena per organizzare le masse e in particolare i lavoratori, e sappiamo che molti considerano questo ormai impossibile. A chi pensa questo, rispondiamo che si può e, per fare un solo esempio, pensiamo che siano più avanzati i lavoratori della Rational di Massa Carrara che provano a riprendere in mano la produzione piuttosto che tutti i tavoli unitari della sinistra istituzionale. Sappiamo che serve un lavoro immediato di agitazione per sfruttare le crepe che la crisi apre nel discorso borghese ed europeista. Crepe che, mentre la maggioranza della sinistra istituzionale insegue l’europeismo, vengono sfruttate dalla destra.
Per concludere, crediamo sia profondamente necessario un programma politico della sinistra anticapitalista e soprattutto dei comunisti. All'interno del fronte della sinistra anticapitalista rimane aperta la questione comunista e la ricomposizione delle forze vicine al marxismo e al leninismo in un unico partito. Anche in questo vogliamo spendere le nostre energie. I comunisti sono la parte più avanzata del fronte, e con esso devono avere un rapporto dialettico.